Dr. Brain

Il neurologo Koh Sewon ha avuto una vita costellata di tragedie: seppur nato con un cervello anatomicamente superiore alla media è del tutto anaffettivo e questa mancanza porta a conseguenze disastrose sul piano sociale e umano. Rimasto orfano dopo il suicidio della madre, viene affidato a una equipe di scienziati della mente e Koh si concentra solo sul proprio lavoro, portando avanti avveniristiche teorie sul cervello umano. Intende sperimentare una macchina per sincronizzare la mente con i ricordi di un cadavere.

La trama di Dr. Brain non può che far pensare a un B-movie di altri tempi, magari a un horror prodotto da Val Lewton o della Universal anni '30-'40.

E lo spirito che Kim Jee-woon - già regista di cult come Il buono il matto il cattivo o I Saw The Devil - infonde alla serie, tra sensazionalismo naif e totale consapevolezza dell'inutilità della verosimiglianza. La forza della serie - la prima sudcoreana per Apple Tv+ - e ciò che la allontana dalla congerie di prodotti sci-fi anglosassoni, sta nel suo coraggio di partire con una violenta accelerazione e partire a briglia sciolta, assecondando parossismi da cinecomics contro ogni logica di buon senso (anche narrativo). Koh sperimenta la sua invenzione su se stesso fin dal primo episodio, in una escalation di decisioni sempre più incredibili che lo porteranno a dipanare una matassa intricata per, ça va sans dire, cercare di salvare il mondo.

Fermarsi a pensare per un secondo alle clamorose incongruenze della sceneggiatura significa andare in direzione contraria rispetto all'approccio giusto che una serie come Dr. Brain merita. Quella impostata da Kim è una scelta di entertainment che guadagna pathos con proporzionalità diretta rispetto alla sua forzatura di ogni limite etico e che chiede di essere esperita proprio - paradossalmente - "spegnendo" il cervello, o quantomeno la sua parte razionale.

Il contesto, come vuole il pubblico televisivo sudcoreano, è quello di un drama, con tocchi mélo da soap opera, detective della polizia belle come top model e abili come un lottatore di tae-kwon-do o una dozzina di finali e controfinali strappalacrime. Unico neo la fastidiosa tendenza a spiegare, per bocca del protagonista o dei suoi antagonisti, il senso di ogni singola operazione di "sincronismo cerebrale", ma è un espediente comprensibile, vista la non rappresentabilità di ogni duello puramente mentale affrontato da Koh.

Per il resto, se si sta al gioco, quella di Dr. Brain è una cavalcata nel nonsense che non mancherà di stupire e avvincere, sconfinando spesso nel trash consapevole (almeno in parte). Consigliatissimo non solo agli amanti dell'entertainment sudcoreano, in auge dopo i successi di Parasite nel cinema e di Squid Game su piattaforma, ma anche a chi rimpiange lo spirito genuinamente fuori scala di produzioni anni '80 come Brainstorm, in cui applicare elettrodi al cervello per ottenere effetti insperati era la moneta corrente.

Menzione speciale per Lee Sun-kyun, già tra i protagonisti di Parasite, che ha l'infelice compito di riprodurre l'inespressività dell'anaffettivo protagonista e di trasmettere la sensazione tattile di confronti e duelli altrimenti relegati alla sfera della psiche. I puntigliosi notai della coerenza di sceneggiatura sono pregati di astenersi. 