fabio2
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mercoledì 8 febbraio 2012
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da favola
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La storia è una favola a lieto fine, tutto il resto è altrettanto da favola. Altri film ci avevano abituato al bello del bianco e nero (Good Night Good Luck, Toro Scatenato) ma il riscoprire il dialogo muto è stata impresa difficile ma riuscita. La sala era ai piedi di George Valentin e Peppy Miller. Straordinarie inquadrature d'epoca, sapiente scelta delle musiche e sequenze che fanno già la storia del cinema
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fabrizio dividi
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lunedì 30 gennaio 2012
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il silenzio è d'oro
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Celebrato dai critici e osannato dal pubblico ne prendiamo atto, "the artist" sprizza intelligenza, è puro godimento intellettuale e accende la mente del cinefilo (soprattutto) e del semplice innamorato di cinema. La trama e semplice ma sovraccarica di allegorie: tempo che fugge, dissoluzione, romanticismo, riscatto, ascesa e declino e potremo continuare; ma il vero tema è senza alcun dubbio l'amore per il cinema con i suoi metalinguaggi, le citazioni, i riferimenti ironici e iconici senza tempo, che fanno commuovere e stuzzicano la cultura dello spettatore, al di la di qualche piccola fase di stanca che talvolta, necessariamente diremmo per un film muto e in bianco nero, prende il sopravvento.
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Celebrato dai critici e osannato dal pubblico ne prendiamo atto, "the artist" sprizza intelligenza, è puro godimento intellettuale e accende la mente del cinefilo (soprattutto) e del semplice innamorato di cinema. La trama e semplice ma sovraccarica di allegorie: tempo che fugge, dissoluzione, romanticismo, riscatto, ascesa e declino e potremo continuare; ma il vero tema è senza alcun dubbio l'amore per il cinema con i suoi metalinguaggi, le citazioni, i riferimenti ironici e iconici senza tempo, che fanno commuovere e stuzzicano la cultura dello spettatore, al di la di qualche piccola fase di stanca che talvolta, necessariamente diremmo per un film muto e in bianco nero, prende il sopravvento.
Qualche esempio. Una sequenza che sulle note di "Vertigo" cita e onora il maestro Hitchcock, e che in un montaggio alternato spiega di fatto la natura stessa del thriller. Il tema del doppio, fin troppo abusato tra i cultori dell'arte cinematografica, con continui riferimenti alla doppia vita del protagonista, da celebre star a degradato reietto, attraverso inquadrature, specchi, riflessi di originalità rara. Basti pensare alla citazione "in negativo" di Oscar Wilde, con un geniale rovesciamento semantico del suo "ritratto" (il quadro questa volta rappresenta la vita precedente e di successo del protagonista e non la sua depravazione); o la scomparsa dell'ombra di Valentine(o) che se da una parte rimanda a una delle figure chiave del cinema espressionista (l'ombra è in fondo proiezione e luce dunque prima forma di cinema) dall'altra richiama Chamisso e il suo Peter Schlemihl che perde la propria identità nel momento in cui cede la sua ombra al diavolo in cambio di una valigia di monete d'oro. Il tutto girato con ritmo e maestria e con fotografia di grana e contrasto diversa a seconda del periodo raccontato.
Non poteva mancare la messa in scena di un sogno, prova d'autore che in pochi registi superano a pieni voti. In questo caso Michel Hazanavicius si cimenta con l'ennesimo tributo al cinema e in particolare alla poesia surrealista del "Chien andalou" del maestro Luis Bunuel (non propriamente l'ottuso giovanotto descritto da Allen nel deludente "Midnight in Paris"), con uno stupefacente incubo sonoro che non ha eguali per straniamento e originalità; metafora esemplare di The artist" irripetibile favola nostalgica ma ingioiellata di ironica leggerezza.
Fabrizio Dividi
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olgadik
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martedì 3 gennaio 2012
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passioni, che passione!
