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Sui tuoi passi: alla ricerca della verità e di se stesso

Presentato il tv movie Rai interpretato da Massimo Ghini.
di Alessandra Giannelli

Una storia vera
Massimo Ghini (70 anni) 12 ottobre 1954, Roma (Italia) - Bilancia. Nel film di Gianfranco Albano Sui tuoi passi.

martedì 3 marzo 2009 - Televisione

Una storia vera
Questa è una storia vera", tale è l'incipit della presentazione di Sui tuoi passi, il film per la tv che andrà in onda, il prossimo lunedì 9 marzo, su Rai Uno. Un tv movie che tratta la storia di un padre, interpretato da Massimo Ghini, alla "disperata" ricerca degli assassini del figlio in un paese straniero. Scritto da Fulvio Ottaviano ed Elena Cantarone, prodotto da Rai fiction e Laurentina Guidotti (cui si deve anche il soggetto), per la regia di Gianfranco Albano (recentemente regista de Il figlio della luna). Tutto è nato da una notizia di cronaca: un padre coraggio che, non rassegnandosi alla morte del figlio avvenuta all'estero e alle indagini che si stavano compiendo sul tragico evento, è partito per andare a cercare gli autori del fatto. La notizia in questione, negli uffici Rai, è stata portata un giorno dalla Guidotti che, con passione e convinzione, manifestava il desiderio di concretizzare, televisivamente parlando, questa storia, pur avendo tra le mani solo una piccola notizia di cronaca. Passione che ha mosso anche gli sceneggiatori, che, con grande capacità e maestria, hanno costruito, intorno ai brevi cenni di cronaca, una storia più articolata. La collaborazione di tutti, compresa quella del regista (innamorato della storia anche lui) e del protagonista Ghini, hanno permesso che il risultato fosse di grande qualità. Quest'ultimo, infatti, è un attore poliedrico ed è stato capace di calarsi in questo che può essere definito un dramma contemporaneo, conducendo per mano lo spettatore attraverso un viaggio che il protagonista ha compiuto per ritrovare notizie su suo figlio, ma anche se stesso. È un film di grandi valori, di contenuti etici e si svolge su due piani: tratta, in modo molto vero, in modo originale diremmo, il tema dell'integrazione; ma c'è anche l'aspetto di questo padre, che, non solo riporta ordine nella vicenda legata al figlio, ma anche dentro di sé. Attraverso la storia del film, c'è la riconciliazione di quest'uomo con se stesso e la propria famiglia. Massimo Ghini ha dato un grande contributo al suo personaggio. Dobbiamo, infatti, pensare che lui interpreta un padre calabrese poi emigrato nel nord dell'Italia, Salvatore Mancuso, che va a cercare suo figlio in Germania, dove il razzismo è un problema ancora esistente. Lui, che a sua volta è un emigrato, e si "scontra" con altri problemi razziali. È un po' la storia di ogni immigrato che, una volta che trova il suo spazio, trova al nord il suo benessere, diventa lui stesso, in qualche modo, diffidente nei confronti dei diversi. Ed è proprio questa diffidenza che lo caratterizza quando viene a contatto con la comunità turca in Germania e, a questo punto, avviene il suo riscatto morale e la sua crescita.

Perché raccontare proprio questa storia?
L aurentina Guidotti: "Avevo prodotto, precedentemente, Il bambino sull'acqua, una storia che mi aveva colpito, anche quella tratta dalla cronaca, dalla realtà (due genitori che, per salvare il proprio figlio, costruiscono una barca e non si fermano davanti a niente). Per questa storia, nel 2005, c'era stata una trasmissione che aveva parlato di questo padre e poi io, sul Corriere, vidi un articolo di un giornalista che scrive sempre su argomenti che possano, in qualche modo, scuotere l'opinione pubblica, quasi sempre delitti. E anche questo fatto era sottolineato come delitto, ma si parlava molto della grinta del padre, che era arrivato in una città del Nord Europa, era andato alle trasmissioni televisive, aveva fatto di tutto perché la polizia indagasse, perché il muro di omertà di queste comunità integraliste cadesse. Lui riuscì a risolvere il caso. Questo discorso da una parte, e poi la perdita di un figlio dall'altra, mi hanno fatto venire in mente la possibilità di raccontare questa storia in televisione, grazie a Rai Fiction".

Gianfranco Albano, per quale ragione, anche tu, hai voluto realizzare questa storia?
Ho sempre adorato tutto ciò che riguarda il diverso, colui che fa paura, tutti coloro dai quali ci sentiamo "accerchiati" quotidianamente e che mi stimolano atteggiamenti difensivi. Questa storia è come una matrioska: un primo livello molto forte, un poliziesco, tutti vogliono sapere come va a finire, chi è l'assassino; il secondo livello è il rovesciamento dei luoghi comuni e dei pregiudizi perché Salvatore è maschilista, autoritario, un po' "fascistello", insomma reazionario, ed è una persona sgradevole perché non ascolta nessuno; il terzo livello, è l'incontro con il "diverso" cioè il turco. Nella storia, Salvatore definisce i turchi bugiardi e violenti, potrebbero essere rumeni o ucraini e potrebbe essere un tema molto attuale. Il film, quindi, ha tutte queste interessanti connotazioni e poi è un viaggio, non solo fisico, perché Salvatore, alla fine, sarà diverso. Un film sulla riconciliazione con se stessi, ma anche con il figlio, con la moglie e con i suoi pregiudizi in generale.

