Titolo originale | Guan yin shan |
Anno | 2010 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Cina |
Durata | 104 minuti |
Regia di | Yu Li |
Attori | Sylvia Chang, Bo-lin Chen, Fan Bingbing, Fei Long, Jin Jing, Li Fang Bao Zhenjiang. |
MYmonetro | 2,50 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 18 aprile 2011
Tre amici ventenni, senza alcun interesse per la scuola, si trasferiscono nell'appartamento di un'anziana signora.
CONSIGLIATO NÌ
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Tre giovani amici, Nan Feng, Ding Bo e Fei Zao, condividono un piccolo appartamento nella periferia di Chengdu. La bella, il buono e il pacioccone sono anime solitarie che trovano nella loro amicizia l'energia necessaria ad andare avanti. Tra un lavoro improvvisato e l'altro, ricevono la notizia dello sfratto e si avviano a cercare casa in un quartiere più altolocato. Qui incontrano la signora Chang, attrice dell'Opera in pensione, lunatica, scorbutica e antipatica, che decide di dargli in affitto alcune stanze della sua piccola dimora. Tra il gruppetto di giovani e la signora si stabilisce un rapporto tormentato che, tra l'alto di uno sguardo di complicità e il basso di un dispetto maligno, cambia duramente il corso delle loro esistenze, avviandole a una riformata apertura alla vita.
La bella protagonista femminile, interpretata dalla diva cinese Fan Bingbing, ha un carattere tosto. Per risarcire l'amico obeso, offeso brutalmente da un'arrogante gang di strada, si rompe una bottiglia di vetro in testa, sfida i maschi e bacia violentemente una donna. Dimostra di non aver paura della sofferenza fisica e di essere disposta a tutto per aiutare chi ha subito un sopruso. La regista Li Yu affida a lei il carattere più interessante del film: da una situazione iniziale di grande sicurezza, seppur apparente, Nan Feng scappa altrove per tentare di riprendersi il calore della famiglia perduta e per attuare una giustizia pacificatoria. Si arrabbia spesso, piange e in solitudine canta una canzone. E finisce per perdersi in una disperata ricerca di qualcosa che duri per sempre. La parte iniziale del film ne segue i passi, serrando in modo coinvolgente tutti i suoi movimenti - anche grazie al contributo musicale, ben assemblato alle sequenze - , ma poi la lascia andare verso una deriva patetica che tocca solo le punte più zuccherose di un romanticismo di basso rango.
Nel corso della narrazione successiva al trasloco, la macchina da presa si sofferma sui principali momenti di svago dei tre protagonisti: i balli in discoteca e più spesso le fughe dalla città per raggiungere la montagna Guan Yin, dove i binari del treno diventano il simbolo di una strada esistenziale che porta verso l'ignoto, una destinazione che ai tre non importa molto visto che, come in qualsiasi fuga banale e da manuale, ciò che conta è il viaggio, farsi scompigliare i capelli dal vento e sorridere delle disgrazie quotidiane. Un'ideale di vita poco credibile si scontra quindi con quello della seriosa signora Chang che ha perso un figlio e con lui la voglia di vivere. Che i tre, con leggerezza mista a sfacciataggine, la facciano sorridere ancora una volta è una risoluzione molto prevedibile che arriva di colpo, affievolendo del tutto lo slancio emotivo messo in gioco all'inizio del film.
il film vuole rappresentare la necessità da parte degli uomini di condividere le proprie gioie e i propri dolori. I binari, il tempo che scorre, il sempre presente dolore da parte dei protagonisti che ricercano nell'altro, nel compagno, nell'amica, nella sconosciuta signora, l'input per riflettere, per superare le proprie debolezze, per trovare il proprio equilibrio.