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The Artist, un piccolo miracolo di garbo, passione professionale e sapienza di chi il cinema bello di molti decenni fa l’ha frequentato con amore. Così il sospetto iniziale che si trattasse di un cinepanettone d’alto livello, ma pur sempre commerciale, s’è immediatamente dileguato e quasi mi vergogno di volerne parlare usando le… parole. Poiché si tratta di un film muto, che non è un’operazione a freddo, ma piuttosto un omaggio a quanto di duraturo c’era nella produzione anni ’20 e in maestri come Lang, Mornau, Wilder, Chaplin, che il regista dichiara orgogliosamente di aver avuto come idoli nella propria formazione. Non è stato però facile – sempre da sua dichiarazione – trovare un produttore, data la singolarità della proposta, ma infine la tenacia è stata premiata con un risultato apprezzabilissimo.
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The Artist, un piccolo miracolo di garbo, passione professionale e sapienza di chi il cinema bello di molti decenni fa l’ha frequentato con amore. Così il sospetto iniziale che si trattasse di un cinepanettone d’alto livello, ma pur sempre commerciale, s’è immediatamente dileguato e quasi mi vergogno di volerne parlare usando le… parole. Poiché si tratta di un film muto, che non è un’operazione a freddo, ma piuttosto un omaggio a quanto di duraturo c’era nella produzione anni ’20 e in maestri come Lang, Mornau, Wilder, Chaplin, che il regista dichiara orgogliosamente di aver avuto come idoli nella propria formazione. Non è stato però facile – sempre da sua dichiarazione – trovare un produttore, data la singolarità della proposta, ma infine la tenacia è stata premiata con un risultato apprezzabilissimo. Oggi quindi si parla di Oscar, mentre il protagonista Jean Dujardin (un misto di Errol Flynn e John Gilbert), noto in Francia ma poco altrove, è cresciuto vertiginosamente in popolarità e simpatia. Il suo personaggio George Valentin (un riferimento a Rodolfo Valentino), attore di successo del cinema muto, si ritrova solo, fallito e senza una lira a causa dell’orgoglioso diniego di abbracciare una nuova carriera dopo l’avvento del sonoro. Contemporaneamente al declino dell’ex-divo, cresce l’astro della giovane donna Peppy Miller (Berenice Bejo) che lo ama dal loro primo incontro e cercherà in tutti i modi, palesi ed occulti, di aiutarlo mentre sprofonda sempre più nell’alcool e nei suoi incubi. L’amore alla fine trionfa e i toni ridiventano brillanti, mentre un tip-tap indiavolato ci riporta con freschezza a Fred Astaire, Gene Kelly e alle loro partners preferite. Non si creda però a una confezione perfetta che muove dalla voglia di passato dei nostri tempi difficili; l’opera non è affatto l’elegante riesumazione di un tecnico, bensì la reinvenzione in cui convergono molti generi del cinema hollywoodiano. I risultati appaiono tali da emozionare anche oggi. Partendo da acute strategie di linguaggio (ammorbidire il contrasto bianco-nero, dare ritmo più veloce rispetto al muto di una volta, giocare con una bella colonna musicale, potenziare il gesto senza farlo divenire enfatico), Hazanavicius fa leva su sentimenti semplici e sempre attuali: l’amore, l’orgoglio, il riso, la rabbia, l’amicizia, dimostrando così che certi bisogni fondamentali non sono cambiati. Forse la sua è una constatazione, forse un invito a ritrovarli, l’essenziale è che funziona, direbbe Woody Allen. Non citare l’apporto dato a The Artist da attori minori ma bravissimi come caratteristi, sarebbe colpevole, così come lo sarebbe non citare l’interprete “cane” a quattro zampe. E mentre le ultime immagini con i loro bravi sottotitoli si lasciano alle spalle questo impasto di melodramma, commedia e music-hall, a noi spettatori verrebbe quasi voglia di restar seduti a rivedere il tutto.