Massimo Ghini, il tuo racconto su questo film?
Considerato il tema, posso dire che questo film non ha una connotazione "partitica", anche se potrebbe essere il frutto del "pensiero leghista". A proposito, c'è un bellissimo documentario di Davide Ferrario sui temi leghisti che svela che, la maggior parte di coloro che aderiscono a questa ideologia, sono emigrati del Sud. Il riferimento a questa realtà mi ha potuto aiutare a costruire meglio il mio personaggio. Su questo set io ho sofferto molto, e ho fatto soffrire anche gli altri, perché dovevo riuscire a immedesimarmi dentro un orrore e, per me che sono padre di quattro figli, non è stato facile. Ho avuto discussioni sul set, ma volevo cercare, e spero di esserci riuscito, un equilibrio nella drammaticità del personaggio per non cadere in quella facile ricerca dell'emozione. Mi sembrava che il personaggio fosse talmente allucinante, talmente disperato, che tale disperazione doveva essere vissuta dal pubblico, e spero sarà così. A me è piaciuto molto il modo di affrontare il tema sociale, riguardo alla comunità turca, non con il solito buonismo "all'italiana" perché i turchi sono esseri umani come noi, pieni di contraddizioni. Alla luce di tutto quello che sta accadendo, credo che sia un tema interessante. Voglio ringraziare la Rai che ci permette di fare questo tipo di film, anche se mi dispiace la collocazione al lunedì sera, è come se mi avessero invitato in una discoteca a leggere Neruda. È sempre e solo una questione di numeri, ma invece vorrei che si pensasse, come prima cosa, alla qualità. Questa cosa mi sento di dirla perché qui tutti ci abbiamo messo l'anima e vorrei che, soprattutto voi giornalisti, nel giudicare questo film, non ne faceste solo un discorso, ripeto, di numeri, ma guardaste alla qualità! Nel valutare il film, non mettete tutte le cose sullo stesso piano.

Il vostro intento è stato quello di dimostrare che la comunità turca, a Berlino, nonostante tutto, non sia poi così integrata?
G ianfranco Albano: "Assolutamente si! È vero, a Berlino vivono circa 160.000 turchi, una comunità grande e da più di cento anni c'è una fratellanza tra turchi e tedeschi. Ciononostante, benché ci siano leggi e loro siano molto integrati, sono considerati sempre con un po' di sospetto e, da parte loro, c'è sempre un atteggiamento di difesa. Questo porta a far capire che non bisogna fare "di tutte le erbe un fascio" quando accade un fatto grave: se un turco uccide, non è detto che tutti i turchi siano assassini così come se un rumeno stupra, non tutti i rumeni stuprano".

Si può parlare del quartiere turco a Berlino, come dell'Esquilino a Roma?
G ianfranco Albano: "La storia del quartiere turco, a Berlino, ha subito un po' di cambiamenti. In realtà, sono due i quartieri turchi: uno è il luogo di ritrovo di tutti i berlinesi, dove c'è vita, si canta, ci sono pub deliziosi e ci si incontra la sera, poi c'è l'altro che faceva parte della Berlino Est ed è quello meno folkloristico. Noi, invece, in Italia, siamo all'inizio di questo "problema". Ci capitava, a Berlino, col fatto che giravamo un film sui turchi, di vedere turchi dappertutto e tu capisci che c'è una grande concentrazione nei due quartieri, ma poi sono ovunque e non vedi atteggiamenti di diffidenza nei loro confronti, però, tramite i miei amici tedeschi, so che ad Amburgo i turchi non "vanno più di moda" per alcuni fatti che sono accaduti. La comunità turca non è tutta uguale: gli anziani, a differenza dei giovani, sono molto integralisti; i ragazzi parlano tedesco e gradiscono la cultura tedesca".

È vero che non avete voluto fare "sconti" nel descrivere la situazione delle donne della comunità turca e viene quindi fuori sia l'arretratezza sia la sottomissione delle stesse?
F ulvio Ottaviano: "È stato fondamentale il viaggio che ha fatto Gianfranco, prima delle riprese, nella comunità turca. Con Elena (Cantarone), quando abbiamo scritto la storia, ce lo siamo posti il problema. Poi, quando Gianfranco ha fatto leggere la storia a colei che interpreta la figlia turca, è stato ringraziato perché rispecchiava molto la realtà che loro vivono. Per noi è stato un placet. Non vogliamo dire che la condizione, in tutte le famiglie turche, sia questa, ma a noi serviva, per il nostro racconto, che avesse tali caratteristiche".

Il finale è troppo "buonista"?
G ianfranco Albano: "Possiamo dire che mette d'accordo tutti. Ti racconta che la vita è altrove, che la verità è meno rifinita e anche ambigua e bisogna essere più cauti nell'affrontare le situazioni. Si, c'è un lieto fine, ma perché c'è una nascita, c'è un bambino e, finalmente, un uomo si riconcilia con se stesso, con gli altri. Io rifuggo dal sentimentalismo e quando sento parlare di "buonismo", mi viene da pensare a un impoverimento del sentimento, ma non è così".
Interviene Ghini a sottolineare che, dopo una storia così drammatica, è salutare che ci sia un lieto fine, ci voleva diciamo!

L'avete offerto alla televisione tedesca?
Laurentina Guidotti: "La televisione tedesca è interessata e siamo in trattative. La televisione tedesca è interessata perché il 60% dei dialoghi è proprio in tedesco".

Prima di rivolgere un appello a noi giornalisti, sul discorso della qualità, il sig. Massimo Ghini l'ha rivolto alla Rai?
M assimo Ghini: "Mi sono rivolto alla Rai, con la quale "convivo" da molti anni e "stando in famiglia", a volte non si è d'accordo su alcune scelte. Mi faceva piacere presentare a voi le mie precisazioni, anche se ormai non andremo in onda domenica, come doveva essere, ma lunedì. Io ci sono abituato, sono un attore "saltellante", anche con Raccontami è successo. Spero solo che il discorso di qualità rimanga!".

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