Peter Greenaway è un attore inglese, regista, sceneggiatore, è nato il 5 aprile 1942 a Newport (Gran Bretagna). Peter Greenaway ha oggi 82 anni ed è del segno zodiacale Ariete.
Il primo amore di Peter Greenaway è la pittura; ama Tiepolo, Veronese e Bronzino e in generale tutto il barocco e il manierismo, periodi che considera molto affini alla nostra epoca. Secondo il regista inglese infatti il presente è una fase vuota di ideali propri, ma che rielabora, con gusto eccessivo e barocco, le conquiste raggiunte nei secoli precedenti.
Il cinema, per Greenaway, è un'arte figurativa a tutti gli effetti, ragion per cui, nella ricerca delle tradizioni culturali, si riferisce alla pittura e in generale a tutta la storia dell'iconografia. La costruzione delle sue immagini diventa lo studio di un campo delimitato, chiuso, analizzato nei particolari e messo in scena solo quando trova la sua dimensione espressiva già in maniera statica. Questa concezione viene esemplificata attraverso l'espediente narrativo de I misteri del giardino di Compton House, costituito dal fatto che, ad un giovane pittore, viene commissionata una serie di quadri che raffigurino una proprietà, nei suoi diversi angoli visuali. Il film mira a sottolineare come l'arte aiuti a decifrare la realtà, ma non possieda alcun potere reale. Risulta infatti subordinata ad una logica lavorativa e a torbidi interessi economici, rispetto ai quali l'artista non è che una semplice marionetta.
Con un impatto visivo più enigmatico, con supporti narrativi ridotti o quasi inesistenti, con un gusto perverso per l'allusione enigmatica e cervellotica, Greenaway costruisce Lo zoo di Venere (1985), strutturato attorno alle otto tappe dell'evoluzione naturale di Darwin, che servono a riconfermare il concetto della necessità della morte perché la vita fiorisca.
Si presenta segnato da una vena narrativa più elementare e dalla metafora immediata Il ventre dell'architetto (1987), storia di un architetto americano dalle velleità artistiche inespresse che, a contatto con la perfezione architettonica di Roma, viene rapito da un senso di morte e di fine. Greenaway costruisce geometrie perfette utilizzando scenari naturali come Piazza Navona o il Pantheon, dipana continue associazioni culturali, e quando deve, in una scena fondamentale, dare il senso dell'umiliazione e della sconfitta dell'architetto che nel corso del suo soggiorno romano perderà anche la moglie invaghitasi di un artista italiano, va a guardare "La flagellazione" di Piero Della Francesca di cui ricalca prospettive e disposizione dei personaggi.
É quanto accade anche ne Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante (1989) in cui il retroterra figurativo è costituto dalla tradizione pittorica che raffigura gruppi di persone intorno ad un tavolo. In particolare - per ammissione di Greenaway - "La cena in casa Levi" di Veronese e "Il banchetto degli ufficiali del corpo degli arcieri di San Giorgio" di Hals. Il modello narrativo invece è quello del teatro satirico dell'età di Giacomo I d'Inghilterra, invariabilmente erotico e violento. Il film utilizza come scenografie grandi tavole imbandite dove si svolge qualunque azione: delinquenti preparano le imprese criminali, amanti fanno l'amore, altri ancora mangiano tranquillamente. Su questa accozzaglia di volgarità, si erge una figura che impersona ciò che in epoca moderna Greenaway considera il male assoluto: un consumatore incallito, un essere vorace ed ingordo che non attribuisce valore a niente e a nessuno, ma conosce perfettamente il prezzo di tutte le cose. Per questi suoi caratteri il film si presta ad essere letto come una metafora dell'Inghilterra dell'epoca thatcheriana, considerata come un periodo ossessionato dalla soddisfazione immediata, dall'indifferenza per un eventuale futuro e dall'erosione delle misure di protezione sociale, proprie della tradizione inglese.
