maxc75
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venerdì 17 febbraio 2012
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the artist
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Salutato a Cannes come uno dei maggiori fenomeni cinematografici della stagione, The Artist si distingue per il suo voler omaggiare quel cinema muto ancora oggi da molti ritenuto l’espressione artisticamente più alta dell’arte cinematografica.
Hazanavicius parte da un’idea a dir poco bizzarra: raccontare l’avvento del sonoro nella Hollywood degli anni ’20 attraverso un film muto. L’esperimento del regista francese risulta affascinante ma purtroppo non viene pienamente svolto. Hazanavicius, infatti, si concentra principalmente sull’omaggio ad alcuni classici dell’età dell’oro di Hollywood: dalle avventure di Nick & Nora Charles di W.S. Van Dyke, passando per Cantando sotto la pioggia di Stanley Donen, È nata una stella di William A.
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Salutato a Cannes come uno dei maggiori fenomeni cinematografici della stagione, The Artist si distingue per il suo voler omaggiare quel cinema muto ancora oggi da molti ritenuto l’espressione artisticamente più alta dell’arte cinematografica.
Hazanavicius parte da un’idea a dir poco bizzarra: raccontare l’avvento del sonoro nella Hollywood degli anni ’20 attraverso un film muto. L’esperimento del regista francese risulta affascinante ma purtroppo non viene pienamente svolto. Hazanavicius, infatti, si concentra principalmente sull’omaggio ad alcuni classici dell’età dell’oro di Hollywood: dalle avventure di Nick & Nora Charles di W.S. Van Dyke, passando per Cantando sotto la pioggia di Stanley Donen, È nata una stella di William A. Wellman, Luci della ribalta di Charlie Chaplin e tante altre pellicole che The Artist omaggia e cita con garbo ed eleganza dimenticandosi però che tutti questi film erano sonori e dunque adoperavano il linguaggio filmico adattandolo al sonoro (mentre The Artist è un film muto).
Proprio The Artist è penalizzato da una regia che piuttosto che approfittare dell’opportunità di comporre un film che possa parlare grazie alle immagini si ostina a utilizzare le didascalie, a suggerire suoni allo spettatore. Insomma, Hazanavicius pur realizzando un film muto non riesce a dare indipendenza espressiva alle immagini che, se spogliate delle splendide musiche di Ludovic Bource e delle didascalie, risultano spente, opache, incapaci di parlare autonomamente.
Per la prima mezz’ora il film convince a pieno, anche perché si rifà alla commedia, genere principe dell’epoca del muto. Il sorriso irriverente di Jean Dujardin, la forza espressiva di John Goodman e la frizzante bellezza di Bérénice Bejo spazzano via in un sol colpo le perplessità sul valore dell’operazione e ne rendono godibilissima la fruizione fino a culminare in una delle scene cinematograficamente più riuscite del film: il dialogo sulle scale tra George Valentin, in declino, e Peppy Miller, in ascesa, immersi in un’architettura e in un via vai che ben rappresenta il continuo mutamento dello star system con i suoi drammi e le sue gioie.
Il declino di George Valentin è anche l’inizio dell’involuzione del film. Questo passaggio, infatti, non coincide con una riuscita trovata registica da parte Hazanavicius, il quale non si trova per nulla a suo agio nel raccontare il dramma della star sul Viale del tramonto, capolavoro di Billy Wilder che, seppur sonoro, risultava essere visivamente e infinitamente più espressivo dell’opera di Hazanavicius. L’evolversi del dramma coinvolge davvero poco, eppure un grande potenziale era a disposizione; e il muto, in passato, si era prestato benissimo al racconto drammatico. Perfino la scena più “sperimentale” dell’incubo di Valentin risulta fin troppo prevedibile. Inoltre, appare non opportuno (come qualcuno ha fatto) paragonare Dujardin a mostri sacri del musical come Gene Kelly o Fred Astaire.
Detto ciò, bisogna però notare come la prova attoriale di Dujardin sia comunque notevole non solo per la sua capacità espressiva ma anche per il suo sapersi reinventare completamente dopo le precedenti esperienze di Oss 117.
In definitiva, crediamo che il premio a Cannes come miglior attore sia stato meritato mentre speriamo che i membri dell’Academy non si facciano troppo impressionare dai “trucchi” di Hazanavicius e preferiscano quelli di un certo Méliès, recentemente riportati sul grande schermo da un vero maestro come Martin Scorsese.
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francesca meneghetti
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domenica 8 gennaio 2012
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il silenzio è d'oro
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Il cinema nasce da un’evoluzione della fotografia. Quest’ultima, riproducendo la realtà molto più fedelmente della pittura, aveva messo in crisi l’arte, costringendola a ripensarsi: da copia del vero divenne espressione, di stati d’animo, di concetti, fino all’astrattismo. Il cinema, che riesce a rappresentare il tempo, oltre che lo spazio, esercitò da subito una forte concorrenza verso il teatro nel ricreare l’illusione della realtà. Ma, nei primi tempi, gli mancava la voce umana: il richiamo più diretto e vibrante all’umanità concreta dell’attore (ed elemento insostituibile del fascino teatrale, anche oggi). Il cinema sonoro (quindi parlato), destinato a un grande successo, rappresenta un ulteriore attacco al teatro, che, al pari della pittura, dalla fine degli anni ’20 si deve reinventare (diventa, magari, meta teatro).
