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Rassegna stampa di Harold Pinter

Harold Pinter è un attore inglese, scrittore, sceneggiatore, è nato il 10 ottobre 1930 a Londra (Gran Bretagna) ed è morto il 24 dicembre 2008 all'età di 78 anni a Londra (Gran Bretagna).

A CURA DELLA REDAZIONE
MYmovies.it

Figlio di un sarto ebreo, il premio Nobel 2006 è uno dei più famosi drammaturghi inglesi per opere come The Birthday Party e The Caretaker. Il suo stile scarno, pieno di silenzi, ha dato vita all'aggettivo pintoresco. Lo scrittore è anche famoso per le sue campagne a difesa dei diritti umani e per le sceneggiature televisive e cinematografiche, compresa quella del film del 1981 L'amante del tenente francese tratto dal libro di John Fowles. Nel 2006 Pinter ha compiuto 75 anni e, per l'occasione, ha preparato un nuovo testo, Voices, presentato alla radio britannica. Il lavoro prende ancora una volta posizione in maniera radicale per la pace e vorrebbe mostrare, secondo lo stesso autore, «la durezza impietosa dell'infernale condizione che stanno vivendo tutti gli uomini, in Occidente come in altre parti del mondo, per colpa di un potere dissennato».

MEL GUSSOW
The New York Times

Harold Pinter, the British playwright whose gifts for finding the ominous in the everyday and the noise within silence made him the most influential and imitated dramatist of his generation, died on Wednesday. He was 78 and lived in London.
Mr. Pinter learned he had cancer of the esophagus in late 2001. In 2005, when he received the Nobel Prize in Literature, he was unable to attend the awards ceremony at the Swedish Academy in Stockholm but delivered an acceptance speech from a wheelchair in a recorded video.
In more than 30 plays — written between 1957 and 2000 and including masterworks like “The Birthday Party,” “The Caretaker,” “The Homecoming” and “Betrayal” — Mr. Pinter captured the anxiety and ambiguity of life in the second half of the 20th century with terse, hypnotic dialogue filled with gaping pauses and the prospect of imminent violence.
Along with another Nobel winner, Samuel Beckett, his friend and mentor, Mr. Pinter became one of the few modern playwrights whose names instantly evoke a sensibility. The adjective Pinteresque has become part of the cultural vocabulary as a byword for strong and unspecified menace.
An actor, essayist, screenwriter, poet and director as well as a dramatist, Mr. Pinter was also publicly outspoken in his views on repression and censorship, at home and abroad. He used his Nobel acceptance speech to denounce American foreign policy, saying that the United States had not only lied to justify waging war against Iraq, but that it had also “supported and in many cases engendered every right-wing military dictatorship” in the last 50 years.
His political views were implicit in much of his work. Though his plays deal with the slipperiness of memory and human character, they are also almost always about the struggle for power.
The dynamic in his work is rooted in battles for control, turf wars waged in locations that range from working-class boarding houses (in his first produced play, “The Room,” from 1957) to upscale restaurants (the setting for “Celebration,” staged in 2000). His plays often take place in a single, increasingly claustrophobic room, where conversation is a minefield and even innocuous-seeming words can wound.
In Mr. Pinter's work “words are weapons that the characters use to discomfort or destroy each other,” said Peter Hall, who has staged more of Mr. Pinter's plays than any other director.
But while Mr. Pinter's linguistic agility turned simple, sometimes obscene, words into dark, glittering and often mordantly funny poetry, it is what comes between the words that he is most famous for. And the stage direction “pause” would haunt him throughout his career.
Intended as an instructive note to actors, the Pinter pause was a space for emphasis and breathing room. But it could also be as threatening as a raised fist. Mr. Pinter said that writing the word “pause” into his first play was “a fatal error.” It is certainly the aspect of his writing that has been most parodied. But no other playwright has consistently used pauses with such rhythmic assurance and to such fine-tuned manipulative effect.
Early in his career Mr. Pinter said his work was about “the weasel under the cocktail cabinet.” Though he later regretted the image, it holds up as a metaphor for the undertow of danger that pervades his work. As Martin Esslin wrote in his book “Pinter: The Playwright,” “Man's existential fear, not as an abstraction, but as something real, ordinary and acceptable as an everyday occurrence — here we have the core of Pinter's work as a dramatist.”

