I rapporti tra il film di Terracciano e la commedia all'italiana.
di Marlen Vazzoler
Come è nato il progetto di questo film?
Vincenzo Terracciano: Le storie nascono per caso, pure questa è nata per caso. Otto
anni fa, è nata l'idea di raccontare la vita di un giocatore e di una famiglia, della quale, come avete visto, mi sono concentrato sui rapporti interni che la regolano.
L'idea del giocatore è quella di uomo semplice, un
piccolo borghese, un uomo normale messo d'innanzi a scelte
estreme, un uomo capace di scegliere, capace anche di assumersi le
responsabilità di questa scelta. L'idea del giocatore romantico non è
assolutamente il personaggio di Franco Campanella.
Come hai pensato al finale e qual è il tuo rapporto con la tradizione del cinema italiano?
Vincenzo Terracciano: Il finale per quanto mi riguarda è sempre stato il punto fermo del film, probabilmente il film nasce da lì.
Mi sento assolutamente figlio di quella tradizione lì, chi non lo è
quando fa questo lavoro. Quando si parla di maestri insomma spesso si
cita i grandi, grandissimi, però io a fianco ci metto Germi, Comencini,
Monicelli, insomma coloro i quali raccontavano la realtà tenendone
presente tutto, se c'è un sorriso c'è un sorriso e chiaramente c'è anche
la tragedia. Sono contento che tu abbia colto questa cosa
perché è anche un grande omaggio alla tradizione, alla commedia
italiana, quella non ridanciana.
Come hai costruito questo personaggio che è anche caratterizzato dai gesti che fa?
Sergio Castellitto: Io parto sempre dal comportamento più che dalle parole che il
personaggio dice. A proposito della commedia all'italiana, è evidente che
fatti naturalmente tutti i dovuti umilissimi raffronti, questo film ha la
pretesa di essere figlio di quella grande commedia lì, nella misura in
cui anche Il sorpasso finisce come una tragedia e quindi con una
macchina che cade giù da un baratro.
Detto questo, personalmente io ho fatto un omaggio umilissimo ed anche
ambiziosissimo ai grandi attori scrittori italiani, ho pensato a De Sica
che era un attore che scriveva, ho pensato ad Edoardo che era un attore
che scriveva, ho pensato a Germi che era un attore che scriveva e così
via. In questo senso ho pensato a certi tic, a certi baffi, a certi modi
di muovere la mano e così via, davvero un atto d'amore verso quegli
attori che mi hanno, come dire, insegnato l'amore e la passione per questo
mestiere, soprattutto per un certo modo di recitare che è profondamente
italiano e racchiude il vero DNA del nostro modo di essere davanti ad
una cinepresa, che è un modo umile e presuntuoso allo stesso tempo, che mette
insieme quello che appunto si chiama la miseria e la nobiltà della
recitazione.
Di Napoli si parla moltissimo, a proposito e a sproposito...
Sergio Castellitto: La differenza sostanziale con la Napoli appunto Gomorresca o
Gomorroidale, non so più come chiamarla, che è una Napoli firmata e
raccontata in maniera sublime, è proprio questa: quella è una Napoli
filmata, questa è una Napoli messa in scena ed è in qualche modo una
Napoli di regia.
Quando dico che questa Napoli è raccontata con delle ombre, delle luci
quasi ceckoviane...in questo lo trovo un film estremamente sorprendente,
una Napoli dove non si vede il mare se non alla fine, dopo un pò ti
scordi che Napoli sia una città sul mare, una Napoli di montagna dove
bisogna salire e scendere le scale. Questa è secondo me visivamente è
una delle cose più forti e più divertenti... e mi fa piacere che sia
sottolineato perché deve arrivare come un'autentica novità visiva del
film, dentro ad una tradizione quasi antica.