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Il cinema nasce da un’evoluzione della fotografia. Quest’ultima, riproducendo la realtà molto più fedelmente della pittura, aveva messo in crisi l’arte, costringendola a ripensarsi: da copia del vero divenne espressione, di stati d’animo, di concetti, fino all’astrattismo. Il cinema, che riesce a rappresentare il tempo, oltre che lo spazio, esercitò da subito una forte concorrenza verso il teatro nel ricreare l’illusione della realtà. Ma, nei primi tempi, gli mancava la voce umana: il richiamo più diretto e vibrante all’umanità concreta dell’attore (ed elemento insostituibile del fascino teatrale, anche oggi). Il cinema sonoro (quindi parlato), destinato a un grande successo, rappresenta un ulteriore attacco al teatro, che, al pari della pittura, dalla fine degli anni ’20 si deve reinventare (diventa, magari, meta teatro). In seguito il sonoro ha fatto passi da gigante, al pari delle tecnologie, diventando uno dei codici più importanti del linguaggio cinematografico, specie per quelle sonorità che non sono verbali, ma musicali e sonore, tali da agire sulla sfera emotiva e sull’inconscio.
Perché nel 2011 rinunciare a questo codice? Perché creare un meta-cinema (che rappresenta il cinema degli anni ‘20 nel suo farsi, simulando le tecnologie di quel tempo)? E’ solo una prova di bravura, pienamente riuscita, per altro, perché il film cattura lo spettatore e lo emoziona? La dimostrazione che si potrebbe fare cinema anche senza troppa tecnologia (o dissimulandone la potenza)? L’espressione di un sentimento nostalgico verso un passato in cui il pubblico era molto più ingenuo e appassionato? O solo il desiderio del silenzio, così raro nel cinema (anche se si possono ricordare eccezioni famose per sequenze silenti: 2001: Odissea nello spazio, Koyaanisqatsi,totalmente privo di dialoghi, Fata Morgana...) Quest’ultima ipotesi, che non esclude le altre, ci piace particolarmente. Anzi, l’attore, mettendo a il parlato, è costretto a comunicare, come tra sordi, attraverso il codice visivo, e quindi attraverso l’espressività del viso e del corpo, un po’ come facevano i commedianti dell’arte (per quanto parlanti). E la la storia – cioè trama, inevitabilmente fitta per dare ritmo – acquista un risalto particolare. Non c’è che dire: un bell’esperimento contro-corrente, anche se è difficile pensare che possa aver seguito.
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mitty
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martedì 28 febbraio 2012
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banale il "film" sciocco il personaggio!
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No. Decisamente non mi e' piaciuto! Nessun messaggio positivo, Tristissimo senza ragione! Egocentrico il personaggio maschile e anche molto egoista, che distrugge tutto e tutti senza pieta' per il solo fatto che il mondo va avanti e Lui vorrebbe bloccarlo al momento del Suo massimo successo,,,,ecc....ecc...
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renato volpone
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mercoledì 14 dicembre 2011
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noia e tip tap
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Il cinema americano, in cerca di moti di risveglio, scopre il film muto e ci sprofonda in una irrimediabile noia. Il film racconta il passaggio dal cinema muto al sonoro e la caduta nel dimenticatoio degli attori che non hanno saputo adattarsi al cambiamento. Il protagonista, tronfio di orgoglio e vanità, non vuole cambiare il suo modo di lavorare e si lascia cadere nell'inedia, cade in rovina, viene abbandonato dalla moglie (brutta e antipatica, tanto che è un solliveo vederla andarsene) diventa povero e la sua situazione viene aggravata anche dalla crisi del 1929, peccato che il tutto non sia credibile visto la bellezza dell'attore e il suo timbro di voce che ci viene regalato solo alla fine del film.
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Il cinema americano, in cerca di moti di risveglio, scopre il film muto e ci sprofonda in una irrimediabile noia. Il film racconta il passaggio dal cinema muto al sonoro e la caduta nel dimenticatoio degli attori che non hanno saputo adattarsi al cambiamento. Il protagonista, tronfio di orgoglio e vanità, non vuole cambiare il suo modo di lavorare e si lascia cadere nell'inedia, cade in rovina, viene abbandonato dalla moglie (brutta e antipatica, tanto che è un solliveo vederla andarsene) diventa povero e la sua situazione viene aggravata anche dalla crisi del 1929, peccato che il tutto non sia credibile visto la bellezza dell'attore e il suo timbro di voce che ci viene regalato solo alla fine del film. Si pensi ai veri attori del film muto che non avevano la possibilità di usare la voce per i più diversi motivi. La protagonista femminile, grata del suggerimento di lui che l'ha portata al successo (un piccolo neo sulla guancia) si lascia trascinare in un amore sdolcinato e feticista verso il grande attore di cui è profonda ammiratrice, subendo continui rifiuti, ma consolandosi con accompagnatori giocattoli (boy toys), fino al travolgente finale alla "ginger e fred". Il film è muto ed è tragicamente segnato da una colonna sonora ripetitiva e assordante, tanto che, in prossimità del finale, quei secondi di silenzio sono un vero sollievo. Unici spunti interessanti del film: il sogno in sonoro...bellissima trovata; il cagnolino, scopiazzato da tin tin, ma simpaticissimo; la pistola e si spera che il protagonisca la usi con sapienza, ma le sovrascritte purtroppo ci propongono un bang invece di un crash...colpo di scena pavido. Si rimnpiangono da un lato la corazzata Potemkin o metropolis e dall'altro Ginger Rogers e Fred d'Astaire. Ma forse è meglio che il cinema americano scopra qualcosa di nuovo.
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(di dario74)
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(di marismog)
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[+] questo commento? il classico "nondum matura est"
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[+] hai mai visto la corazzata potemkin???
(di unclemauri)
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