L'incontenibile energia delle carcerate scatena nella nuova stagione non solo la loro rabbia repressa ma anche il loro desiderio di libertà o di regolare i conti.
di Andrea Fornasiero
Avevamo lasciato le detenute del carcere femminile e federale di minima sicurezza di Litchfield - New York - inferocite per la morte della minuta Poussey, uccisa più o meno involontariamente dall'inesperto secondino Bayley. Questo ha scatenato apprensione nelle altre guardie, tanto che uno di loro, Humphrey, è entrato tra le detenute con una pistola, che dopo un breve tafferuglio è finita tra le mani di Daya, lasciando il pubblico su un forte cliffhanger.
Esattamente come i fan ero ansiosa di vedere cosa sarebbe successo. Quando ho letto i copioni è stato incredibile, e quando poi li abbiamo girati è stato... intenso. Davvero, davvero intenso. Ma nonostante la tensione la serie riesce a mantenere la propria irriverenza e una prospettiva che è sia divertente sia riflessiva.
Com'era a quel punto inevitabile e come è dichiarato dai trailer della nuova annata, nel carcere scoppia una rivolta. La pistola cambia i rapporti di forza tra guardie e detenute, che prendono in mano la situazione, in modo però tutt'altro che organizzato.
Una sorta di incontenibile energia si diffonde a Litchfield e scatena non solo la rabbia repressa delle galeotte, ma pure il loro desiderio di libertà o di regolare i conti. C'è chi se la prende con le guardie, chi vuole giustizia dal direttore del carcere, chi ne vuole approfittare per sballarsi di brutto e chi è decisa a risolvere faide personali o di gruppo. Ovviamente poi c'è anche chi cerca solo di sopravvivere e non peggiorare la propria condanna.
Piper rimane ai margini della rivolta. Il suo istinto sarebbe di farsi avanti, ma lo tiene sotto controllo, cosa che dimostra la sua maturazione. Ha comunque la sua specifica reazione, come ogni altro personaggio. Credo ci sia in questa stagione un'intimità senza precedenti.
La rivolta scoppia dopo che il direttore ha rilasciato un videomessaggio in cui parla della morte di Poussey, senza però nemmeno farne il nome perché tenuto sotto controllo dagli addetti alle pubbliche relazioni della struttura cui appartiene il carcere. Si tratta di un'altra pennellata dell'affresco sul sistema carcerario-industriale americano che la serie approfondisce, criticamente, di stagione in stagione.
E anche la comunicazioni con l'esterno diventano un punto chiave della rivolta: passando per i social network e YouTube, affrontano un altro tema centrale della serie, quello della rappresentazione, del bisogno di far sentire la propria voce sia come donne sia come parte di minoranze ostracizzate dal sistema. Non è un caso del resto che a morire sia stata proprio Poussey, una afro-americana, che porta così nella serie la tematica caldissima del #blacklivesmatter.
La situazione esplode. L'intera stagione ha luogo durante i tre giorni della rivolta. È una struttura davvero interessante perché ha permesso di raccontare con estrema minuzia come ogni personaggio sia messo alla prova da circostanze straordinarie.
Un racconto di tre giornate steso sulle 13 puntate della stagione, permette agli autori - capitanati come sempre da Jenji Kohan - di offrire un quadro estremamente sfaccettato. In linea del resto con uno dei cast più ampi e diversi della Tv, perché se una cosa va riconosciuta a Orange Is the New Black è di aver costruito in questi anni un microcosmo estremamente variegato e del tutto dalla parte degli esclusi. La nuova Orange Is the New Black conferma una prospettiva più che mai alternativa a quella delle altre serie Usa, che si stanno aprendo a storie meno maschili, bianche ed eteronormative, ma che ancora preferiscono nettamente eroi e antieroi benestanti e inseriti, ben diversi dalle ribelli protagoniste della serie.