mahleriano
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lunedì 26 dicembre 2011
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film assolutamente da vedere!
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Con un film muto all'interno di un film altrettanto muto inizia The Artist, storia di un artista del cinema di quel periodo che all'apice del successo cade rapidamente in disgrazia per l'avvento del sonoro. E storia di una giovane attrice, i cui esordi si intrecciano brevemente, ma emotivamente in modo intenso, con quelli del protagonista, e che parallelamente ascende invece all'olimpo come nuova stella del cinema. Il tutto immerso in quegli anni bui che furono anche quelli della grande crisi del 1929, e che certo di questo periodo trovano una triste e forse non del tutto involontaria eco.
Film molto bello per vari motivi.
Intanto per l'intelligenza con cui è stato pensato e progettato: per accattivarsi la benevolenza del potenziale critico spettatore, "costretto" a vedersi un film in bianco e nero e per di più muto, parte con un avvio sfavillante! La simpatia assolutamente innegabile trasmessa dal volto del protagonista, di una bravura assoluta, le gags del suo cane, altrettanto delizioso e straordinario "interprete" del film, la freschezza e spontaneità del bellissimo volto dell'altrettanto brava co-protagonista, fanno rapidamente dimenticare che si sta guardando una storia senza parole e senza colori.
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Con un film muto all'interno di un film altrettanto muto inizia The Artist, storia di un artista del cinema di quel periodo che all'apice del successo cade rapidamente in disgrazia per l'avvento del sonoro. E storia di una giovane attrice, i cui esordi si intrecciano brevemente, ma emotivamente in modo intenso, con quelli del protagonista, e che parallelamente ascende invece all'olimpo come nuova stella del cinema. Il tutto immerso in quegli anni bui che furono anche quelli della grande crisi del 1929, e che certo di questo periodo trovano una triste e forse non del tutto involontaria eco.
Film molto bello per vari motivi.
Intanto per l'intelligenza con cui è stato pensato e progettato: per accattivarsi la benevolenza del potenziale critico spettatore, "costretto" a vedersi un film in bianco e nero e per di più muto, parte con un avvio sfavillante! La simpatia assolutamente innegabile trasmessa dal volto del protagonista, di una bravura assoluta, le gags del suo cane, altrettanto delizioso e straordinario "interprete" del film, la freschezza e spontaneità del bellissimo volto dell'altrettanto brava co-protagonista, fanno rapidamente dimenticare che si sta guardando una storia senza parole e senza colori. Questo film è quindi per certi versi già una dimostrazione che a condizione di narrare bene le cose, i colori e i suoni vengono automaticamente aggiunti dal cervello dello spettatore!
Poi anche per aver affiancato ai protagonisti attori notissimi e del calibro di John Goodman e James Cromwell, che con la loro esperienza pluridecennale si imprimono con altrettanta forza nella mente dello spettatore, risultando solo in parte "secondari interpreti" di questo bellissimo cast e aggiungendo anzi autorevolezza al film nel suo complesso.
Ancora, ben più che degne di nota sono alcune idee assolutamente brillanti, come il sogno "in sonoro", le bocche parlanti intorno al volto del protagonista in crisi e molte altre ancora, realizzate con immagini davvero suggestive e spesso accompagnate da una colonna sonora scelta con molto gusto.
Infine per la freschezza della storia nel suo insieme, che certo non manca anche di spunti talvolta tragici, ma in cui non sembra mai mancare una speranza sotterranea. Una storia d'amore e di solidarietà in fondo classica e senza tempo, così come classiche e senza tempo sono spesso la maggior parte delle grandi storie d'amore letterarie e musicali di tutte le epoche. Il film ripropone temi conosciuti, ma lo fa con l'inventiva, il coraggio e soprattutto la genialità di un regista che sa bene che tutto in fondo è già stato detto, ma che cambiare il semplice modo di dirlo costituisce l'essenza della vera storia dell'arte di tutti i tempi. Un film assolutamente da vedere e rivedere!