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beatrice fiorentino
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mercoledì 28 dicembre 2011
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the artist - omaggio al cinema
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L’avvento del sonoro nel cinema ha determinato una vera e propria rivoluzione linguistica, sancendo la fine di un’epoca per gli attori e i registi che non hanno saputo coglierne fin da principio le enormi potenzialità. Alla grammatica ormai affermata con il muto, il sonoro introduce significativi cambiamenti: realismo, fluidità del racconto, maggiore peso alla sceneggiatura, e non ultimo il cambiamento inevitabile nella recitazione che, acquisita la parola, rifiutava gli eccessi e l’enfasi espressiva del passato. Molti registi hanno caparbiamente proseguito per la loro strada come se nulla fosse, intimoriti da questa novità che rischiava di mettere a repentaglio il successo fino ad allora ottenuto.
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L’avvento del sonoro nel cinema ha determinato una vera e propria rivoluzione linguistica, sancendo la fine di un’epoca per gli attori e i registi che non hanno saputo coglierne fin da principio le enormi potenzialità. Alla grammatica ormai affermata con il muto, il sonoro introduce significativi cambiamenti: realismo, fluidità del racconto, maggiore peso alla sceneggiatura, e non ultimo il cambiamento inevitabile nella recitazione che, acquisita la parola, rifiutava gli eccessi e l’enfasi espressiva del passato. Molti registi hanno caparbiamente proseguito per la loro strada come se nulla fosse, intimoriti da questa novità che rischiava di mettere a repentaglio il successo fino ad allora ottenuto. Si pensi a Charlie Chaplin che ha continuato imperterrito a girare film muti per diversi anni anche dopo il fatidico 1927, realizzando a onor del vero fior fior di capolavori come Luci della città o Tempi moderni, dimostrando che il suo eroe vagabondo non aveva bisogno della parola per suscitare nel pubblico grandi emozioni.
Allo stesso modo, Michel Hazanavicius sceglie di raccontare la rivoluzione sonora realizzando fuori tempo un autentico film muto, utilizzando con grazia gli stilemi e il rigore compositivo del passato. The Artist è un film piacevole che ci parla della fine di un’epoca utilizzando paradossalmente lo stesso linguaggio di cui ci sta raccontando la fine. Scelta felice questa, che accentua il dramma del protagonista George Valentin e ci mette nella condizione di vivere insieme a lui l’avvento del sonoro come un vero e proprio incubo (testualmente messo in scena come autentico frastuono). Al divo non sarà data scelta, verrà travolto dall’ondata di nuovo e imboccherà l’inevitabile viale del tramonto senza alcuna capacità di reagire. Emblematica la sequenza sulle scale degli Studios dove c’è chi scende e c’è chi sale (George in discesa, Peppy Miller in salita): qui lo vedremo dire addio al suo passato di gloria nel cinema. Un fallimentare tentativo di produzione in proprio, l’orgoglio ferito e la crisi del ’29 faranno il resto. Sarà l’amore della stellina Peppy Miller a riscattarlo, amore sincero, autentico e disinteressato, capace di salvare Valentin da se stesso e di tornare a far splendere l’astro trasformando il potenziale Rodolfo Valentino in un novello Fred Astaire.
Omaggio esplicito al cinema, The Artist ha forse il difetto di puntare più sul suo essere metafilmico che sui contenuti. Una sequenza ininterrotta di grandissimi film vi sono citati, non sempre per una vera e propria ragione. Sequenze, inquadrature, atmosfere, musiche, tratte dalla grande Hollywood di Orson Welles, Billy Wilder, Alfred Hitchcock, Charlie Chaplin. Anche la sceneggiatura che comincia frizzante e si basa su un’ottima idea di partenza, langue nella parte centrale ma trova comunque una sua felice conclusione. Molto convincente nella sua vis comica, delicata e ironica, il film ha minore forza nei suoi risvolti drammatici forse anche perché si misura con pietre miliari del cinema a cui strizza l’occhio ma con cui può difficilmente competere. The Artist può tuttavia contare su un sicuro consenso garantito dalla trovata di fondo del film che è formale ma ineccepibile e di sicuro effetto.
