Il cammino per Santiago: una bella mistica.
di Pino Farinotti
Di tanto in tanto accade che il cinema si conceda un promemoria di se stesso. Quando
non c’era il 3D, quando l’horror non era così invadente, quando gli effetti speciali
non erano un alibi per giustificare la mancanza di contenuti, quando la politica e
l’ideologia lasciavano spazi a storie di esseri umani, senza implicazioni. Quando
il sentimento, corretto, senza iperboli, veniva considerato un contenuto buono,
percorribile, di cui non vergognarsi. Santiago è certo un nome evocativo, mistico e
misterioso. Buono per la fede, la pace, la missione, buono soprattutto per una ricerca,
se hai voglia di ricercare.
Anche il santuario di Santiago di Compostela merita un breve promemoria. Santiago
è san Giacomo, apostolo, fratello di Giovanni, il prediletto di Gesù. Dalla Palestina
passò in Spagna, predicò, si fece conoscere, evangelizzò quel paese. Così Giacomo
divenne Santiago, appunto. Tornò a Gerusalemme e fu decapitato, fu il primo martire.
Alcuni suoi discepoli portarono le sue spoglie in Spagna. Fu un anacoreta a riscoprire
la tomba della quale si erano perse le tracce. Il monaco ebbe una visione luminosa.
Dopo questo miracolo il luogo del ritrovamento venne chiamato campus stellae,
meglio conosciuto come Santiago de Compostela. La famosa basilica costruita nel
1075, meta dei pellegrini del mondo, è dedicata a lui.
Settentrionale
Il percorso attraversa la parte settentrionale della Spagna, parallelo alla costa
atlantica. La partenza viene tradizionalmente aggiudicata a Saint Jean Pièd de port,
nei Pirenei. Da lì si procede a occidente attraverso il Paìs basco Navarra, la Rioja,
la Castilla y Leòn e la Galizia. Zone montuose, pianeggianti, persino desertiche, per
arrivare infine a Santiago. Con luoghi di fatto santificati dai viaggiatori. Come il
monumento del pellegrino, in cima all’Alto del perdòn, che reca la scritta: "Donde
se cruzan el camino de las estrellas con el camino de los vientos con el camino de
Santiago". Da quasi mille anni le genti, non necessariamente cristiane, compiono quel
rito.
Nel film Il cammino per Santiago Tom è un medico, californiano, di successo. Vive
bene, secondo i suoi parametri: Country Club, golf, amici come lui. È vedovo e
ha un figlio, Daniel, completamente diverso, alternativo, appassionato, che ama
visitare il mondo, che ama ricercare: posti che non ha mai visto, culture lontane, se
stesso. Fra padre e figlio, dunque, quasi non c’è rapporto. Sono fatti per non capirsi.
Sta giocando a golf, Tom, quando gli arriva una telefonata: suo figlio è morto in un
incidente, sui Pirenei, mentre stava apprestandosi al lungo viaggio verso Santiago.
Il padre raggiunge Saint Jean Pièd de port, dove si trova il corpo del figlio. Il
comandante della gendarmeria è un credente, un pellegrino del santuario. Trova
le parole giuste. Tom comprende molte cose, e così inizia la sua trasformazione.
Recupera lo zaino di Daniel, l’urna con le sue ceneri, tutto il materiale per il viaggio e
parte. Porterà a compimento il pellegrinaggio, realizzerà il sogno del figlio. Il tragitto
non è semplice, la fatica è grande, forse è oltre le possibilità di un settantenne, ma
l’uomo non si scoraggia. Santiago di Compostela è lontana oltre ottocento chilometri,
impietosamente scanditi dalle pietre e dai segnali. I chilometri diminuiscono, ma
lentamente.
Missione
Tom vorrebbe che la sua fosse una missione intima e solitaria. Ma su quella via
incontra tanta gente. Così si forma un gruppetto eterogeneo, diverso per età, culture,
intenzioni, speranze e nevrosi. C’è un olandese estroverso e soprappeso che vorrebbe
snellirsi camminando –sua moglie lo ha espulso dal letto-. C’è una donna arrabbiata
e disillusa, certo nevrotica, che vuole semplicemente smettere di fumare. E c’è
uno scrittore mezzo matto che vive il cosiddetto blocco dello scrittore. I quattro
camminano, si susseguono i paesaggi, i paesi, le genti. Tom, sempre scontroso, è
sempre davanti agli altri tre, oppure dietro, solo comunque. Ma l’umano è l’umano, a
alla fine la sua attitudine primaria è quella di stare insieme, confrontarsi, confidarsi,
magari confessarsi. Di tanto in tanto, in posti chiave, il padre disperde parte delle
ceneri. E gli capita di vederlo Daniel, visione lì presente, per qualche secondo. Il
percorso dei pellegrini è organizzato, ci sono ostelli e baracche. Il gruppo arriva
anche a lo Alto del perdòn, con quelle silhouette stilizzate: l’obeso si domanda che
taglia porti un certo cavaliere di ferro.
Dormono in camerate maleodoranti, su materassi mai lavati. In una città si concedono
una trasgressione, Tom, con la sua carta di credito –un oggetto davvero estraneo
alla missione- offre a tutti una notte in un albergo cinquestelle. Arrivano a Santiago.
L’olandese non è dimagrito, la fumatrice non ha smesso e non smetterà, lo scrittore
ha però superato il blocco: gli basterà raccontare quel viaggio.
Ma il viaggio non è finito. Il nuovo status acquisito non vuole arrendersi, intende
proseguire, vuole altro spazio e altro sentimento. E così gli altri tre seguono Tom che
arriva fino alla fine, sull’Atlantico, a Muxia, dove quasi affonda nel mare violento,
l’ultimo santuario, e dove vengono sparse le ultime ceneri di Daniel.
E il padre ha dunque compreso meglio se stesso grazie al figlio. Il protagonista è
Martin Sheen, magnifico. Forse lo deve alla regia, firmata da Emilio Estevez, suo
figlio. Una collaborazione artistica e umana. Una ricerca nella ricerca. Senza dubbio
utile… alla famiglia.