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michela siccardi
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lunedì 12 marzo 2012
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quandoilsegno è parola e la parolanonlasciailsegno
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La sala non è mai stata così silenziosa, i pop corn non sono mai stati più fuori luogo.
Tutto è muto eppure difficilmente potrebbe essere più eloquente.
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La sala non è mai stata così silenziosa, i pop corn non sono mai stati più fuori luogo.
Tutto è muto eppure difficilmente potrebbe essere più eloquente. La dote espressiva degli attori è disarmante, con infantile stupore si segue incantati il movimento delle mani, i balzi degli occhi, l’arricciarsi del naso, le più marginali incurvature delle sopracciglia, le increspature della bocca, si notano muscoli facciali che si scoprono caduti in disuso -fatta eccezione che per qualche audace autoscatto. Le spalle prendono la parola, si sente il peso dello sguardo, l’ampiezza di un sorriso.
Tutto è in silenzio eppure la storia ci è meta-narrata in ogni dettaglio, senza compendi, senza rinunce, in tutta la sua -a tratti ironica- drammaticità. Non si perde il filo del discorso perché non si tratta di un filo, è una coperta di gesti che ti ammanta e ti trascina -complice l’essenzialità della musica- nella sua calda, faconda storia. Una mimica tutta magica, intrisa di logos, imbevuta di una poesia d’altri tempi.
La scelta è impopolare e coraggiosa, senza dubbio rischiosa: al frastuono di oggi, al rumore fine a se stesso, il regista sceglie la silente, impeccabile mira del Gesto. Ai contagiosi virtuosismi della terza dimensione preferisce l’anacronistico ritorno al bianco e nero, un rispolvero fuori dal tempo che permette di immaginare tutti i colori. Agli effetti speciali spacca-timpani, all’indelicato fragore della parole oppone l’umile ricchezza dell’afasia verbale e dunque la parlante dovizia del segno, la sua incontaminata purezza. Non cede alla logica -e al mercato- del “grida più forte” così come non cederà il suo protagonista che, fino alla fine, non si rassegna, non accetta l’avvento del ridicolo “sonoro”, non ne vuole sentir parlare.
La voce non esclude il gesto, la parola detta non toglie la parola al segno.
Sceglie ancora il corpo George Valentin, quando tutto sembra essere perduto sceglie la danza e i segni corporali come veicolo d’espressione, come linguaggio, come modo di comunicare e di comunicarsi.
A ricordarci come il linguaggio umano non si riduca –non può essere ridotto- alla mera lingua parlata.
Limitazione questa che ci preclude alla comunicazione con altre specie, non apice della manifestazione dell’Umano ma difetto da integrare con altri linguaggi, linguaggi da riscoprirsi (magari con l’aiuto del formidabile cane Uggie).
Per “dire” non serve la parola: l’incredulità è spiazzante, il dato di fatto semplicemente lampante.
Forse dietro a tutto questo gioco, senza troppi lustrini e pretese, si cela la speranza ultima, l’umile cenno, il timido invito a tornare a guardare negli occhi con chi “parliamo”. Invito che se accolto potrebbe dischiuderci ad un’infinita scala di grigi, dipanarci dalla sgargiante, contaminata matassa delle “etichette” e renderci liberi dalla schiavitù delle definizioni.
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pepito1948
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giovedì 29 dicembre 2011
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la magia del muto
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Un’attempata passante incontra per strada George Valentin (cognome non proprio casuale), ex divo del cinema muto in piena crisi professionale ed umana, e commenta la vivace reattività del cagnolino che lo sfortunato attore tiene in braccio con un “gli manca la parola”. Ecco riassunto il tema di fondo del film di Hazanavicius: con l’avvento del sonoro (siamo alla fine degli anni ’20), il cinema muto acquista la parola e fa un balzo irreversibile verso il futuro, i produttori si buttano a capofitto nella nuovo business, ma non tutti lo accettano; il bel George, memore del successo e delle folle osannanti che deliravano al suo passaggio ed alle sue mosse improvvisate e sognavano davanti alle sue gesta amorose o avventurose proiettate sullo schermo, rifiuta la svolta e si ritrova fuori dal giro, cadendo ben presto in miseria nonostante i tentativi di rianimare con alcune regie vecchia maniera un corpo ormai esangue.