L'ultima tempesta (1991) è una rilettura personale della tragedia shakespeariana, dove la tendenza alla ridondanza di Greenaway raggiunge confini prossimi all'eccesso. Il testo risulta fitto di citazioni e riferimenti, e la visione, di conseguenza, diventa molto spesso solo intellettuale. I libri di Prospero diventano una metafora del "bonbardamento di immagini" cui è soggetta l'epoca contemporanea, che Greenaway visualizza attraverso diverse manifestazioni iconografiche, dalla pubblicità al videoclip. Di fronte a questo assedio, l'immagine cinematografica non resiste: Greenaway la seziona, la divide in tanti piccoli quadri, ricorrendo ad espedienti elettronici.
In The baby of Mâcon (1993), il regista inglese usa ancora la metafora per parlare del presente. In questo caso, una storia ambientata in un paese italiano del 1650 i cui abitanti sono affetti da sterilità e nel quale la nascita di un bambino viene accolta come quella del Salvatore, serve per riaffermare ancora una volta l'ingannevole realtà delle immagini, espressa in maniera emblematica nel finale del film, quando gli attori, smesse le maschere deformi, salutano il pubblico ricordando che la vita è solo un'illusoria rappresentazione.
MILAN - For one fleeting evening, Leonardo's venerable "Last Supper" was a multimedia star.
In a dazzling confection choreographed by the film director Peter Greenaway, lights swept over that 15th-century wall painting in the refectory of Santa Maria delle Grazie here on Monday night, giving statuesque form to the figures. Obscure details lost to time, overpainting and subsequent restorations were brought to the fore.
An ominous flash picked out a dagger clutched by the apostle Peter. Jesus' feet reappeared under the table 350 years after they were hacked off when a door was opened in the refectory wall. Divine and natural light blurred as Marco Robino's rhythmic music culminated in a furious crescendo.
Then there was silence, followed by thunderous applause from the select few invited to the multimedia performance.
"We're out to educate you as entertainingly as possible," Mr. Greenaway said after the lights came up on the 20-minute show.
It was the second installment in a broader project in which he has harnessed the tools of the laptop generation to instruct what he has called a "visually illiterate" society. The goal, he says, is to explore the potential interaction between "113 years of cinema and 8,000 years of painting."
"Just because you have eyes, it doesn't mean you can see," said Mr. Greenaway, who is known for complex, cinematographically lush documentaries and films like "The Cook, the Thief, His Wife and Her Lover."
The first installment, in 2006, focused on Rembrandt's "Night Watch" at the Rijksmuseum in Amsterdam and eventually became a feature film, "Nightwatching."
Mr. Greenaway wants to have "dialogues" with nine paintings in all, the main prerequisite being that all must have "a Cecil B. DeMille cinematic scope," he said. His choices include Picasso's "Guernica" at the Museo Reina Sofia and Velázquez's "Meninas" at the Prado, both in Madrid; and Jackson Pollock's "One: Number 31, 1950" at the Museum of Modern Art in New York.
Although he assumes negotiations will be difficult, he also hopes to create a multimedia extravaganza to illuminate what he calls the "crème de la crème of wide-screen VistaVision frescoes": Michelangelo's "Last Judgment" in the Sistine Chapel in Vatican City.
"If it took Franco 200 sleepless nights to get 'The Last Supper' going, I can only imagine what it will take with the Vatican," Mr. Greenaway said. He was referring to the behind-the-scenes mediation of Franco Laera, president of a Milan production company and curator of the event, who had to overcome significant objections to the "Last Supper" project.
Mr. Laera responded with a sigh: "Peter, let's go step by step."
A vigorous debate erupted earlier this year after some art historians recommended that Mr. Greenaway be denied access to "The Last Supper." They feared for the well-being of the painting, which began to deteriorate only 20 years after its completion in 1498.
Cultural officials also objected to what they saw as the improper use of a monument with an intrinsic universal value. The multimedia presentation was initially intended to run for an extended period coinciding with the Milan Furniture Fair in April and was partly sponsored by Cosmit, the company that organizes the fair.
"I don't know why we would allow anyone to run the risk of possibly damaging a work of art in which the Italian state has invested a huge number of resources in the last 20 years," said Marisa Dalai Emiliani, one expert who opposed the project.
While champions insisted that the project would lend new meaning to Leonardo's painting, she said, " 'The Last Supper' doesn't need any added value."
But Mr. Greenaway, who dismissed the naysayers as "cultural snobs," said that Leonardo, as a master innovator, would have approved of a project that used sophisticated technology to push frontiers. "He'd be inventing new cameras," he said.