Grazioso e un po’ gigione come il suo protagonista (Jean Dujardin, già migliore attore a Cannes per la sua interpretazione), The Artist ha raccolto consensi e nomination, molte delle quali, si trasformeranno sicuramente in una pioggia di premi.
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flyanto
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martedì 27 dicembre 2011
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un omaggio all'intero mondo del cinema ed alla sua
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Film ideato e strutturato come un film muto dei primi decenni del '900. Perfetto per ciò che riguarda la recitazione, la riproduzione di un'epoca ormai passata e le coreografie. Un omaggio al mondo del cinema in generale ed al suo rapido evolversi nel corso degli anni. Commovente e nostalgico. Uno dei migliori films degli ultimi tempi.
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sileo
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domenica 11 marzo 2012
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la forza dell'amore
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Dopo essere restato entusiasta di Tree of Life ed essendo restato interdetto dai 5 oscar vinti da the Artist a discapito del film di Malick sono andato a vederlo con un misto di scetticismo e curiosità.
Ebbene, sono rimasto totalmente rapito e affascinato da quest'ultimo: al di là del tributo al cinema passato e dell'esperimento retrò, questo film ha infatti una portata emozionale straordinaria.
A differenza di Tree of Life, che suscita emozioni molto forti nello spettatore bombardandolo con immagini incredibili, messaggi potenti e significati trascendentali, The Artist riesce a incanalarsi in quel sottile e arduo da trovare filo della "simpatia", che permette di emozionare lo spettatore attraverso la sentimentalità, le piccole cose, le espressioni, i sorrisi.
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Dopo essere restato entusiasta di Tree of Life ed essendo restato interdetto dai 5 oscar vinti da the Artist a discapito del film di Malick sono andato a vederlo con un misto di scetticismo e curiosità.
Ebbene, sono rimasto totalmente rapito e affascinato da quest'ultimo: al di là del tributo al cinema passato e dell'esperimento retrò, questo film ha infatti una portata emozionale straordinaria.
A differenza di Tree of Life, che suscita emozioni molto forti nello spettatore bombardandolo con immagini incredibili, messaggi potenti e significati trascendentali, The Artist riesce a incanalarsi in quel sottile e arduo da trovare filo della "simpatia", che permette di emozionare lo spettatore attraverso la sentimentalità, le piccole cose, le espressioni, i sorrisi. E' la semplicità delle emozioni umane, così banali eppure più forti delle forze della natura che il film mostra e inscena per coinvolegere il pubblico.
L'assenza di parole (perchè il sonoro non manca certo con una colonna sonora che rispecchia in ogni momento il livello di pathos in scena, dalla musichetta delle scenette ridicole iniziali all'orchestra imponente delle scene drammatiche) e l'assenza di colori lasciano che la nostra attenzione si focalizzi su significati e sentimenti che emergono dalle facce e dagli occhi degli attori, che danno una notevole prova di se in questa pellicola.
La sceneggiatura è molto originale, la fotografia è un tributo al cinema classico, fatto di specchi e giochi di luce, molto notevole comunque, e partendo da un introduzione spensierata e simpatica, il film sale sempre più verso il drammatico, facendo aumentare la suspence fin quasi alla fine quando diventa talmente alta che, non essendo possibile farla scendere, ci si aspetta che la storia finisca drammaticamente; invece a sorpresa tutto si rilassa, l'orgoglio si fa da parte, le preoccupazioni e la paura vengono cancellate dalla forza dell'amore, che trova nella spensierata interpretazione finale una celebrazione bellissima secondo me.
