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Gli artisti e la libertà, il prezzo da pagare è alto

Movimento a difesa del regista Jafar Panahi.
di Pino Farinotti

Jafar Panahi è stato arrestato
Jafar Panahi (64 anni) 11 luglio 1960, Mianeh (Iran) - Cancro.

lunedì 8 marzo 2010 - Focus

Jafar Panahi è stato arrestato
L'arresto del regista Jafar Panahi ha innescato un movimento di protesta nel mondo. Una voce importante, e direttamente coinvolta, è quella di Shirin Neshat, video-artista iraniana, che vive in esilio da quando aveva 17 anni. Shirin ha sollecitato l'intervento dei politici "che hanno più mezzi di pressione di noi artisti". Ha fatto i nomi di Berlusconi e di Sarkozy.
Personaggi importanti come Yves Marmion, Nik Powell e Volker Schlondorff a nome del Comitato Direttivo dell'EFA (European Film Academy) hanno protestato duramente contro l'arresto del regista. La nota dice: - è un artista di fama internazionale e i suoi lavori hanno ricevuto importanti riconoscimenti nei più importanti festival cinematografici, da Berlino, a Cannes, a Venezia".

Promemoria
La vicenda del regista iraniano, arrestato con moglie, figlia e alcuni ospiti, è un promemoria doloroso. Ed è una prassi conosciuta, quasi "dovuta" se vogliamo: artista significa libero per definizione, e qui c'è un artista che si oppone al regime del suo paese e viene arrestato. Il suo Paese, l'Iran, per cultura, politica, è esemplare come persecutore e oppressore. Certo la prospettiva del regime è opposta e, secondo la nostra prospettiva, paradossale: il regime sarebbe garante di se stesso togliendo la libertà a uno spirito libero. Lo farebbe a propria difesa e salvaguardia. Per noi Panahi è un eroe, per l'Islam l'eroe è Mahmud Ahmadinejad, presidente iraniano, che lo arresta. Poi c'è la lettura umana e generale, oggettiva e l'eroe è Panahi. Panahi è uno dei nomi più importanti del movimento del cinema internazionale. Almeno due titoli fanno ormai parte della tradizione alta, con riconoscimenti che fanno testo. Con Lo specchio (1997) aveva vinto il Pardo d'oro a Locarno. Protagonista del film è una bambina che cammina sola per Teheran, parla e agisce attraverso piccoli fatti che diventano parabole contro la società iraniana. C'era pericolo minore a esprimersi attraverso una bambina, pur dicendo cose importanti. Con Il cerchio l'autore raccontava la vita di otto donne iraniane, storie domestiche e semplici, ma rappresentative dello stato di oppressione di quella cultura. Il film è del 2000 e vinse il Leone d'oro a Venezia. Voce dunque abitualmente e tenacemente dissidente (aggettivo comunque debole) dell'autore verso il regime. Dire "coraggiosamente" è davvero superfluo. Io non sono fra coloro che beatificano il cinema mediorientale e neppure beatifico Panahi. Molti dei riconoscimenti attribuiti a quei titoli nei festival valevano spesso per il contesto, non in assoluto, e cadevano in momenti politicamente o etnicamente opportuni. Era quella la chiave per il giudizio, più di quella squisitamente artistica. Naturalmente l'indicazione civile e sociale, attraverso la parabola rappresentata, era importante, spesso nobile. Ma dico che adesso il cinema, la sua qualità e la sua arte, devono essere derubricate. Vale Pahnai per il coraggio, davvero grande. Lo hanno arrestato con la generica accusa di aver "commesso dei reati", non per essere un artista "indipendente". Una fonte racconta che il regista stava girando un film in gran segreto, in casa: la storia di un uomo imprigionato, nel quadro delle manifestazioni contro il governo dopo le elezioni di giugno. Gli ospiti arrestati erano gli attori. Sopra ho detto "eroe". Un lemma che oggi, quasi per definizione significa enfasi. Ma Panahi da anni si muove sul filo di un pericolo estremo. Rischia la vita. Non c'è davvero enfasi in quel lemma. Essere dissidenti, "contro", ribelli, attaccare la cultura, la politica, la società del proprio Paese, da molte stagioni è pratica conosciuta.

Esemplare
Cito un nome, uno solo, decisivo ed esemplare, Oliver Stone. È il peggior nemico dell'America, certo nei film. Attacca, dissacra, rilegge, con violenza. Ma il ... regime americano lo lascia fare, Stone non corre nessun rischio, anzi per lui l'azione è eccitante, divertente magari. Non si divertì affatto Charles Chaplin, nei primi anni cinquanta, nella stagione di McCarthy, quella della cosiddetta caccia alle streghe. A Londra per l'anteprima del suo Luci della ribalta, gli fu negato il visto di ingresso per il ritorno negli Stati Uniti. La commissione per le attività antiamericane lo aveva accusato di comunismo. Un'accusa ridicola e grottesca che comunque lo indusse a trasferirsi in Svizzera. Chaplin "punì" l'America ingrata girando Un re a New York, una satira impietosa di certe patologie americane a cominciare dalla "paura rossa". In una famosa battuta, sconsolato, guardando l'obbiettivo dice: "Io, un re comunista". Una vicenda che accadeva negli Stati Uniti, piattaforma della democrazia moderna. Non molto tempo fa.