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Un’attempata passante incontra per strada George Valentin (cognome non proprio casuale), ex divo del cinema muto in piena crisi professionale ed umana, e commenta la vivace reattività del cagnolino che lo sfortunato attore tiene in braccio con un “gli manca la parola”. Ecco riassunto il tema di fondo del film di Hazanavicius: con l’avvento del sonoro (siamo alla fine degli anni ’20), il cinema muto acquista la parola e fa un balzo irreversibile verso il futuro, i produttori si buttano a capofitto nella nuovo business, ma non tutti lo accettano; il bel George, memore del successo e delle folle osannanti che deliravano al suo passaggio ed alle sue mosse improvvisate e sognavano davanti alle sue gesta amorose o avventurose proiettate sullo schermo, rifiuta la svolta e si ritrova fuori dal giro, cadendo ben presto in miseria nonostante i tentativi di rianimare con alcune regie vecchia maniera un corpo ormai esangue. Nello stesso tempo vede crescere e trionfare un’attricetta conosciuta sul set di un film muto, che non ha esitato a fare il grande passo, conquistando masse di fan e locandine sempre più grandi. Dalle stelle alle stalle, è il caso di dire, e viceversa. L’orgoglio di George lo fa sprofondare sempre più giù e lo isola dal mondo, perfino il fedele maggiordomo, licenziato ma disposto a restare senza stipendio, è costretto ad abbandonarlo; solo il suo cagnolino gli rimane al fianco ed addirittura lo salva da sicura morte. Ma l’attricetta divenuta star interviene a sollevarne le sorti, grazie alla ricambiata attrazione amorosa che covava da tempo, e trova la soluzione idonea per piegare l’orgoglio smisurato di George, che, senza rinunciare al suo mutismo, intraprenderà una nuova carriera a fianco della sua salvatrice.
Straordinario omaggio al cinema muto ed alle sue atmosfere, entusiasmi, divismi, puro esempio di metacinema che dimostra come anche oggi una storia semplice, simile alle tante che a quei tempi si potevano seguire in sala accompagnate da musiche eseguite in diretta, può coinvolgere ed emozionare esattamente come 80 anni fa, anche se girata in bianco e nero e senza parlato. Il che dimostra che la funzione ed il richiamo del cinema, muto o sonoro, restano gli stessi, pur se le tecnologie utilizzate si sono evolute nel tempo.
Ma la rivoluzione del sonoro ha sconvolto quel mondo ben più che il cinemascope o il 3D, incidendo sul modo di recitare e richiedendo uno sforzo di adattamento agli attori, non tutti disposti ad allinearsi, come appunto George Valentin, vittima del suo ostinato rifiuto del progresso.
Splendida la rappresentazione di quel momento di trasformazione, della partecipazione del pubblico ridente o piangente, del consolidarsi dello star system, dei produttori imperiosi e sensibili alle nuove prospettive di guadagno. Altrettando splendida la regia, che ci regala alcune immagini da antologia (George che si specchia ad una vetrina sovrapponendosi ad un manichino con il frac o la tenera esitazione del maggiordomo autista a staccarsi dal "padrone", per citarne alcune).
Speciale menzione merita il cast, dai due protagonisti al grande J. Goodman, perfetta personificazione del prototipo di produttore allora in voga. Ed al cagnolino tuttofare, che ricorda il barboncino della serie dell'Uomo Ombra, film giallo-rosa dei anni '30; anche questo un atto d'amore verso il cinema glorioso di quei tempi, che Hazanavicius ha il merito di rievocare e rivalutare, ricostruendone fedelmente le atmosfere senza nostalgica retorica.