Il finale mi ha fatto tornare in mente il celebre finale di Tempi Moderni di Chaplin, dove viene passata la bellissima immagine dell'invincibilità di due persone innamorate e sorridenti contro un mondo ostile; anche nel film in questione il messaggio è lo stesso: amando e lasciandosi amare, tutto diventa possibile: sorridenti, affannati e abbracciati, i due protagonisti ci guardano alla fine attraverso la cinepresa e non c'è paura nei loro occhi, solo felicità.
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luis23
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domenica 19 febbraio 2012
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delizioso viaggio nel silenzio
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Dove uno sguardo vale più di mille parole.
Una storia davvero ben costruita e tecnicamente molto godibile . A mio modestissimo parere Lei merita una menzione speciale. Berenice Bejo sembra nata per fare l'attrice...
Paradossalmente questo "tuffo" in bellissimo stile nel passato ci racconta di quando dal cinema muto si passò al sonoro.. insomma all'allora "futuro".
E come in ogni grande cambiamento c'è molta sofferenza, molta fatica a stravolgere le abitudini, stile di vita, a cambiare aspettative dla un nuovo mondo che ci si presenta davanti, dal nuovo modo di fare cinema nel caso di questo film.
Una bellissima storia raccontata" da"l cinema "sul" cinema.
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Dove uno sguardo vale più di mille parole.
Una storia davvero ben costruita e tecnicamente molto godibile . A mio modestissimo parere Lei merita una menzione speciale. Berenice Bejo sembra nata per fare l'attrice...
Paradossalmente questo "tuffo" in bellissimo stile nel passato ci racconta di quando dal cinema muto si passò al sonoro.. insomma all'allora "futuro".
E come in ogni grande cambiamento c'è molta sofferenza, molta fatica a stravolgere le abitudini, stile di vita, a cambiare aspettative dla un nuovo mondo che ci si presenta davanti, dal nuovo modo di fare cinema nel caso di questo film.
Una bellissima storia raccontata" da"l cinema "sul" cinema.A tratti drammatica come ogni cambiamento radicale, appunto.
Ma la capacità di adattarsi, di trovare una soluzione , la possibilità di dare una risposta ad un problema inaspettato fa si che si possa continuare ad andare avanti con rinnovata vigoria e a non soccombere sotto i passi del "nuovo che avanza".
Bellissimo. Oltretutto sembra una magnifica allegoria sui nostri tempi (gli assetti economici dei nostri tempi, gli equilibri del nostro mondo globalizzato).
Invito ad una particolare attenzione alle sfumature espressive,alla mimica e bravura di tutti gli attori che riescono a far parlare un film "muto" come i maestri del passato sapevano fare.
Un ribadire , insomma, che : l'arte non ha tempo.., non ha colore e può anche non avere un suono, la"parola".
Bello !!
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francesca romana cerri
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lunedì 26 dicembre 2011
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la vera creatività si nutre di tradizione
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Alla prima impressione si assiste a qualcosa di diverso di originale, paradossalmente, per i tempi di oggi.. Non c'è affanno nel film, non c'è sovrabbodanza di stimoli, ma c'è un ritorno all'essenziale, al necessario.
Grazie al muto, emerge un attenzione ai particolari dell'espressività, degli occhi, del volto, della gestualità, di quella comunicazione non verbale che da sola regala emozioni profonde e di cui la parola è l'ultimo anello. Ogni elemento stà al posto giusto e anche il film stesso segue nella modalità la graduale accettazione del protagonista a mettersi al passo con i tempi. Gli ultimi minuti si accede al parlato.Una storia di arte, d'amore e di solidarietà fine, reale, credibile, ritmata perfettamente.
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Alla prima impressione si assiste a qualcosa di diverso di originale, paradossalmente, per i tempi di oggi.. Non c'è affanno nel film, non c'è sovrabbodanza di stimoli, ma c'è un ritorno all'essenziale, al necessario.