... quel Paese
Se vale il famoso assunto di Bertolt Brecht "fortunato quel Paese che non ha bisogno di eroi" ebbene l' Iran non è uno di quei Paesi. Perché è pieno di eroi, specie nel cinema. E sono tutte voci importanti, che si sono fatte sentire nel mondo. Tre nomi, fra gli altri: Mohsen Makhmalbaf, quello di Viaggio a Kandahar; Golshifteh Farahani, attrice esule a Parigi; Abbas Kiarostami, il più importante di tutti, maestro di Panhai e maestro in assoluto.
Nel quadro "artisti-contro-regime", non c'è che l'imbarazzo della scelta, basta... che ci sia un regime. Ecco un altro nome esemplare, Buñuel nome importante, storicizzato. Quando la Spagna, dopo la guerra civile, nel '37, divenne "regime" di Franco, il regista era già famoso ed era... Buñuel, cioè uno degli autori più critici e dissacratori della storia del cinema. Franco cercò di blandirlo, ma inutilmente, l'artista lasciò la Spagna. Certo la "qualità" del regime franchista non era quella dell'Iran. Le mancava, fra le altre, una voce molto importante, la più pericolosa, la religione. Franco voleva semplicemente il potere, non gli interessava il possesso delle anime. Durò a lungo, era "tollerato" dalle grandi potenze occidentali. Forse Buñuel non rischiò mai la vita. Ma Panhai sì, e merita l'attenzione e l'impegno di tutti. Che c'è stato.

Ricorsi... nobili
Ho spesso esteso i contenuti dei miei interventi, per analogie, a discipline diverse dal cinema, alla letteratura per esempio, una delle sorelle maggiori. Sempre di arti trattasi, più o meno nobili. Gli artisti che pagano il prezzo, magari molto alto, della libertà, ci sono sempre stati. Dicendo "nobiltà" emerge un nome, una citazione, davvero facile, in automatico, Dante. La Firenze della sua epoca, siamo intorno al milletrecento, era divisa fra Bianchi e Neri. In sintesi approssimativa, magari un po' arbitraria si può dire che i Bianchi fossero, se non i buoni, i "meno peggio". Proponevano una politica che salvaguardasse l'autonomia della città, mentre i Neri erano legati agli interessi del papato, che non significava, ancora una volta "anime", ma potere e denaro. L'artista, il poeta, non poteva che scegliere la parte "libera". Così Dante si schierò contro Bonifacio VIII, il risultato fu una condanna a morte. Dante fuggì da Firenze e peregrinò per il resto della vita, ospite non sempre così gradito delle famiglie che governavano le città del centro e del nord: Forlì, Verona, Arezzo. Secondo il Boccaccio l'Alighieri arrivò anche a Parigi. Ma non ci sono sicurezze. E comunque il fiorentino in quei suoi famosi versi non descrisse male il sentimento dell'esule: quanto sa di sale lo pane altri e quanto è duro calle lo scendere e salir per l'altrui scale...

Romantico
Un altro grande dissidente fu Ugo Foscolo. Spirito inquieto e romantico, uomo d'azione, era perfetto per innamorarsi della cultura napoleonica. Sentimento che gli inimicò il governo veneziano e che lo costrinse a rifugiarsi sui colli Euganei e poi a Bologna. Nel 1797 il trattato di Campoformio decretò la pace fra la Francia e l'Austria dopo la vittoriosa campagna d'Italia di Napoleone. Di fatto, il futuro imperatore dei francesi regalò Venezia all'Austria. Per la costernazione di Foscolo. Il poeta, dissidente per cultura e destino riprese a viaggiare. Non solo per esilio, anche perché amava farlo.

Dissidente
Nell'era contemporanea il termine dissidente richiama l'Unione Sovietica. Un nome decisivo in quel senso è Boris Pasternak. Lo scrittore di Mosca cominciò a non piacere al regime per i suoi contenuti troppo intimi e personali, non inseriti nella cultura collettiva comunista. Il dottor Zivago, storia di un poeta più attento a se stesso e ai propri cari che alla rivoluzione, fu proibito in Russia, e venne distribuito clandestinamente. Uscì comunque nel mondo col successo, immane, che sappiamo. Valse all'autore il premio Nobel, ma il regime gli impedì di ritirarlo. Pasternak rimase in patria, ma con grande sofferenza e insopportabili limitazioni.

Stalin
Aleksandr Solženicyn in una lettera nel 1945 faceva un'allusione a Stalin, gli costò undici anni di carcere. Rimesso in libertà scrisse "Una giornata di Ivan Denisovic", resoconto rigoroso e impietoso della vita nei campi di concentramento stalinisti. Un libro decisivo nel panorama letterario e politico di quell'epoca. Lo scrittore riuscì a sopravvivere in Russia perché aveva nel suo Paese e in Occidente, garanti numerosi, potenti e appassionati. Inoltre anche a lui, come a Pasternak venne attribuito il premio Nobel, un segnale clamoroso contro il regime. Ma quando Solženicyn, nel '73 pubblicò "Arcipelago Gulag", un altro manifesto, ancora più tragico e spietato di "Denisovic", il regine lo espulse. Lo scrittore si stabilì prima a Zurigo, poi nel Vermont, Usa.

Hitler
Nel 1933, con la presa del potere di Hitler, la Germania vide il più grande esodo... dai tempi di Mosè. Artisti, scrittori, gente di cinema e di teatro, delle arti figurative, scienziati, molti fra i talenti più belli e le intelligenze più alte del novecento, dovettero fuggire non solo in nome della libertà, ma per la sopravvivenza. Corsi e ricorsi, in tutte le parti del mondo. E non si finisce mai.

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