Anno | 2012 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Corea del sud |
Durata | 131 minuti |
Regia di | Chang-min Chu |
Attori | Han Hyo-joo, Byung-Hun Lee, Ryu Seung-Ryong, In-kwon Kim, Jang Gwang, Shim Eun-kyung Myung-gon Kim. |
Tag | Da vedere 2012 |
MYmonetro | 3,80 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento domenica 25 gennaio 2015
L'attore coreano Lee Byung-hun veste sia i panni del re Gwanghae, sia quelli del buffone di corte molto somigliante al sovrano.
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CONSIGLIATO SÌ
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A Joseon il re è ormai paranoico: vede congiure ovunque e diffida di chiunque, specie della moglie, che trascura in favore di varie concubine. Dopo essere stato drogato in seguito a un attentato, il Capo Consigliere e il Capo Eunuco decidono di sostituirlo temporaneamente con un sosia, perpetuando l'illusione di un re sul trono di Corea. Il sostituto è un guitto, di umili origini e dal greve umorismo, ma, superati gli imbarazzi iniziali, finisce per assumere una confidenza sempre maggiore con i meccanismi della politica di corte, forte di una coscienza limpida e di uno sguardo disinteressato.
Masquerade è operazione oltremodo astuta, un crocevia di aspirazioni e contributi tecnici che accontenta il pubblico ma osa il giusto anche in direzione dei meno smaliziati. Se si fosse a Hollywood a produrre sarebbe Miramax e potrebbe scapparci anche un Oscar o più; ma la Corea del Sud è sempre meno lontana da simili standard produttivi e i dieci milioni di dollari di incasso abbondantemente superati dicono più di mille parole sullo stato di grazia di una cinematografia in costante ascesa. A livello di mera tecnica si rasenta l'eccellenza e l'ambientazione storica in costume non fa che esaltare la cura per il particolare, ma è tutto il meccanismo narrativo, specie l'alternanza dei registri, a testimoniare di una padronanza mirabile tanto dei tempi comici che della virata verso il dramma dell'epilogo. Si ride, si piange e infine si riflette, appagati, senza arzigogoli, come se Selznick fosse ancora tra noi e avesse scelto di dimorare a Seoul.
Come il protagonista, così anche il regista sembra sedere sul trono per caso: Choo Chang-min, un passato nell'ambito della commedia - come in Late Blossom, un piccolo cult sull'amore senile quando Haneke non era ancora giunto a sdoganare la tematica - pareva la scelta meno ovvia per la bisogna. Ma è proprio l'umiltà di Choo a rappresentare la chiave segreta del meccanismo, pur ricorrendo (o proprio per questo?) ad espedienti comici tra i più antichi del mondo: sosia e inganno (Plauto e Il grande dittatore di Chaplin), ricchezza e povertà (Il principe e il povero di Mark Twain), scurrilità da fescennini e buonsenso popolare (ancora Plauto e Aristofane). E non manca il tema dell'uomo di potere ossessionato dal sesso, eterno materiale per pochade come per stretta attualità di cronaca (il film è uscito alle soglie delle elezioni politiche sudcoreane).
Un amalgama che non può funzionare se a sorreggerlo non ci sono uno script d'acciaio - contribuiscono a quattro mani lo stesso Choo Chang-min e Hwang Jo-hyun, sceneggiatore di Old Boy - e un cast all'altezza, ricco di caratterizzazioni forti (menzione d'onore per Jang Gwang nei panni dell'eunuco), che ruota attorno a un Lee Byung-hun nel ruolo della vita, quello destinato a tramutarlo definitivamente da mero espediente estetico ad attore a tuttotondo. Guardare all'esempio di Masquerade significa osservare dove risieda nel 2013 l'autentico spirito del kolossal classico.
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In un piccolo stato dell'antica Corea, un Re vive ormai nella corruzione, nell'adulterio e nell'assoggettamento alla cinese dinastia dei Ming.Un giorno viene drogato e al suo posto viene messo un sosia, che di mestiere fa piccoli spettacoli, dove irride anche lo stesso Re. Dopo i primi imbarazzi e le incomprensioni iniziali, si trova così a suo agio in quel ruolo da finire per varare leggi più eque [...] Vai alla recensione »
Non pensavo che un film di questo genere potesse appassionarmi. E invece ha calamitato la mia attenzione sin dalle prime scene. E' una storia in costume ben narrata e curata nelle rappresentazioni scenografiche, raccontata come una favola in una ambientazione affascinante e decisamente insolita rispetto ai film di intrattenimento che in genere vedo nelle sale.
Riprendendo una pagina oscura della dinastia di Joseon, Choo Chang-min - all'attivo il precedente successo della love story senile Late Blossom - gira un kolossal che mescola comicità e dramma, storia d'amore e spaccato di storia, un'opera al di sopra i generi, che porta a un incasso da record al botteghino e aggiunge un'altra tacca alla solida certezza di una cinematografia in grado di competere con Hollywood sul suo stesso terreno.