Grazie al muto, emerge un attenzione ai particolari dell'espressività, degli occhi, del volto, della gestualità, di quella comunicazione non verbale che da sola regala emozioni profonde e di cui la parola è l'ultimo anello. Ogni elemento stà al posto giusto e anche il film stesso segue nella modalità la graduale accettazione del protagonista a mettersi al passo con i tempi. Gli ultimi minuti si accede al parlato.Una storia di arte, d'amore e di solidarietà fine, reale, credibile, ritmata perfettamente.
Nella ruota dello spettacolo a un certo punto qualcuno può non servire più e nella ruota del lavoro stesso quando il progresso avanza chi è legato ad un preciso artigianato si sente fuori. Ma l'artista ha in più un particolare legame con il linguaggio che ha creato e quando arriva il progresso non può snaturare la sua recitazione perchè ciò vuole il mercato. La donna invece cavalca il successo ma quando arriva in cima non si dimentica di aiutare chi è rimasto fuori, chi l'ha fatta innamorare. Una storia d'altri tempi, con valori d'altri tempi, girato alla maniera del passato, umano, sano, vitale. E alla fine se ne esce commossi perchè nel profondo crediamo che non esiste solo la rincorsa al denaro e il successo personale, che da soli non si vince ma almeno in due e in questo mondo impazzito che segue interessi che schiacciano gli umani è meglio essere se stessi.
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melandri
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mercoledì 28 dicembre 2011
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viaggio nel tempo da applausi
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Hollywood,1927.Il divo del cinema muto Georges Valentin è scettico sull'imminente avvento del sonoro e continua testardamente (arrivando anche a prodursi da se i propri film)sulla strada che lo porterà a breve alla bancarotta.Finito nel dimenticatoio, ritroverà la speranza proprio grazie alla giovane star del cinema sonoro Peppy Miller,da sempre sua fan ed innamorata di lui ,della quale Valentin era stato l'inconsapevole pigmalione.
Nell'era di Avatar ,il regista e sceneggiatore Hazanavicius,fa uscire dal suo cilindro questo delizioso film muto ed in bianco e nero che ci riporta, come in un viaggio nel tempo ,al cinema di inizio '900.Potrebbe anche solo bastare questa idea per farne il caso cinematografico dell'anno(non a caso dopo l'entusiastica accoglienza a Cannes è uno dei titoli in odore di Oscar),ma sarebbe riduttivo.
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Hollywood,1927.Il divo del cinema muto Georges Valentin è scettico sull'imminente avvento del sonoro e continua testardamente (arrivando anche a prodursi da se i propri film)sulla strada che lo porterà a breve alla bancarotta.Finito nel dimenticatoio, ritroverà la speranza proprio grazie alla giovane star del cinema sonoro Peppy Miller,da sempre sua fan ed innamorata di lui ,della quale Valentin era stato l'inconsapevole pigmalione.
Nell'era di Avatar ,il regista e sceneggiatore Hazanavicius,fa uscire dal suo cilindro questo delizioso film muto ed in bianco e nero che ci riporta, come in un viaggio nel tempo ,al cinema di inizio '900.Potrebbe anche solo bastare questa idea per farne il caso cinematografico dell'anno(non a caso dopo l'entusiastica accoglienza a Cannes è uno dei titoli in odore di Oscar),ma sarebbe riduttivo.I 100 minuti di pellicola scorrono senza un attimo di stanca(cosa assai rara nei film "parlanti")e la storia è avvincente,sia quando tocca le corde della drammaticità,sia nei diversi momenti comici(un oscar come attore non protagonista al cagnolino,fido compare del protagonista,forse non sarebbe una bestemmia con tanti attori "cani" in circolazione!).
Merita comunque un encomio tutto il cast del film.Jean Dujardin(giustamente premiato a Cannes) nei panni del protagonista disegna con una mimica facciale notevole un personaggio difficile da dimenticare e si avvia a diventare un degno erede del connazionale Belmondo.
