Brian De Palma (Brian Russell De Palma) è un attore statunitense, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, fotografo, montatore, è nato il 11 settembre 1940 a Newark, New Jersey (USA). Brian De Palma ha oggi 84 anni ed è del segno zodiacale Vergine.
Le professioni dei padri determinano la sensibilità dei figli? Forse nel caso di Brian De Palma, figlio di un chirurgo, la domanda ha una risposta - o almeno quella che lui stesso ha dato per spiegare la sua capacità di giocare con il sangue al di là (spesso) del livello di sopportazione dello spettatore: come in Carne - Lo sguardo di Satana (1976) o in Fury (1978). Sono questi, con Vestito per uccidere (1980), Blow Out (1981), Omicidio a luci rosse (1984), i suoi film più riconoscibili in una stagione aperta da Le due sorelle (1973) che, come Complesso di colpa (1976), è un omaggio ad Alfred Hitchcock, riletto da un occhio molto più crudele e cinico, da uno “stilista” a sangue freddo.
I suoi primi film - da Oggi sposi (1966) a Impara a conoscere il tuo coniglio (1972) - erano curiosi, sperimentali, bizzarri: un occhio eccentrico sull’America che si perde nella perfezione formale e nell’indifferenza morale dei suoi horror e dei suoi simil Hitchcock. E di questa stagione mystery il film più inventivo resta Il fantasma del palcoscenico (1974), che rilegge brillantemente Il fantasma dell’opera in un favoloso contesto pop.
Ma dal suo remake di Scarface (1983), diventato anche per merito di AI Pacino un classico per le nuove generazioni sedotte da una violenza stilizzata - e dalla tensione della sceneggiatura di Oliver Stone -, De Palma si è lasciato alle spalle il mondo delle sue ossessioni per guardare a una mitizzata realtà americana(Gli intoccabili, 1987), all’olocausto del Vietnam(Vittime di guerra, 1989), al mondo del fragile benessere yuppie(Il falò delle vanità, 1990), la cui indifferenza e ambiguità morale ha trovato in lui un cantore partecipe e feroce. E se Doppia personalità - Raising Cain (1992) è, oltre che un ritorno al suo universo mystery, una fantasia nera sulla famiglia americana, Carlito‘s Way (1993) si ricollega a Scarface ma - a sorpresa - con un tocco di nostalgia “etica” per un perduto codice d’onore. Nel 1996 si presenta a Cannes con Mission: Impossible.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996
In Full Metal Jacket il Vietnam è presente come pensiero, come speculazione filosofica ma i vietnamiti non ci sono, neppure in lontananza: la macchina perfetta del corpo di addestramento dei marines è un grande meccanismo che gira a vuoto, proprio in funzione di questa assenza. I marines il nemico sembra se lo inventino, quasi in una allucinazione vera che ha tutti i crismi del niente. In questo 'niente' Kubrick riflette la tragedia che hanno vissuto molti in America, e come per Coppola in Giardini di pietra anche per lui il Vietnam è una sorta di pensiero astraente, una immagine panica, e tutto il suo film è come una 'macchina celibe' riproducente i meccanismi del cervello in un viaggio mentale. Lo scarto simbolico imprime questo senso virtuale al discorso filmico, dà l'impressione che ogni elemento venga retrocesso a simulazione: il nemico, le palme, le rovine, la guerra, il fucile sono questo spazio puro, vuoto, un nihil in cui si riflette la negatività della situazione. I Vietnamiti restano assenti o semplici immagini passive, cadaveri fotografati, puttane e lenoni. Ma, nel fittizio esibito, si ristabilisce la realtà della finzione.
Anche in Vittime di guerra di Brian De Palma la guerra, la morte, l'assurdo sono visti come negatività, come se la realtà si immergesse nei fondali della memoria, in immagini che improvvisamente si dilatano in visioni che toccano il sublime - come quel volo degli elicotteri, angeli della morte - che portano via il protagonista con il collo orrendamente tagliato. Potremmo dire, con Walter Benjamin che le rovine restano rovine, e l'Angelo della storia non ricompone l'infranto.