LUIGI SAMPIETRO
Il Sole-24 Ore

Era ed è, a occhio e croce, l'autore ancora oggi più rappresentato al mondo. Non sorprende quindi che, nel 1996, il premier John Major (ma in queste cose c'è sempre dietro la pragmatica Corona) volesse conferirgli il titolo di "baronetto". Lo stesso che avevano ricevuto a suo tempo i Beatles. Pinter rifiutò perché «le onorificenze che vengono per iniziativa del Governo sono sempre sospette». E aggiunse che non avrebbe accettato nemmeno se la proposta fosse venuta dai laburisti.
Nel 1997 Pinter non era più il giovane anarchico che, a 27 anni, con un atto unico scritto in tre giorni e quasi per caso aveva dato l'avvio a un terremoto i cui effetti sarebbero durati per tutto il XX secolo. Nel 1957, quando aveva esordito con La stanza, Pinter era una sorta di compagno di strada dei cosiddetti "giovani arrabbiati" (Colin Wilson, Kingsley Amis, John Wain, Alan Sillitoe), ribelli ciascuno a suo modo non solo contro la monarchia, la Chiesa e la famiglia, ma anche contro quelle forme di fede laica, come il marxismo e la psicoanalisi, che avevano fatto da guida alla generazione precedente. Nel 1996, Pinter si avviava, dopo avere scritto Ceneri alle ceneri, ispirato dalla lettura della vita di Albert Speer di Gitta Sereny, a diventare ciò che sarebbe stato negli ultimi tempi. Un vecchio politicamente arrabbiatissimo, che aveva smesso di scrivere per il teatro e che declamava poesie contro la guerra, tutte le guerre, e contro la violenza. Contro Blair, contro Bush e contro gli Stati Uniti, che paragonò, ricordandosi e dimenticandosi al tempo stesso di essere ebreo, alla Germania di Hitler. Quando,nel 2005,l'Accademia di Svezia gli assegnò il Nobel, la stampa, unanime, riconobbe il valore del drammaturgo, ma più di un giornale scrisse, o lasciò intendere, che si trattava di un premio attribuito alla memoria. Vent'anni dopo. Forse anche trenta. Pinter infatti impersona il 900. I suoi drammi, le sue desolazioni e i suoi smarrimenti. L'impossibilità di comunicare e di capirsi, e addirittura di capire che cosa stia succedendo. Perché il mondo è assurdo e perché i personaggi dicono delle assurdità. A dire il vero dicono cose che spesso diciamo tutti, ma che, se analizzate da vicino, come su di un nastro rallentato e pieno di pause, ci si rende conto che possono rivelare verità insospettate.

ROBERTO BERTINETTI
Il Messaggero

“Verrà ricordato come il più grande e importante drammaturgo inglese della seconda metà del Novecento”. Erano unanimi ieri tutti critici britannici nel giudicare l'importanza di Harold Pinter, scomparso a 78 anni alla vigilia di Natale, ucciso da un cancro contro il quale combatteva da tempo. La scorsa estate, in un'intervista alla Bbc, Pinter aveva annunciato l'addio al teatro: «Ho composto una trentina di testi e sono stanco, voglio dedicare le energie che mi restano alla poesia e all'impegno politico», disse allora. Leader carismatico della sinistra radicale del Regno Unito, pacifista e difensore dei diritti umani, aveva guidato l'opposizione interna alla guerra in Iraq, attaccando in ogni circostanza Tony Blair, definito «un autentico criminale che va in giro con un ipocrita sorriso cristiano stampato sulla faccia». Ancora più duro il suo giudizio su Bush e sugli Usa: «Gli Stati Uniti sono il vero stato canaglia, un paese arrogante, sempre sprezzante verso le leggi internazionali, la potenza più pericolosa che il pianeta abbia conosciuto», ha scritto.
La sua corsa controvento contro il potere iniziò molto presto, nel poverissimo quartiere operaio di Hackney, alla periferia di Londra, dove era nato nel 1930 da una famiglia di sarti di origine ebraica. Per due volte, diciottenne, finì in tribunale dopo aver rifiutato di indossare la divisa militare durante il periodo di addestramento allora obbligatorio. «Fui fortunato, visto che mi capitò in entrambi i casi lo stesso magistrato comprensivo che si limitò a multarmi: 10 sterline la prima volta, 20 la seconda. Forse sarà richiamato per la prossima guerra, ma di sicuro non ci andrò», disse in seguito. Il debutto letterario è del 1950 con alcune poesie apparse su una piccola rivista firmate “Harold Pinta”, nel 1951 esordisce in teatro con l'Enrico VIII di Shakespeare e subito dopo inizia a lavorare per la compagnia di Anew McMaster, che porta i classici del repertorio sui palcoscenici di tutto il Regno Unito.

RENATO PALAZZI
Il Sole-24 Ore

L'importanza di Pinter, la sua influenza sul linguaggio teatrale e l'enorme successo internazionale che ha conquistato coincidono più o meno col periodo delle sue prime pièce, fra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Settanta. Era l'epoca dei silenzi, dell'incomunicabilità, della sfiducia nei confronti del potere significante della parola: un'epoca segnata dai paradossi verbali di Ionesco, dalle desolate lande beckettiane, ma anche dal cinema di Antonioni, dall'arte informale, e forse – perché no – dagli enigmatici "tagli" di Lucio Fontana.

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