This Must Be the Place

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Un film di Paolo Sorrentino. Con Sean Penn, Frances McDormand, Eve Hewson, Harry Dean Stanton, Joyce Van Patten.
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Drammatico, durata 118 min. - Italia, Francia, Irlanda 2011. - Medusa uscita venerdì 14 ottobre 2011. MYMONETRO This Must Be the Place * * * 1/2 - valutazione media: 3,62 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

This must be a Sorrentino's film Valutazione 5 stelle su cinque

di Paolo Assandri


Feedback: 1177 | altri commenti e recensioni di Paolo Assandri
mercoledì 26 ottobre 2011


È l’ultima, la più ricca e la più lontana l’opera più intima di Paolo Sorrentino.

 

Dopo l’esplorazione della mondanità provinciale (L’uomo in più), dell’innocente crudeltà (L’amico di famiglia), della solitudine (Le conseguenze dell’amore) e del potere (Il Divo) Sorrentino va alla ricerca della purezza fuori tempo massimo. L’autore napoletano conferma così di non amare i personaggi profondamente caratterizzati, ma i personaggi in bilico, traballanti, pieni di ambiguità, stupendamente goffi, dolci e divertenti.

Quando i suoi film non indagano mondi già vasti e antinomici in se stessi, come il potere de Il Divo o la solitudine de Le Conseguenze dell’Amore, Sorrentino l’ambiguità la cuce sui dettagli minimi dei personaggi.

Tony Pisapia è una vera star, perso tra cocaina e donne, notti brave e gin tonic, ma è in realtà anche un fallito, stanco, vecchio cantante che nemmeno le piazze di paese rispettano più.

Geremia de’ Geremei, già nel nome un buffone, è un pericoloso usuraio, senza scrupoli, ma è anche un nevrotico, malinconico, avido e sporco mammone settantenne. In bilico tra il grottesco e il gangster.  

Titta di Girolamo e Giulio Andreotti sono i due protagonisti meno ridicoli, ma le ambiguità non mancano nemmeno a loro, basti pensare che Titta di Girolamo è un tossicodipendente una tantum (incongruenza in sé: com’è possibile farsi d’eroina una volta sola a settimana, alla stessa ora, per vent’anni?) o che l’Andreotti Divo è il promotore di una politica di squali divoratori di cibo e di sesso, essendo però uomo pio, di modi fermi, ma inverosimilmente pacati, ossessionato più dall’emicrania che dalla ricchezza, abitudinario e dolcissimo con la moglie.

 

Non riusciamo a voler male a nessuno di questi personaggi, così come non riusciamo ad amarli. Troppo sciocchi per essere eroi, troppo crudeli per essere vittime, troppo deboli per catalizzare odi d’ogni sorta: ogni volta che emerge lo spettro dell’uccisione di Aldo Moro, Andreotti si scalda e s’infuria, come a voler rimarcare la propria estraneità (o comunque il proprio pentimento) di fronte all’unico fatto che tutti hanno chiaro in testa come realmente tragico nel film.

E infine Cheyenne, l’ultimo eroe sorrentiniano. Non è esente dalla logica delle antinomie degli altri personaggi; è infatti un bambino nel corpo di una rockstar in pensione. Dai modi così impacciati, fragili e impauriti che sembra impossibile che un tempo potesse imbracciare una chitarra elettrica e fare impazzire orde di ragazzini isterici.

This must be the place è un romanzo di formazione in veste di road movie. Ovviamente, essendo Sorrentino l’autore, i canoni sono spaccati in mille pezzi: ad esempio il ragazzo è già un uomo da un pezzo, e la formazione non si giova delle scoperte del tempo presente, ma del tempo passato.

Solo con la morte del padre, in ritardo estremo, Cheyenne può finalmente fumare quella sigaretta-archetipo di emancipazione che sancisce la sua avvenuta crescita, che però si manifesta con cambiamenti prettamente estetici: la divisa da rocker si trasforma in una  sobria tenuta casual da borghese irlandese, la pelle non viene più imbrattata di fondotinta e le labbra di rossetto, ma il cuore resta bambino.

 

Il fatto che l'"uccisione del padre" e l'importanza della serenità nel rapporto padre-figlio siano concetti risaputi e ritenuti necessari, da Freud a Jim Morrison, che cantava "Father?"-"Yes, son?"-"I want to kill you...”, nella maggioranza dei casi non è sufficiente affinchè alla teoria seguano i fatti: e il figliolo Cheyenne non fa eccezione.

Il film ha un ritmo cadenzato e morbido, che necessita di una ventina di minuti per essere assorbito, dopodiche si assiste ad un crescendo inesorabile.

 

Sono sempre azioni minime, sovente esilaranti, a dare senso al film e a chiarire il carattere di Cheyenne e la stessa pretestuosa ed esilissima trama, ma non è minimo il risultato.

La ricerca del nazista aguzzino del padre, l’incontro con una serie di personaggi magnificamente superflui, come l’inventore del trolley o l’amante delle armi che spiega la differenza tra l’uccidere e l’uccidere impunemente, le gag accompagnate da battute lapidarie di gusto aforistico (“la distrazione è un problema molto comune nei giovani d'oggi”), la ricerca della propria indole e l’analisi del proprio passato, tutto assume medesima importanza, tutto si schianta nella straordinaria lucentezza del particolare. E così l’oca Emily diventa assolutamente necessaria all’economia del film, proprio perché nell’arte tutto è totalmente superfluo. Diceva Wilde nella prefazione al suo unico romanzo Il Ritratto di Dorian Gray “Possiamo perdonare a un uomo l'aver fatto una cosa utile se non l'ammira. L'unica scusa per aver fatto una cosa inutile è di ammirarla intensamente. Tutta l'arte è completamente inutile.”.

È interessante a questo proposito tornare ad un’analisi più generale della filmografia di Sorrentino ed evidenziare con un esempio quanto detto sull’amore per i dettagli dello scrittore e regista napoletano: la camminata mai banale dei protagonisti.

Cheyenne arcuato in avanti, incerto, leggerissimo, terribilmente lento, Andreotti svelto e felino, passetti piccoli e decisi, la schiena dritta come un bastone, Geremia (penso in particolare al furto al supermercato) furtivo e sgusciante, sembra quasi corricchiare, con il braccio ingessato a fargli al tempo stesso da peso e da galleggiante.

Non si può non parlare, in conclusione, delle prestazioni memorabili che hanno sempre gli attori di Paolo Sorrentino. In particolare e sopra tutti Toni Servillo e Sean Penn hanno ottenuto risultati memorabili. Ci si chiede se sia la vicinanza con un regista così creativo e geniale a far rendere gli attori a questi livelli, o se sia la grandezza incredibile degli attori ad aver contribuito a formare quello che è oggi (e senza dubbio sarà domani) il più importante regista italiano. Padre di uno stile nuovo e personalissimo, poetico e divertente, assolutamente inconfondibile (basta vedere dieci minuti di un suo film e non si possono aver dubbi sul fatto che sia un suo film).

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weach mercoledì 26 ottobre 2011
mi complimento!!!!!!!!!!!
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Ma mi spieghi la sua lettura più analitica che emozionale.Il mio approccio con le cose è di natura emotiva e ,prima di capire voglio " sentire",.Se non sento è come se non ci fosse nulla .Comunque complimenti se poi ci fosse anche un poco di cuore sarebbe perfetto

[+] la ragione ha ragioni anche se il cuore le conosce (di paolo assandri)
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