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Vincere: nel nome del figlio

Arriva il nuovo film di Marco Bellocchio sull'amante segreta di Benito Mussolini, sedotta e abbandonata per diventare il Duce.
di Marzia Gandolfi

Matta da slegare
Filippo Timi (50 anni) 27 febbraio 1974, Perugia (Italia) - Pesci. Interpreta Benito Mussolini nel film di Marco Bellocchio Vincere.

mercoledì 20 maggio 2009 - Approfondimenti

Matta da slegare
Ida Dalser è una giovane donna appassionata che crede nel suo amante e nel suo amore, Benito Mussolini, un giovane uomo "rivoluzionario" che non crede (ancora) in dio e non crede (più) nel socialismo. Si incontrano a Trento e poi a Milano, si amano carnalmente nella redazione dell'Avanti! o sotto una pioggia di volantini interventisti, si sposano e concepiscono un figlio, Benito Albino Mussolini. Un figlio illegittimo riconosciuto e abbandonato per costruirsi negli anni del potere l'immagine del padre affettuoso e del marito integerrimo accanto alla più dimessa e ordinaria Rachele. A essere straordinaria è invece la figura di Ida Dalser che come il cinema di Bellocchio non si astiene dagli eccessi, materializzando la sofferenza delle sue eroine. Appassionato melomane (Addio del Passato), ancora una volta Marco Bellocchio inventa (partendo dai fatti reali) una donna pronta a sfidare per amore la società, la morale e la Ragion di Stato, quell'amore che genera la follia, irrazionale abbandono emotivo che nel melodramma sembra essere esclusivo appannaggio delle donne. Sotto l'incedere operistico e la giovinezza trionfante (e sconfitta) del melodramma, interrotto da un uso originale del materiale di repertorio, ci sono tutti gli elementi da sempre al centro della ricerca dell'autore: l'elegia della malattia, il conflitto con l'autorità, la messa al bando delle donne in appartamenti, cliniche o musei. Ida non fa eccezione, nell'Italia alla porte del conflitto Mondiale prima e del Ventennio Fascista dopo, incarna la diversità guardata come anormalità da recuperare.

Celeste, Ida
Sedotta, abbandonata e internata, Ida Dalser condivide con la Suor Angelica pucciniana il dramma "claustrale" e il desiderio di conoscere la sorte del figlio che le è stato strappato. Come Angelica Ida, dopo aver vissuto l'amore senza un'ombra di egoismo, ne viene privata. Seppellita tra le mura di un ospedale psichiatrico per disposizione di medici e giudici compiacenti, a Ida viene negato il diritto alla maternità ma lei resiste dentro il dramma e dentro la Storia. Come Aida, ancora, la protagonista è donna nobile, preda del nemico e della passione, sposa ripudiata e madre defraudata, che si oppone ostinata al "ladro" e alle ragioni del potere per affermare la propria individualità sognando una fuga impossibile. Bellocchio dipana questo groviglio di passioni e di conflitti con estrema lucidità, scoprendo punti di contatto tra slanci collettivi e tumulti individuali, colpi di scena della Storia e svolte tragiche del destino di una donna. Riflettendo sul dispositivo cinematografico e ricorrendo all'immaginario filmico collettivo (dal Christus di Giulio Antamoro al Maciste Alpino di Maggi e Borghetto, dal Monello di Charlie Chaplin alle Avventure straordinarie di Saturnino Farandola di Marcel Fabre) il regista piacentino costringe lo spettatore (italiano) a fare i conti con i "cattivi" padri della nazione. A vincere, con i "pugni in tasca" e contro il braccio (destro) teso, è Ida, la donna e la madre, l'eroina tragica e melodrammatica, l'Antigone futurista che cade dolce dagli alberi alla maniera delle pazienti del professor Mori (La balia), scardinando le categorie cliniche degli uomini e le loro presuntuose approssimazioni. Perché Ida, infinita nella sua maternità e viscerale nel suo amore, è inconciliabile con la nomenclatura medica ma conciliabile col sentimento, vivo, reale, fisico, indomito, eversivo.

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