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steelybread
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martedì 7 febbraio 2012
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il primo remake di un genere. dopo tarantino
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Film riuscito, ma solo in parte. Grande bianco e nero, anche se non siamo ai livelli de "L'uomo che non c'era", attori strepitosi e visibilmente innamorati del proprio ruolo, musiche finalmente degne di far parte di quella dovrebbe essere una vera colonna sonora, e non, come spesso accade, mero esercizio di stile. Il problema è che questo non è un film, ma una caricatura di quello che erano i film una volta. La sfrenata voglia di omaggiare un genere intero lo incastra in un meccanismo "Tarantiniano" dal quale il film non esce.. La banalità della storia, lui attore di successo, lei stella nascente che poi assiste innamorata al decadimento del primo, è disarmante.
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Film riuscito, ma solo in parte. Grande bianco e nero, anche se non siamo ai livelli de "L'uomo che non c'era", attori strepitosi e visibilmente innamorati del proprio ruolo, musiche finalmente degne di far parte di quella dovrebbe essere una vera colonna sonora, e non, come spesso accade, mero esercizio di stile. Il problema è che questo non è un film, ma una caricatura di quello che erano i film una volta. La sfrenata voglia di omaggiare un genere intero lo incastra in un meccanismo "Tarantiniano" dal quale il film non esce.. La banalità della storia, lui attore di successo, lei stella nascente che poi assiste innamorata al decadimento del primo, è disarmante. Se questo film è un omaggio a quel cinema, forse valeva la pena sottolineare meglio quel momento storico che segno il passaggio al sonoro. Magari sfiorando appena la figura di Al Jolson, interprete del primo vero film sonoro "The jazz singer" del 1927. Per il resto è un buon film, con un dinamismo forse eccessivo che va a sopperire l'assenza del passo ridotto, di cui gli amanti del genere sentiranno sicuramente la mancanza. L'incubo della stella del muto che sogna di diventare muto mentre intorno a lui esplode il sonoro vale il film. Vincerà tutto quello che c'è da vincere, visto che chi lo distribuisce in America è bravissimo a farlo. Chiedetelo a Benigni.
Per me Oscar al miglior film rifatto. Bravo il cane.
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francesca romana cerri
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lunedì 26 dicembre 2011
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la vera creatività si nutre di tradizione
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Alla prima impressione si assiste a qualcosa di diverso di originale, paradossalmente, per i tempi di oggi.. Non c'è affanno nel film, non c'è sovrabbodanza di stimoli, ma c'è un ritorno all'essenziale, al necessario.
Grazie al muto, emerge un attenzione ai particolari dell'espressività, degli occhi, del volto, della gestualità, di quella comunicazione non verbale che da sola regala emozioni profonde e di cui la parola è l'ultimo anello. Ogni elemento stà al posto giusto e anche il film stesso segue nella modalità la graduale accettazione del protagonista a mettersi al passo con i tempi. Gli ultimi minuti si accede al parlato.Una storia di arte, d'amore e di solidarietà fine, reale, credibile, ritmata perfettamente.
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Alla prima impressione si assiste a qualcosa di diverso di originale, paradossalmente, per i tempi di oggi.. Non c'è affanno nel film, non c'è sovrabbodanza di stimoli, ma c'è un ritorno all'essenziale, al necessario.
Grazie al muto, emerge un attenzione ai particolari dell'espressività, degli occhi, del volto, della gestualità, di quella comunicazione non verbale che da sola regala emozioni profonde e di cui la parola è l'ultimo anello. Ogni elemento stà al posto giusto e anche il film stesso segue nella modalità la graduale accettazione del protagonista a mettersi al passo con i tempi. Gli ultimi minuti si accede al parlato.Una storia di arte, d'amore e di solidarietà fine, reale, credibile, ritmata perfettamente.
Nella ruota dello spettacolo a un certo punto qualcuno può non servire più e nella ruota del lavoro stesso quando il progresso avanza chi è legato ad un preciso artigianato si sente fuori. Ma l'artista ha in più un particolare legame con il linguaggio che ha creato e quando arriva il progresso non può snaturare la sua recitazione perchè ciò vuole il mercato. La donna invece cavalca il successo ma quando arriva in cima non si dimentica di aiutare chi è rimasto fuori, chi l'ha fatta innamorare. Una storia d'altri tempi, con valori d'altri tempi, girato alla maniera del passato, umano, sano, vitale. E alla fine se ne esce commossi perchè nel profondo crediamo che non esiste solo la rincorsa al denaro e il successo personale, che da soli non si vince ma almeno in due e in questo mondo impazzito che segue interessi che schiacciano gli umani è meglio essere se stessi.