De Palma osserva con gli occhi, che già videro i ritmi impetuosi di Scarface e le cadenze assertive di Gli intoccabili queste vittime di guerra con una scansione dove il panico, il dolore, il sentimento annegano in una zona misteriosa, in un microcosmo in cui i gesti, l'avventura, l'azione sospendono la loro carica di epicità in un assordante universo di suoni e rumori. Ma anche in questo universo sonoro De Palma riesce ad avvertire i silenzi, gli attimi in cui l'uomo si perde come in un remoto percorso di paura. La guerra e una guerra contro l'invisibile, contro l'assente. La vita sembra una scommessa quotidiana, basta un niente a far saltare in aria un gruppo di soldati ad aprire sotto i loro piedi un baratro di gallerie sotterranee. La mappa del terrore tracciata da De Palma con una lucida visione delle cose, mette insieme, dilatandoli ricordi di episodi accaduti, di camminamenti nella giungla, costituendo un universo dove i fatti si affabulano. La razzia compiuta da un commando, in un pacifico villaggio, di una giovane donna portata via in missione di guerra, sconvolge la fragile personalità del giovane protagonista, prototipo dell'american boy, dai buoni principi, levigato come un bambino sicuro nei suoi valori democratici. Lo stupro e la morte della giovane vietnamita, squarciata da colpi di pugnale, colpita da proiettili di mitragliatrice e precipitata giù da un ponte, il suo corpo scomposto dopo la caduta, si imprimono nella mente del soldato come un segno emblematico e divengono nella loro atroce figuralità la forma di un rimorso per un atto mancato. Le sequenze iniziali del giovane soldato sprofondato a metà dentro un cunicolo e con i piedi che annaspano nell'aria nasconde l'enigma dell'impotenza, sono il segno di una premonizione, la figura di un viaggio mentale dentro se stessi. Così come era già accaduto per Scarface, anche in Carlito's Way, De Palma sonda, nelle pieghe di un uomo morente, l'intricato percorso che lo ha portato alla conclusione della sua vita. Una sorta di cosmogonia visionaria, di riflessione che riporta il problema dell'essere alla sua radice, nella disperata rivalsa contro quello che è stato e che ora non vuole più essere. Un andare contro se stesso in un universo negativo, dove ogni gesto, ogni incontro, ogni persona tende a 'risucchiarlo nel giro. De Palma traccia attorno a questo personaggio una sorta di saggio ermeneutico, che in una spirale di piccole spie - pensieri, mosse, eventi - spiega la sua nera malinconia e ne dimensiona la morte. L'incontro con Gail riaccende un amore segreto, la visione sotto la pioggia di lei che balla ha la fulminante bellezza di un musical minnelliano, (inverosimiglianza fantastica di un sogno. Molte altre sequenze hanno nel film questa densità espressiva, questo richiamo immaginifico, si pensi agli spazi improvvisi di quel viaggio omicida nella nebbia, o a tutte le incredibili visioni delle grandi stazioni ferroviarie, dove il gusto della composizione geometrica si scontra con l'opposizione ordine/disordine nel luogo mitico delle attese mancate. La scrittura e esatta, i procedimenti logico-metafisici anticipano i colpi di scena e riconducono la narrazione sui binari sui quali è cominciata: il corpo ferito, la visione capovolta, la voce delle sue riflessioni che denunciano la stanchezza che precede la morte. L'immagine, che dilata tutto lo schermo dell'insetto chiuso da Carlito sotto un bicchiere, visualizza uno stato d'animo che pre-sente la fine. È, sopratutto nel dettaglio che il film afferma la sua forma, come nella minuziosa ricostruzione delle voci, dei suoni di una strada di quartiere, vista dall'interno dell'auto dove Gail attende. È un momento di parentesi che nell'arresto del racconto dà il segnale di una situazione estremamente tesa,di una irriducibile mobilità della vita. In una sospensione de tempo la mdp coglie, al di là del finestrino, un mondo esterno che vive - bambini, donne, persone che camminano come colte dal caso, anche se il caso nel film è minuziosamente previsto. 