A compromise was finally reached. After toning down the original project, which involved more active animation, and securing approval from the main Italian restoration authority, Mr. Greenaway would be allowed to interact with the original "Last Supper" for one evening, which became the Monday event.
A clone of the painting would be set up inside the Room of the Caryatids, the main hall of the Palazzo Reale in Milan, and visitors could experience the full impact of Mr. Greenaway's creation there until early September. In that performance multiple projections on two walls flank a life-size reproduction of the table in the painting, accompanied by a pulsating soundtrack.
While viewing of the real "Last Supper" is limited to groups of 25 people at a time (about 350,000 a year), there are no such restrictions with the clone.
The doppelgänger may prove handy in 2015, when crowds stream to Milan for the Universal Exhibition. An estimated 30 million visitors are expected.
"We wouldn't pass the clone off for the original, of course, but we could use the Greenaway piece to give visitors something extra if they can't see the real thing," said Alberto Artioli, the Milan superintendent of art, who envisages finding a more permanent home for the copy.
The clone was created by the facsimile maker Factum Arte of Madrid, which installed a copy of Veronese's 16th-century "Wedding at Cana" in the Church of San Giorgio Maggiore in Venice last September. The original painting is in the Louvre, and Mr. Greenaway said the third installment of his project would involve working with both versions of the Veronese painting.
"It brings in all sorts of other excitements," said Mr. Greenaway, who wants to complete the "Cana" piece in time for the Venice Biennale and the Venice Film Festival next year. "Like, will it be an event about a fake original or original fake?"
Enthusiasm was high after Monday night's performance, and the culture minister, Sandro Bondi, said he would recommend that the installation become permanent. "We could dedicate one day a week to seeing Leonardo through the eyes of Peter Greenaway," he said.
Da The New York Times, 2 Luglio 2008
Figlio di un impresario edile e ornitologo dilettante, passa gli anni dell'infanzia fra Londra e l'Essex, a contatto con la natura. Studia pittura al Walthamstow Art College, rivela un temperamento sicuro e allucinato, espone per la prima volta sue opere nel 1964. Nel '65 è assunto dal Central Office of Information come montatore. Gli affidano poi la regia di alcuni documentari. Per conto proprio, gira cortometraggi sperimentali (spiritoso A Walk through H, sospeso nella immobilità Vertical Features Remake), raccoglie materiali sparsi realizzati in varie occasioni e compone 92 situazioni secondo il criterio della musica aleatoria di John Cage e nello spirito accumulatorio di una enciclopedia (The Falls,1980).
È la strada, segnata dai numeri e dalla composizione dentro una struttura visiva, che lo conduce al primo, affascinante successo, I misteri del giardino di Compton House (1983), storia di un disegnatore - siamo nel 1694 - ingaggiato per comporre dodici «visioni» di una villa e trascinato a poco a poco in un gioco perverso dove si confondono sesso, avidità, potere e delitto. Di film in film, le perversioni crescono di numero e di intensità, per una sorta di furore manieristico («sono convinto che stiamo attraversando - dice - un periodo manierista: concetto che preferisco a quello, orribile, di post-modernismo») e originano quattro film che ribadiscono il progetto di un autore segnato da poche, tenaci ossessioni (il sesso, la morte, l'orrore, le simmetrie).
Lo zoo di Venere (1985) mostra gli spaventosi esperimenti di due zoologi e di una donna, coinvolti in un incidente automobilistico. Il ventre dell'architetto (1987) segue le vicissitudini di un architetto americano venuto a Roma per allestire una mostra dedicata al teorico dell'architettura Etienne-Louis Boullée. Giochi nell'acqua (1988) sono quelli organizzati da tre donne che uccidono i loro mariti. Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante (1989) mischia sesso e cibo in un crescendo figurativo asfissiante, con maniacali movimenti di macchina e un finale di delirante antropofagia. Meno ricco, perché ormai stancamente ripetitivo, è The Baby of Mâcon (1993), mentre possiede spunti brillanti, e un suo fascino visivo, la variazione shakespeariana Prospero's Books (1991).
Fernaldo di Giammatteo, Dizionario del cinema. Cento grandi registi,
Roma, Newton Compton, 1995