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osteriacinematografo
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giovedì 23 febbraio 2012
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il romanticismo essenziale del cinema muto
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“The artist” narra la storia di George Valentin, divo del cinema muto degli anni venti americani. Nel 1927 Valentin è al’apice del successo e della carriera, e i suoi film impazzano nelle sale cinematografiche. L’attore, in mezzo alla folla che lo acclama, conosce Peppy Miller, una ragazza che poi, casualmente, ritroverà come ballerina sul set di uno dei suoi film. Tra i due avviene una sorta di folgorazione: è un innamoramento di sguardi e piccoli gesti, che danza romanticamente sull’incertezza di un bacio ma non riesce a concretizzarsi.
La scena si trasferisce nel 1929, l’anno della Grande Depressione e dell’introduzione del sonoro.
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“The artist” narra la storia di George Valentin, divo del cinema muto degli anni venti americani. Nel 1927 Valentin è al’apice del successo e della carriera, e i suoi film impazzano nelle sale cinematografiche. L’attore, in mezzo alla folla che lo acclama, conosce Peppy Miller, una ragazza che poi, casualmente, ritroverà come ballerina sul set di uno dei suoi film. Tra i due avviene una sorta di folgorazione: è un innamoramento di sguardi e piccoli gesti, che danza romanticamente sull’incertezza di un bacio ma non riesce a concretizzarsi.
La scena si trasferisce nel 1929, l’anno della Grande Depressione e dell’introduzione del sonoro. E i destini di George e Peppy s’incrociano di nuovo: Valentin inizia una lenta parabola verso il basso, poiché i cineasti preferiscono affidarsi a volti nuovi con l’introduzione del sonoro; la Miller invece inizia il percorso inverso, che la condurrà a consacrarsi come diva cinematografica a Hollywood. Questo scambio di ruoli viene trasferito in scena con l’incontro dei due sui gradini di una scala fisica e metaforica: la donna sale felice, attesa dal produttore Al Zimmer (un grande e ritrovato John Goodman) per firmare un contratto, mentre l’uomo, affranto e desolato, scende le scale nella direzione opposta, dopo aver rotto con lo stesso Zimmer.
E’ poi geniale ed emblematica la scena che dipinge l’incubo di Valentin, con gli oggetti che fanno rumore al minimo contatto, e la sua voce che invece non produce suoni, quasi a sancire oniricamente l’inadeguatezza di un attore nato nel muto, tagliato per l’accentuata gestualità che caratterizzava il genere, e incapace di cambiare pelle e di calarsi in una forma espressiva che egli stesso considera ridicola.
Ma Valentin, per via di un carattere orgoglioso, non si arrende e impegna il patrimonio personale per realizzare un film muto tutto suo, ma l’epoca del muto è agli sgoccioli, e il film è un fiasco: a seguito del crollo delle borse e del divorzio dalla moglie, l’attore si ritrova sul lastrico. Vende i suoi beni all’asta, licenzia il fedele maggiordomo Clifton (James Cronwell), rimanendo solo con le sue vecchie pellicole e l’amato jack russell, affondando la depressione nell’alcool che lo condurrà a un gesto estremo. Nel frattempo, Peppy Miller, nonostante il travolgente successo, non smette mai di seguirne le tracce, come un angelo custode, e tenterà di aiutare Valentin a risollevarsi.
