Titolo originale | Yi dai Yi Lu - One Belt One Road |
Anno | 2018 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Regia di | Pio d'Emilia |
MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
|
Ultimo aggiornamento mercoledì 31 luglio 2019
Dalla Cina all'Europa in treno.
CONSIGLIATO SÌ
|
È tutt'altro che semplice raccontare il documentario di Pio D'Emilia sulla nuova via della Seta, ovvero la tratta ferroviaria che dal cuore della Cina a Duisburg collega l'Asia con il continente europeo. Non tanto per l'argomento, del quale ormai si sente sempre più parlare nei telegiornali al punto che una trattazione filmica ne avrebbe perfettamente abbracciato l'urgenza, quanto piuttosto per i presupposti con cui è stato concepito.
Yi Dai Yi Lu - One Belt One Road, infatti, non nasce con il desiderio di descrivere l'attualità del soggetto secondo esigenze artistiche e quindi con la volontà di rendere la politica e l'informazione un fatto cinematografico di per sé, ma anzi insegue un intento esplicativo totalmente estraneo ai meccanismi di funzionamento di un prodotto destinato alla sala.
La difficoltà nel parlarne, dunque, deriva dalla rinuncia pressoché complessiva del regista a trasferire nel dispositivo filmico, tramite idee di messa in scena e di regia, un tema oggi così mediaticamente esposto eppure mai davvero chiaro nel background culturale del pubblico generalista. Alla luce di queste considerazioni, c'è ben poco da dire sul lavoro di Pio D'Emilia dal punto di vista cinematografico: la discussione andrebbe dirottata più sulle argomentazioni con cui il giornalista affronta la questione eurasiatica e le implicazioni geopolitiche che la nuova via della Seta porterebbe, anche a livello culturale e commerciale. Il dibattito, in sostanza, riguarda il contenuto e non la forma. Nel viaggio in cui D'Emilia segue il treno che, partendo dalla sconosciuta megalopoli di Chong Qing per arrivare in Germania, trasporta merci attraverso Asia ed Europa dell'est, si susseguono considerazioni in voice over e brevi interviste ad esperti o imprenditori locali che gettano luce sul tema principe della modernità politica. La coincidenza tra prodotto finale e momento storico è lodevole e allo stesso modo le conclusioni a cui si giunge, nonostante una presa di posizione forse troppo condizionata dall'amore del regista per l'Oriente nel quale ha vissuto e lavorato per anni, sono coraggiosamente nette.
Eppure siamo lontanissimi dal racconto cinematografico, più vicini alle zone del resoconto televisivo: le idee di narrazione sono poche e ripetute con insistenza (ad esempio D'Emilia che parla in camera sui bordi del binario mentre il treno sfreccia alle sue spalle), le interviste sono brevi e spesso impacciate, il lavoro del montaggio consiste soprattutto in uno sterile tentativo di associazione tra i concetti evocati dalla voce fuori campo e immagini fin troppo generiche di città e gente per strada. Tutta un'altra storia, insomma, rispetto alla satira feroce di Michael Moore, alla posta in gioco drammaturgica di Joshua Oppenheimer o, per rimanere entro i confini nazionali, alla grazia stilistica di Gianfranco Rosi, autori profondamente legati alle ferite che la politica e la storia hanno aperto nei rispettivi paesi, ma scomodare i grandi nomi del documentario appare ingeneroso oltre che fuori luogo. Pio D'Emilia non ha alcuna pretesa di autenticità artistica, non tenta il virtuosismo e non cerca l'originalità perché ha come unico obiettivo spiegare, in modo semplice e diretto, che cosa sia la nuova via della Seta, come funzioni e cosa comporterebbe un'eventuale adesione al suo progetto. Dunque, un sincero e umile modo per fare comunicazione e dare il proprio contributo alla discussione.