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Com'è difficile raccontare il '68

Il grande sogno, di Placido, ne racconta una parte, sommersa dai clichè.
di Pino Farinotti

Una piattaforma troppo grande e complessa
Luca Argentero (46 anni) 12 aprile 1978, Moncalieri (Italia) - Ariete. Interpreta Libero nel film di Michele Placido Il grande sogno.

lunedì 14 settembre 2009 - Focus

Una piattaforma troppo grande e complessa
Raccontare il Sessantotto è molto difficile, è una piattaforma troppo grande e complessa. Si tratta di inquadrare il movimento allora, solo allora, oppure in prospettiva, ci sono troppi segmenti: la lotta, la politica pura, le idee, il sentimento, lo studio, il cambiamento, la rivoluzione nelle sue forme. Il grande sogno di Placido racconta l'esserci in mezzo, allora. E qui inserisco un inciso che, in questa chiave ha una certa rilevanza: anch'io c'ero in mezzo allora, non a Roma, a Milano alla Statale, l'ateneo che avrebbe identificato quel movimento. Il film non va bene per un peccato originale paradossale: perché è un film e dovendo rispondere a certe regole vive di momenti, di spunti che si accendono e si spengono rapidamente, è un fatto di tempo, di struttura, solitamente al cineasta appartiene quella cultura. Deve risolvere in chiave di spettacolo e di sintesi, deve essere veloce e quel meccanismo ti fa camminare sul filo del pericolo banale, della maniera e del cliché. Un pericolo che gli autori davvero bravi sanno evitare. Bellocchio li evitava, e anche Risi e Monicelli, e anche Loach. La scrittura, quella vera, alta, sì, la letteratura, aiuterebbe, ma è qualità rarissima, quasi assente negli autori di cinema. E certo è assente in Placido, che è anche co-sceneggiatore. E così il suo film è una proposta certo appassionata, ma già vista, di maniera e di cliché, di dentro o fuori, di buoni e cattivi, di intelligenti e stupidi, di bianco e di rosso. Senza contorni.
Simboli
I simboli borghesi, o istituzionali vengono così tradotti: i docenti sono idioti, come quello che continua a recitare dei versi mentre la classe è in tumulto, o cattivi e in malafede, come quello che minaccia la studentessa perché va fuori tema (va in tema... politico). La famiglia borghese vive in uno stato di tensione e di infelicità tangibili come pietre, rappresentata dalla cena della famiglia dove il padre terrorizza tutti e dice alla figlia, che ha idee diverse, "vattene in camera tua". Poi c'è il capitano della polizia, che sgrida il subalterno (che poi è Placido) che legge Brecht, declamando "s'ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo", sì, un altro idiota. C'è anche il poliziotto che non è solo idiota, ma proprio cattivo e senza onore: prima promette che il ragazzo potrà far visita al padre morente, poi lo fa arrestare in casa. Poi c'è un prete che durante un battesimo, quando pronuncia la parola "satana", viene contestato da un ragazzo e gli dice "stai commettendo peccato mortale". Un altro idiota. E poi l'esercito, con gli squadroni, che camminano quasi col passo dell'oca, in un rumore assordante. E poi naturalmente la violenza generale, con istantanee che rimandano più al Cile di Pinochet che al nostro Paese. Il passo successivo alla militanza, cioè la faziosità, è legittima, è un'energia che si aggiunge allo strumento di chi è in trincea. Ma se la faziosità non concede nulla all'idea altrui, opposta, anzi, la stravolge e la distorce, allora la proposta, la denuncia, l'indicazione, non servono, si annullano, ottengono l'effetto opposto.
Sinistra
E, come avevo scritto per Le ombre rosse di Maselli: se hai voglia di sinistra, ti passa.
E' proprio nella mediazione della faziosità che gioca l'intelligenza, una mediazione che gli autori veri, che hanno cultura, sentimenti e onestà appropriati, sanno fare.