Jean Dujardin e Bèrènice Bejo contribuiscono alla magnificenza dell’opera: il primo spazia dal successo alla disperazione in una scala espressiva che ne evidenzia l’eccezionale talento: danza e sorride e recita con gioia nella prima parte, riproducendo con eleganza la mimica del muto; s’acciglia e si dispera nella seconda, dove la postura stessa del corpo e le pieghe avvizzite del viso indicano la discesa emotiva inesorabile del suo personaggio. La Bejo è altrettanto sorprendente, grazie alla sua leggerezza, alla freschezza, alla genuinità che infonde ad ogni scena con generosità e naturalezza; la sua aggraziata silhouette e la sua folle effervescenza regalano colore al bianco e nero del film; e le fasi in cui soffre in disparte per l’uomo che ama, in cui si commuove per la bellezza non riconosciuta dell’ultimo film di Valentin, dimostrano la profonda intensità di un’attrice da tenere in considerazione.
Il film di Michel Hazanavicius è un piccolo capolavoro: è un film muto che parla di film muti, e del brusco passaggio al sonoro che ne sancì la fine, dell’ennesimo progresso tecnologico che sconvolse il pubblico e il modo di fare cinema. La delicatezza del linguaggio essenziale utilizzato dal regista produce un film magico, romantico, cavalleresco: non c’è soltanto la tecnica di allora, c’è anche il ritorno alla semplicità espressiva e narrativa di quasi un secolo fa; la forma basilare della comunicazione, l’amore fra i due protagonisti, così gentile e garbato, la cura invisibile di una donna nei confronti di uomo distrutto e questo modo antico e dolce di raccontare una storia producono uno splendore visivo dimenticato e un’opera d’arte da non perdere.
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tom87
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giovedì 14 marzo 2013
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l'ambivalenza di "the artist"
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“The Artist” è un’opera elegante. Da molti, però, è stata definita come un operazione antiprogressista che riproponendo il cinema delle origini rischia di far regredire la 7^ arte. Ma è realmente così? Se si analizza il suo tratto distintivo, quel geniale paradosso di raccontare l’avvento del sonoro attraverso il muto, non si può non notare come essa si nutri di simili ambiguità o contraddizioni. Restando in equilibrio tra intrattenimento e forma d’arte, viene da credere che possa essere stata concepita con una doppia anima e che quindi tutto ciò che esprima sia ambivalente: è, infatti, sia un sincero omaggio alla Hollywood anni ’20, sia un astuto utilizzatore di estetiche e stili tipici dell’epoca.
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“The Artist” è un’opera elegante. Da molti, però, è stata definita come un operazione antiprogressista che riproponendo il cinema delle origini rischia di far regredire la 7^ arte. Ma è realmente così? Se si analizza il suo tratto distintivo, quel geniale paradosso di raccontare l’avvento del sonoro attraverso il muto, non si può non notare come essa si nutri di simili ambiguità o contraddizioni. Restando in equilibrio tra intrattenimento e forma d’arte, viene da credere che possa essere stata concepita con una doppia anima e che quindi tutto ciò che esprima sia ambivalente: è, infatti, sia un sincero omaggio alla Hollywood anni ’20, sia un astuto utilizzatore di estetiche e stili tipici dell’epoca. Venera il cinema del passato, ma sfrutta anche il meta-cinema come un gioco. E’ intrisa di nostalgia, ma sa anche privarsene, personalizzandosi con aspetti ironici, divertiti, toccanti e surreali. Il film può essere in apparenza reazionario, ma in realtà moderno. Nel riaffermare la superiorità del concetto visivo; oggi reso muto da eccessi di inutili dialoghi ed effetti speciali; si mostra necessario poiché richiama lo spettatore ad un approccio più consapevole verso la visione di un film, invitandolo a valorizzare di ciò che vede l’aspetto emozionale. Per questo infonde nuova linfa al cinema attuale. L’aspetto più interessante è, però, nella sua capacità di esprimere quella magica fusione tra passato e futuro, tra il fascino del vecchio e il desiderio del nuovo. Passato e futuro sono qui indistinguibili: entrambi, visti come essenza e motore dell’altro, sono capaci di creare profondetrasformazioni sociali e individuali. Valentin, Peppy e