La Bejo con il faccino giusto e la sua verve fanno passare in secondo piano il fatto di essere nella realtà la moglie del regista.
Due caratteristi doc di Hollywood come Goodman (Il grande Lebowski) e Cromwell (L.A. Confidential)danno un tocco di cinema internazionale alla pellicola.L'invecchiata Penelope Ann Miller (Carlitos Way)interpreta con gran classe il ruolo della moglie trascurata.
Una colonna sonora azzeccata poi ci accompagna lungo tutto il film che riacquista la parola solo nei titoli di coda, che dopo questo salto nel passato ci riportano verso l'uscita e verso la realtà...
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sassolino
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venerdì 23 dicembre 2011
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lacrime d'amore
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Hollywood, 1927: George Valentin, smagliante attore del muto è all'apice del successo coi suoi ruoli disinvolti quando un bel giorno, quasi per caso, incontra una sua ammiratrice che gli cambierà la vita.
Peepy Bloom, neanche 1/4 del talento di George, ha occhi da cerbiatta che forano gli schermi e soprattutto ha voce, quintessenza vitale di un nuovo corso cinematografico.
L'esistenza dorata del primattore Valentin si sfalda meravigliosamente; via le bellissime Isotta Fraschini, via la viziatissima moglie alla quale era rimasto forzatamente fedele, via la villa principesca degna d'un vero Valentino. Gli unici che gli rimarranno accanto saranno il maggiordomo dai modi inglesi e un piccolo canino che gli salverà la pelle.
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Hollywood, 1927: George Valentin, smagliante attore del muto è all'apice del successo coi suoi ruoli disinvolti quando un bel giorno, quasi per caso, incontra una sua ammiratrice che gli cambierà la vita.
Peepy Bloom, neanche 1/4 del talento di George, ha occhi da cerbiatta che forano gli schermi e soprattutto ha voce, quintessenza vitale di un nuovo corso cinematografico.
L'esistenza dorata del primattore Valentin si sfalda meravigliosamente; via le bellissime Isotta Fraschini, via la viziatissima moglie alla quale era rimasto forzatamente fedele, via la villa principesca degna d'un vero Valentino. Gli unici che gli rimarranno accanto saranno il maggiordomo dai modi inglesi e un piccolo canino che gli salverà la pelle.
La trama, per quanto avvincente e realmente coerente a tutti quegli attori che col sonoro hanno perso la vita (penso a John Garfield o a chi come lui ha buttato le frustrazioni lungo un collo di bottiglia) è davvero secondaria al fascino del film, di una bellezza fuori dal comune.
L'inizio basterebbe; la magia dell'incontro tra Peepy e George, i loro balletti improvvisati tra le quinte, le elegantissime riprese dei set, tali che si stenta a capire dove finisce il cinema e inizia la realtà.
Poi la storia avvinghia come un macigno e la recitazione straordinaria di Dujardin ti strappa il cuore, le sue mimesi facciali sono perfette, perfette a rendere tutta la disperazione di chi improvvisamente si vede portar via la vita, l'amore e come non bastasse la propria arte, il giardino più segreto di ogni attore che si creda tale.
La seconda parte è squisitamente Chapiliniana. Penso al canino salvifico, al maggiordomo di cuore, a Peepy che in una bellissima compra all'asta tutti i cimeli di George.
Un film che attanaglia e che soprattutto dimostra quanto poco servano le parole; il cinema è impatto visivo, recitazione, improvvisazione anche talvolta. Le parole qui son quasi nocive, inquinano i sentimenti di chi guarda con soave rassegnazione e gioia questi cento minuti o poco più di assoluta emozione.
Se lo dovessimo catalogare lo potremmo immaginare come una piuma questo Valentin, una piuma che improvvisa è andata controvento. Andatelo a vedere e imparate, a recitare e anche un po a vivere.
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