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Ari Folman, un film di fantascienza per voltare pagina

Intervista al regista di The Congress.
di Simona Castoldi

In foto il regista Ari Folman in occasione della 61esima edizione del Festival di Cannes.
Ari Folman (61 anni) 17 dicembre 1962, Haifa (Israele) - Sagittario. Regista del film The Congress.

sabato 15 giugno 2013 - Incontri

Ari Folman ha lavorato a The Congress per ben quattro anni. Un lungo percorso che l'ha portato alla costruzione di un'opera affascinante e originale, ambientata nella sua parte animata in un mondo colorato, effervescente, nel quale tutti, o quasi, sembrano aver trovato la felicità.
Durante la stesura della sceneggiatura, Folman decise di recuperare una sua lettura, il libro "The Futurological Congress" di Stanislaw Lem. "L'autore - dice il regista - racconta il controllo del sistema comunista tramite un'allegoria, ambientando il romanzo in Sudamerica dove una dittatura mantiene il controllo sulla popolazione grazie alla distribuzione di sostanze stupefacenti, presenti perfino nell'acqua. Lem aveva previsto molte cose che si sarebbero realizzate in futuro e più di ogni altra cosa aveva immaginato il sopravvento nella società occidentale delle droghe farmacologiche e degli psicofarmaci. Oggi se una persona è disperata le si promette sempre che tutto tornerà a funzionare, che ci sarà una soluzione." È la realizzazione del sogno personale innescata dai meccanismi della società attuale, nel mondo in cui tutti possono essere ciò che vogliono. "Nel film, quando a chiunque viene prospettata la possibilità di essere il proprio sogno, tutti scelgono una celebrità, una superstar, a nessuno viene in mente di essere il proprio vicino di casa. Perché quello che il mondo ci mostra è che l'importante non è più avere un talento in qualcosa, ma comparire nello show giusto, essere famosi".
Dopo aver aperto la Quinzaine al Festival di Cannes 2013, il film è stato presentato al Festival Trasparenze in Tuscany 2013 all'Odeon Cinehall di Firenze.

Come mai un film di questo tipo?
Avevo voglia di allontanarmi dal mio film precedente, Valzer con Bashir. Era stato un film troppo personale e faticoso. Allora ho pensato: la cosa migliore per cambiare pagina è fare un film di fantascienza. Da piccolo adoravo la fantascienza e ho deciso di tornare su questo genere per trovare un approccio nuovo e fresco.

Il film parla di cinema e del sistema di promozione dell'immagine, specialmente nel mondo hollywoodiano. Cosa pensa del cinema in questo momento?
La situazione del cinema è radicalmente mutata negli ultimi dieci anni, principalmente per due motivi: da una parte non esistono più film di medio livello, abbiamo a che fare o con mega produzioni, come le saghe dei vari whatever-men (Ironman, Spiderman, Barman), film costruiti per l'entertainment e per essere distribuiti nei multisala; o con i festival, che permettono ai cineasti di vecchia scuola di continuare a filmare ma che allo stesso tempo rischiano presto di far finire quelle stesse produzioni nei musei. Poi, i cambiamenti tecnologici si scontrano con il lavoro del regista, che perde pian piano il suo ruolo di creatore della magia sul set.

Come mai ha scelto Robin Wright per il ruolo della protagonista?
Quando ho scritto il film non avevo pensato a lei, ma poi l'ho incontrata una sera. La osservavo ed era bellissima, ma triste. Ho capito che mi avrebbe portato ad esplorare una profondità d'animo che era perfetta per il personaggio.

Perché proprio una donna?
Non ho mai pensato ad altro che ad una donna come protagonista. Se si pensa alla bellezza iconica si pensa alla donna. Penso ad esempio a Marina Abramovic, che ho avuto il piacere di incontrare e che ha una presenza non paragonabile a quella di nessun uomo. Catturare la bellezza per l'eternità, avendo come protagonista un attore uomo non avrebbe avuto lo stesso impatto, nemmeno se si fosse trattato di uno dei divi più famosi.

L'atteggiamento che traspare dai suoi film è quello di un'assenza di giudizio verso le scelte individuali. Che concetto ha dell'individuo nel nostro secolo?
La posizione della scelta individuale in Valzer con Bashir e in The Congress è diversa. I protagonisti di Valzer con Bashir, sono soldati semplici che non ho mai considerato come vittime, ma li ho sempre pensati come se agissero nell'impossibilità di scegliere. A differenza loro, Robin può scegliere, può, ma decide di farlo non sulla base del bene o del male, ma in funzione del fatto che essere attrice rappresenta la sua identità più vera. Sceglie per due volte di firmare quel contratto e la seconda volta è lo stesso agente Miramount che le dice con durezza che non potrà fare altrimenti, perché essere attrice fa parte del suo animo. L'attore esiste perché compare sullo schermo, il resto della sua vita è niente senza quell'apparizione. Robin sceglie di firmare perché altrimenti scomparirebbe.

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