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David LaChapelle ospite speciale del Festival di Palazzo Venezia

È stato presentato questa mattina a Roma Rize, il documentario del celebre fotografo e videomaker
di Tirza Bonifazi Tognazzi

lunedì 25 settembre 2006 - News
Dopo aver proposto un calendario davvero ricco con oltre 200 documentari provenienti da 26 paesi diversi, attirando solo nelle prime due settimane circa 20.000 persone, la terza edizione del Festival di Palazzo Venezia è quasi giunta al termine (chiuderà i battenti il 29 settembre). David LaChapelle non poteva scegliere occasione migliore per presentare l'anteprima italiana del suo primo lungometraggio, Rize, che stasera verrà presentato al pubblico, al Palazzo Venezia di Roma alle ore 21.30. Subito dopo la proiezione stampa di questa mattina, il noto fotografo e videomaker si è intrattenuto con i giornalisti per raccontare la genesi del suo film.

Come è nata l'idea di fare un documentario sui ballerini del ghetto?
Stavo girando un videoclip a Los Angeles (Dirrty, di Christina Aguilera, NdR) quando un mio amico mi ha detto di andare a South Central, il ghetto, per vedere questo nuovo tipo di ballo che stava prendendo piede. Sono rimasto così affascinato da quel movimento che nel 2004 ho girato un cortometraggio dal taglio documentaristico, Krumped. Conoscendo meglio quelle persone, entrando nelle loro vite ho deciso di fare un documentario che parlasse di loro. Sono eroi dei tempi moderni, considerata la loro posizione sociale fanno scelte difficili nel tentativo di risolvere i problemi in maniera eroica.

Quali sono le differenze rispetto al movimento hip hop?
Intanto trattano le donne in maniera diversa, non mancano loro di rispetto, c'è più uguaglianza fra i sessi. E poi non c'è la cultura dell'ostentazione del denaro, delle auto, dei diamanti. In questo stile di danza ci sono molti elementi spirituali. Quando li ho visti ballare ho subito notato la relazione che c'è fra il krumping e le radici africane, per questo ho voluto inserire nel documentario delle immagini d'archivio, pur temendo che potesse essere una scelta ovvia. Quando in fase di montaggio ho mostrato quelle sequenze ai ragazzi mi ha colpito il fatto che loro non le avessero mai viste, sono rimasti scioccati. È come se in loro fosse rimasta una traccia mnemonica di questa cultura. Per tornare alle differenze fra questi due mondi, nell'hip hop c'è molta ripetizione, mentre il krumping è uno stile eccitante su tanti livelli, la novità sta soprattutto nello stimolo che c'è dietro, ovvero offrire un'alternativa a ragazzi che altrimenti farebbero parte di una gang.

Può essere una soluzione alla violenza tra le gang?
In America non ci sono infrastrutture sociali, né familiari, che possono aiutare realmente queste persone. Tommy il clown dà un'opportunità a questi ragazzi e finora è riuscito a salvare tante vite. Conoscendo la sua storia e quella dei ragazzi delle band di ballo rivali ho capito che era mio dovere documentare questo movimento. Oltretutto lo stile si sta espandendo rapidamente, l'hip hop lo sta incorporando e gente come Madonna sta portando questi ragazzi in tour; la speranza è che nel diventare sempre più famoso il movimento porti con sé anche il messaggio sociale.

Come ti sei avvicinato alla lavorazione, dal punto di vista fotografico?
Avevo detto al direttore della fotografia che volevo che il film venisse trattato con la stessa delicatezza con cui un tempo si usava fare i documentari, in pellicola, per rendere le riprese speciali, dare valore alle singole interviste. Ho voluto far parlare i ballerini e non divagare troppo con la telecamera. Una cosa in comune tra la fotografia e i film che amo è il lato surreale: cosa c'è di più surreale di un clown gigante con la parrucca dai colori dell'arcobaleno che corre per il ghetto? Inoltre nei soggetti del film ho trovato tutto l'aspetto sensuale e fantastico che di solito si può trovare nelle foto. Nei miei scatti ho sempre cercato di raccontare una storia, e alla stessa maniera Rize racconta una storia di eroi.

Tu hai lavorato con Andy Warhol. Cosa ti ha lasciato?
Avevo 17 anni quando Warhol mi ha dato l'opportunità di andare a vivere a New York e lavorare alla sua rivista, Interview. Era un uomo generoso e buono. Ho scattato il suo ultimo ritratto prima che se ne andasse, ed è stato davvero un onore. Conservo un bel ricordo dell'unica volta che l'ho visto dipingere, stava lavorando al ciclo L'ultima cena ed è stato fantastico vederlo all'opera perché prima di quel momento lo avevo visto solo socializzare, era un tipo davvero mondano. Se c'è una cosa che ho imparato da lui è che non bisogna limitarsi sul piano creativo, ma che si può spaziare nell'arte, che si tratti di fotografia, pittura, scrittura o regia.

Come avete scelto i brani della colonna sonora di Rize?
La maggior parte delle canzoni è stata composta per l'occasione da noi insieme ai ballerini del film. Se avessimo utilizzato brani di altri artisti, per acquistare i diritti la pellicola ci sarebbe venuta a costare milioni di dollari; hai presente la scena in cui la bambina canta qualche verso di In Da Club di 50 Cent? It's your birthday/We gon' party like it's yo birthday/We gon' sip Bacardi like it's your birthday (canta, NdR). Be' sono appena 7 secondi e per utilizzarli abbiamo dovuto sborsare 30mila dollari!

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