l’evoluzione cinematografica ritrattati nel film ne sono la perfetta sintesi. E riflettono il vero mutamento: in esso, dietro ogni immagine evocativa del passato si nasconde un’altra rappresentativa del futuro, e viceversa. Questo aspetto tematico rimanda ancora a quell’ambiguità stilistica accennata all’inizio e plasma l’intero film. Dal punto di vista formale, infatti, la pellicola rispetta le regole del muto, ma sa anche tradirle col moderno: il formato 4/3 è di una pellicola a colori manipolata digitalmente; le scene sonore si distinguono più del muto; il bianco e nero c’è, ma non è proprio d’epoca. Dal punto di vista narrativo, invece, l’ambiguità si riscontra negli animi e nelle vicende dei protagonisti: Valentin e Peppy sono legati in modo interdipendente in quell’evoluzione tra passato e futuro; ognuno ha bisogno dell’altro. Come il Cinema, che con le sue metamorfosi si è completatonel tempo, Peppy senza Valentin non potrà affermarsi, e lui senza lei non potrà ritrovare se stesso e una nuova carriera. George è il simbolo del difficile percorso verso l’adattamento. La sua esistenza, fin quando nega la rivoluzione del sonoro, è un’opera muta e incolore. Solo grazie all’amata Peppy sperimenterà i cambiamenti e si renderà più completo. E quando, dopo tanti balli con lei, ascoltiamo il suo fiatone, capiamo che la pellicola della sua esistenza si è finalmente arricchita di vita, di nuovi colori e musiche, che lui ora può vedere e ascoltare con noi. “The Artist” allora, diventando allegoria di questo successo, stringe ulteriormente la metafora tra Valentin e l’uomo di oggi: questi è sempre più bisognoso di riscatto e rinnovamento. Però come George e Peppy, può essere ancora capace di diventare artefice e protagonista del suo tempo, e non più una sua sbiadita comparsa o un suo attore dimenticato.
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evilnightmare 90
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mercoledì 30 maggio 2012
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film muto che lascia senza parole
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1927, George Valentin, affascinante divo del cinema dell'epoca, è all'apice della sua carriera. Con l'arrivo del sonoro nei cinema e con la difficoltà di allontanarsi dalle proprie origini di attore muto, l'uomo perderà la fama che prima lo circondava. Grazie ad una sua vecchia conoscenza, Peppy Miller da sempre innamorata di lui, riuscirà ad uscire dal baratro che lo aveva inghiottito.
Questo è "The Artist" una trama semplice per un film eccezionale. Accompagnato da musiche sempre azzeccate a da una sublime interpretazione di Jean Dujardin, attore dal sorriso carismatico, il film per tutti i 90 minuti scorre piacevolmente.
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1927, George Valentin, affascinante divo del cinema dell'epoca, è all'apice della sua carriera. Con l'arrivo del sonoro nei cinema e con la difficoltà di allontanarsi dalle proprie origini di attore muto, l'uomo perderà la fama che prima lo circondava. Grazie ad una sua vecchia conoscenza, Peppy Miller da sempre innamorata di lui, riuscirà ad uscire dal baratro che lo aveva inghiottito.
Questo è "The Artist" una trama semplice per un film eccezionale. Accompagnato da musiche sempre azzeccate a da una sublime interpretazione di Jean Dujardin, attore dal sorriso carismatico, il film per tutti i 90 minuti scorre piacevolmente. Quasi paradossalmente uno dei punti di forza sta nella sceneggiatura che, solo con due scene "rumorose", è calzante in ogni occasione. Inoltre grazie alla presenza del piccolo Uggie, 5 stelle vanno date a priori. Cmq film imperdibile e consigliato a tutti. Unica pecca, se proprio bisogna essere severi, sta in alcune scene della seconda metà del film, Forse un pò prevedibili e a volte, ma di raro, un pò forzate cmq seguite da un finale strepitoso...
Se un film senza una parola ti lascia senza fiato, c'è solo una cosa da dire CAPOLAVORO...
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il re censore
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mercoledì 21 dicembre 2011
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athe true artist
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L'amore dei francesi per il cinema è noto e ogni tanto produce atti di passione totale com'è questo The Artist di Hazanavicius.