'Un coup de dés jamais n'abolira le hasard', giustificazione argomentativa contro l'arbitrarietà 'geniale'. La guerra come esperienza o esaltazione avventurosa e lontana dagli schermi, rivive _come memoria, come qualcosa che ha inciso nella Storia, Pearl Harbor, teatro di una violenza subita o come nel film La sottile linea rossa di Terence Malick identificazione/sdoppiamento del corpo costretto ad offrirsi in bersaglio; film dove tutto procede come in un sogno, le voci, il silenzio. Lo stesso sbarco a Guadalcanal avviene in un silenzio spettrale mentre lo sguardo alle piccole cose condensa stati di allucinazione di un cinema mentale, dove l'azione cede il posto alla contemplazione. L'Iraq e le guerre infinite sono lontane, sono la luce verde che tutto avvolge e nasconde, come nei primi documenti della guerra del Golfo, sono il 'simulacro vuoto' come scrive Baudrillard di un'America sempre più prigioniera della propria immagine, sempre meno reale. Perdita dell'ellissi e del silenzio che va di pari passo con le nuove tecnologie, come confermano i film più recenti. L'Asia, la Cina, Hong Kong... - questa nuova Bisanzio degli anni 2000 - dove si coniugano cultura e immagini, violenza e coraggio, apartheid, rappresaglie, terrore, libertà sono i nuovi territori di una cosmogonia filmica di quel polar generalizzato che è oggi la società moderna.
Da Ritratti Autoritratti, Bulzoni Editore, Roma, 2006
A Filadelfia, dove il padre chirurgo opera, resta affascinato - si racconta - dal sangue. Alla Columbia University comincia a interessarsi di teatro e, insieme, di cinema amatoriale. Vince premi e ottiene successi lusinghieri che gli permettono di esordire in campo professionale, dove, cedendo alle suggestioni sessantottine, traccia due satirici ritratti dell'ingenuità borghese (Ciao America!,1968, Hi Mom!,1970, quest'ultimo interpretato da uno spassoso De Niro ventiseienne). Ma la sua strada è un'altra. La imbocca con la truculenta storia della psicopatica di Le due sorelle (1972), la sviluppa con il delirio rock di Il fantasma del palcoscenico (1974) e la conduce a una sorta di turgida perfezione - tra ossessione voyeuristica, gusto del sangue esibito, prestiti hitchcockiani sfacciati, abilissimo ricorso ai colpi di scena - con Complesso di colpa e Carrie lo sguardo di Satana, entrambi del 1976. A cavallo fra il genere horror, reso manieristico in una misura a volte eccessiva, e il thriller, manipolato con una sorta di affanno narrativo, De Palma si crea una sua interessante personalità di autore «minore» che alcune categorie di spettatori apprezzano e, addirittura, idolatrano. Usa con acume inventivo tutte le componenti del linguaggio, dalla fotografia alla musica (per questa ricorre spesso a Pino Donaggio). Gli psicopatici sono sempre i protagonisti delle sue storie, ora in forma diretta - come in Vestito per uccidere (1980), film esaltato e aborrito oltre ogni limite che ha per interprete uno stranito Michael Caine, o come Omicidio a luci rosse (1984), dove voyeurismo e pornografia si sposano grazie alla interpretazione di Melanie Griffith, o come Doppia personalità - Raising Cain (1992), storia di uno psicologo pazzo -, ora in forma indiretta, o trasposta - come in Scarface (1983), rifacimento dello Scarface (1932) di Howard Hawks: il ghignante Paul Muni di allora è sostituito da uno scatenato Al Pacino -, ora in forme allusive e allegoriche - come nella formidabile storia di gangster The Untouchables - Gli intoccabili (1987) o nello sconnesso ma spietato quadro newyorkese Il falò delle vanità (1990). Non si perita di rifare il verso a mezza storia del cinema.
Fernaldo di Giammatteo, Dizionario del cinema. Cento grandi registi,
Roma, Newton Compton, 1995