I cliché in positivo sono perdonabili, sono giovanili. E dunque le citazioni storiche, belle e accorate, romantiche e certo corrette e vitali sono accolte con piacere, anche se, come si dice, annunciate: Guevara, Luther King, Mao, Bob Kennedy, il napalm e il Vietnam, tanto Vietnam. Tutti i buoni-anzi-buonissimi da una parte, tutti i cattivi-anzi-cattivissimi dall'altra. Nelle fasi individuali del film Placido è bravo. I disagi della famiglia, i momenti d'amore, anche le rivendicazioni private accorate, funzionano. Davvero intensa la sequenza dell'infarto del triste padre che non capisce più niente di ciò che succede nella sua famiglia. Il Sessantotto di Placido è goliardico e schematico, dichiara solo una superficie. Il ragazzo Placido non lo capì allora e l'artista Placido non lo capisce adesso.
Testimone
Perfeziono il segnale, l'inciso che ho posto all'inizio: quel che so del '68, dunque la mia testimonianza, anche come autore, ma soprattutto l'avvallo di un altro testimone molto, molto importante. Come ho detto studiavo allora alla Statale ed ero in ciò che accadeva. Fra gli studenti c'era Mario Capanna. E' notorio. Si distingueva, anche questo è notorio. E molti si sono incrociati con lui, me compreso. In quegli anni passavo parte dell'estate in un paese dell'alto piacentino, da dove nasce il Nure e la sua valle. C'erano solo poche case, il fiume, i monti intorno. Per ragioni di rapporto fra famiglie e costi di ripetitori, non c'era neppure la televisione. I giornali li compravi a Ferriere, a 7 km. Lassù nessuno leggeva, nessuno era informato. Tranne uno, Giacomo Bisi, ragazzo mio coetaneo. Giacomo aveva eletto Mario Capanna a suo eroe. Mi disse "abiti a Milano, hai studiato con lui, se lo incontri dagli la mano da parte mia". Gli risposi "se lo incontrerò, lo farò". Giacomo prese un diploma di marconista e fu assunto su un cargo che andò in avaria davanti a un porto francese e si spaccò in due. Per una questione di mafia portuale non si attivarono i soccorsi, alcuni volonterosi adattarono una gru che, uno per volta, portò tutti in salvo, meno Giacomo che morì annegato. L'Università era finita e non avevo più visto Capanna. Ma nel 1995, in occasione dei 100 anni del cinema, avevo una rubrica in televisione. Rintracciai Capanna e lo invitai. Venne volentieri e parlò del '68. Gli altri ospiti erano Maurizio Porro, Marta Marzotto, Andrea Pinketts e Pietruccio dei Dik Dik. Culture e personalità diverse, che proposero tanti ricordi e argomenti. A bocce ferme, a ossa monde, a conti fatti, Capanna ricordava secondo la sua attitudine di uomo intelligente, umano e onesto. Raccontò vicende sconosciute, individuali, importanti e divertenti. Insistette sul fatto che più gli premeva: "attenzione, davvero attenzione a non confondere quel movimento con qualcosa che innescasse, o fosse legato al terrorismo." E a un certo punto, alla fine io raccontai la vicenda di Giacomo Bisi, concludendo: "e così, a venticinque anni di distanza, mantengo la promessa fatta e stringo la mano a Mario Capanna". Lui si alzò, mi strinse la mano, risedette e cominciò a piangere, tenuto certamente. Poco dopo, recuperata la voce disse. "Ecco, il sessantotto era soprattutto questo."
Cambiare il mondo
Come ho scritto qualche giorno fa, nel pezzo su Maselli: cambiare il mondo apparteneva a tutti noi. Stare col debole, la cultura solidale e contro il privilegio, la rabbia e l'azione: tutto questo c'era, e c'eravamo dentro. E pure nelle evoluzioni successive, nei destini e nei compromessi, "tutto questo" non ce lo avrebbe mai tolto nessuno.
Dopo tanti anni, ritengo che le eredità, i segnali, il risultato del '68, siano più cattivi che buoni. E non è un concetto che si presta ad essere, per molti versi, sospetto, non è un giudizio politico. E' invece molto semplice: una volta adulti, quasi tutti, siamo peggiorati. Ma ciò che rimane, consolidato e univoco, sopra tutto, è quello che ha detto Capanna. E senza nemmeno il bisogno di alzare il pugno.

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