Film tributo ad un'epoca, ad un genere, storia d'amore dura e pura ma non intesa come commedia romantica bensì come dono emotivo da parte di un regista che ha voluto giocare pesante, rischiando. Un film coraggioso e azzardato, quindi, ma per produrre un lavoro di buon livello non basta il coraggio: serve la bravura.
Hazanavicius in questo risulta all'altezza perché in oltre un'ora e mezza di film muto non ci fa rimpiangere la parola, anzi, al contrario, ce la fa dimenticare con briosa eccentricità.
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L'amore dei francesi per il cinema è noto e ogni tanto produce atti di passione totale com'è questo The Artist di Hazanavicius.
Film tributo ad un'epoca, ad un genere, storia d'amore dura e pura ma non intesa come commedia romantica bensì come dono emotivo da parte di un regista che ha voluto giocare pesante, rischiando. Un film coraggioso e azzardato, quindi, ma per produrre un lavoro di buon livello non basta il coraggio: serve la bravura.
Hazanavicius in questo risulta all'altezza perché in oltre un'ora e mezza di film muto non ci fa rimpiangere la parola, anzi, al contrario, ce la fa dimenticare con briosa eccentricità. La storia del divo del muto nella Hollywood che cambia è una fiaba per tutti e per tutti è la sua capacità di mescolare intelligenza creativa (in certe scene surreali e oniriche), dramma sottile, comicità fisica e divertimento.
Atto d'amore, dicevamo, teso a farci riscoprire un universo cinematografico ormai desueto ma capace di meraviglie: la macchina del cinema al suo meglio, non necessita di colore, voce, 3d o altri artifici per intrattenere e stupire.
Ma di bravi attori si: in questo c'è da fare un plauso particolare al gigantesco Jean Dujardin che in quest'opera fa di tutto e di più (tranne parlare) reggendo buona parte della pellicola su una bravura davvero d'altri tempi.
The Artist, insomma, è un film ben orchestrato e ben realizzato. Non un lavoro di filologia ma solo uno sguardo passionale al cinema che fu filtrato da una sensibilità tutto sommato contemporanea ma sufficentemente romantica da non far scadere mai l'operazione nel kitch o nel banale.
Bravo Hazanavicius.
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(di nuovocinemaparadiso)
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filippo catani
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giovedì 15 dicembre 2011
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un muto da oscar
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Nella Hollywood pre crollo del '29 brilla incontrastata la stella di un brillante attore di film muti. A contrastarne l'ascesa sarà una giovane ragazza che non solo si imporrà alle cronache per la sua bellezza ma anche per la sua bravura e per le recite nei nuovissimi film con il sonoro. Per l'attore avrà così inizio una pesantissima crisi di identità.
Eccoci a lodare uno splendido film muto nell'età del 3D e del Dolby. Non solo il film ha il pregio di riportarci con grande realismo nel passato ma soprattutto ci mostra la maestosa bravura di caratteristi più che attori che attraverso la mimica del corpo dovevano catturare l'attenzione dello spettatore e comunicargli emozioni.
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Nella Hollywood pre crollo del '29 brilla incontrastata la stella di un brillante attore di film muti. A contrastarne l'ascesa sarà una giovane ragazza che non solo si imporrà alle cronache per la sua bellezza ma anche per la sua bravura e per le recite nei nuovissimi film con il sonoro. Per l'attore avrà così inizio una pesantissima crisi di identità.
Eccoci a lodare uno splendido film muto nell'età del 3D e del Dolby. Non solo il film ha il pregio di riportarci con grande realismo nel passato ma soprattutto ci mostra la maestosa bravura di caratteristi più che attori che attraverso la mimica del corpo dovevano catturare l'attenzione dello spettatore e comunicargli emozioni. Quello che in film di dialoghi estenuanti non si riesce a trovare quì si trova con tanto di cartelli con le scritte dei dialoghi. Bravissimi gli interpreti, grande regia e splendida colonna sonora. Ci auguriamo vivamente che, dopo il grande successo ottenuto a Cannes, il film possa concorrere anche per L'Oscar.
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