Hazanavicius (il regista) ci racconta la storia di George Valentin (Dujardin), stella del film muto della Hollywood degli anni '20, che riscuote grandi successi proprio quando il cinema sta per cambiare, passando al sonoro. Proprio in uno di quei suoi ultimi muti incontrerà Peppy Miller (Bejo), la futura stella del nuovo che avanza.
Tra incomprensioni, incroci e scontri tra le due realtà, vedremo la storia di George scorrere con un film muto, fatto di musica e cartelloni con solo alcune delle battute.
Storia semplice, tecnica antica (ora siamo al 3D, altro che sonoro), ergo, film banale?
Tutt'altro.
Inizierò con nn cenno particolare per la musica, che accompagnia con armonia, scandisce il tempo e sottolinea magistralmente ogni sensazione che i protagonisti provano: si può intuire “l'umore” della scena stando ad occhi chiusi.
The Artist parla della crisi di identità, quella che tutti nella vita dobbiamo affrontare, quando il tempo, le relazioni e le idee vanno avanti più di quanto noi riusciamo a star loro dietro.
Ci pone delle riflessioni, perché George Valentin è un po' tutti noi: quanto siamo definiti da ciò che facciamo, dal nostro lavoro, la nostra casa e le persone che ci circondano? come reagire quando tutto questo passa? Sopravvivere e adattarsi, seguendo l'istinto di sopravvivenza, o semplicemente passare la mano?
La storia umana ci dice che siamo pronti a tutto per andare avanti, anche ai gesti più orribili, ma in ogni caso bisogna passare delle fasi intermedie, elaborare il lutto del nostro vecchio io, superare dei nuovi riti di iniziazione che lasciano il segno, a volte sulla pelle a volte nel profondo, dove fa più male.
Ed è proprio questo tormentato cammino che rende la scelta del film muto lo strumento che meglio sposa la sostanza del film: ci facilità la comprensione perché è stato un passaggio storico che tutti possiamo concretamente toccare e comprendere, come termine di paragone per le nostre esperienze; ma è allo stesso tempo lo strumento ideale per esaltare l'espressività dell'attore in questo travaglio. Tutti abbiamo sperimentato dei momenti in cui una faccia è la verità e, tra tante parole, solo alcune frasi trapassano il muro del silenzio che abbiamo eretto, mentre il tempo, saggio benevolo, rallenta, come se ci volesse dare uno spazio nostro in cui riflettere.
E allora, nel film, ecco miriadi di piccoli momenti in cui tutte queste parole si fondono in immagini e musica.
Le scene a fotogrammi rallentati: sottolineano quei momenti di riflessione interminabili.
Il gioco di Peppy con la giacca di George: quanto amore in quell'abbraccio immaginato.
L'incubo pressante, in cui tutti parlano e producono suoni e rumore, tranne te, incapace di cambiare e riconoscere un mondo che non ti appartiene più
Peppy e Geroge sulle scale: l'ansia e premura con cui Lei scrive il suo recapito, gli sguardi di Lui nel raccontarci un dialogo che non sentiremo mai ma ci sembra di conoscere, come vedere due, innamorati da sempre, che non si conoscono e comunque riconoscerli.
La fine di un matrimonio di Georeg: due persone che ormai non hanno più niente da dirsi con la colazione dei giorni che passano uguali, sempre insieme come marito e moglie ma mai nella stessa inquadratura, due mondi paralleli che occupano lo stesso spazio senza toccarsi.
L'intervista di Petty al ristorante: il vecchio e il nuovo separati da una colonna largo un'era, George non può far altro che alzarsi e fare posto, con rancore e riluttanza.
L'ultimo film muto di George: lui che decide (da regista) di sprofondare nelle sabbie mobili urlando ma non producendo alcun suono (film muto); è un riflesso della sua nuova vita?
Perché George è un uomo di poche parole, lo si vede nel rapporto con la moglie, nel licecnzaimento del suo amato autista , nelle poche battute con il suo produttore; ma è anche lo show man dalle tante risate e giochi e sketch messi in scena per il pubblico.
E' il tipo che In silenzio assiste alla svendita di ciò che più lo rappresentava, la sua casa e il suo autoritratto; un attore che è spettatore della vita.
Il finale?
Vi dico solo che la svolta si avrà con un trauma: George vede la sua ombra riflessa su uno schermo, anzi il suo alter ego da attore, mentre guarda i suoi vecchi film e finalmente affronta se stesso: ammette la propria stupidità ed arroganza ma non è ancora pronto alla decisione finale.
Una decisione maturata in due momenti: un lungo silenzio assordante e un gran rumore pacificatore.
E pensare che “gli manca solo la parola”.
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