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Rassegna stampa di Vincent Price

Vincent Price (Vincent Leonard Price Jr.) è un attore statunitense, è nato il 27 maggio 1911 a Saint Louis, Missouri (USA) ed è morto il 25 ottobre 1993 all'età di 82 anni a Los Angeles, California (USA).

EMANUELA MARTINI
Film TV

La voce ben educata, suadente, ironica, inquietante, con la quale dava vita alle variazioni da melliflua a demoniaca del dandy, gli veniva dalla gavetta sui palcoscenici londinesi. Le buone maniere, eleganti fino a parere sinistre, le aveva assorbite da un’impeccabile famiglia di industriali dolciari del Sud (era nato a St. Louis nel 1911). La cultura nasceva da una laurea a Yale in storia dell’arte e inglese e da una successiva in belle arti a Londra, dove si stabilì all’inizio degli Anni 30, dopo aver tentato senza successo di sfondare sulle scene newyorkesi. Vincent Price, re dei B movie alla Corman e in assoluto uno dei grandi protagonisti horror del ‘900, era infatti prima di tutto un fine conoscitore ed esperto d’arte: collezionò, tenne per tutta la vita lezioni e seminari, fu consulente di importanti mercanti d’arte, scrisse libri su Delacroix, Michelangelo, i tesori dell’arte americana. Come terza passione, dopo la re-citazione e l’arte, ebbe la cucina (e anche su questo argomento ha pubblicato parecchi testi). Non c’è da meravigliarsi, perciò, dell’ironia sottile con la quale si aggirava tra la paccottiglia dei set di Corman e tra le cere del suo museo assassino, o della perizia con la quale cucinava lo shakespeariano piatto infame in una delle vendette di Oscar insanguinato (uno dei suoi film migliori, per la gamma di caratterizzazioni che i successivi travestimenti consentono al protagonista). Vincent Price fu un istrione, cui stavano strette le prime parti romantiche che gli offrì la Universal all’inizio della carriera cinematografica (alla fine degli Anni ‘30, dopo discreti successi in teatro) e perciò si adattò a ruoli ben più incisivi di deuteragonista cattivo, o almeno infido e fatuo (valgano per tutti quello del fidanzato spiantato e gigolò di Laura in Vertigine e quello del cardinal Richelieu nei Tre moschettieri con Gene Kelly), attendendo il suo momento. Che arrivò a metà degli anni 50, con la stravaganza in 3D La maschera di cera e con gli horror a basso costo di William Castle e di Roger Corman. L’ossessione necrofila di Roderick Usher, Nicholas Medina e Verden Fell(I vivi e i morti, Il pozzo e il pendolo, La tomba di Ligeia), la crudeltà sinuosa del principe Prospero(La maschera della morte rossa), il gigionismo ilare di Montresor e di Craven(I racconti del terrore e i maghi del terrore), vivono tutti negli occhi febbricitanti, nella stilizzazione sopra le righe, nell’umorismo sotterraneo, nei toni impudichi di Vincent Price. La mancanza di pudore, unita alla classe e alla cultura, creava la miscela impagabile, l’equilibrismo folle, su cui si reggevano tutti i suoi personaggi al limite della caricatura. I suoi “mostri” non furono mai carnalmente sofferenti come quelli di Boris Karloff, né solo carnali come quelli di Christopher Lee, ma sempre un po’ intellettualizzati, e perciò astratti, rivestiti dei panni ricercati e travolti dall’etica e dall’estetica del dandy. Vincent Price fu alieno e smisurato, esente dal ridicolo quanto più si calava nell’autoironia (il ciclo del dottor Phibes, vendicatore sfigurato e ammantato di bianco divenuto un autentico cult) o addirittura nella parodia (quello del dottor Goldfoot e delle sue superladre in bikini, realizzato da Taurog negli anni ‘60 a mezza strada tra fantascienza e agenti segreti). La formazione classica e i tratti di shakespeariana grandezza contaminano tutte le sue interpretazioni, non tanto per giustificare budget irrisori, trasposizioni romanzesche o ripetizioni a catena, quanto per riattivare echi di genuina popolarità. Vincent Price non fa il verso ai grandi, ma a quelli che fanno il verso ai grandi. Per questo Oscar insanguinato (film d’attore e di atmosfera più che di regia) ha un guizzo di genio: perché il suo protagonista è un attore presuntuoso, eccessivo e fuori moda, alla caccia di un gruppo di critici supponenti e biliosi, e tutti si credono depositari di Arte mentre sono solo dei palloni gonfiati. Stessa dinamica, ma che affonda le sue radici nell’orrore della tragedia, per il personaggio di Matthew Hopkins, cacciatore di streghe realmente esistito nell’Inghilterra di metà ‘600, tristemente noto per i suoi omicidi legali e per le atrocità commesse in nome di Dio: Il grande inquisitore di Michael Reeves è uno dei film più autentici di Price, dove la mancanza di umanità di un personaggio travolto dal potere e dai propri vizi non trova neppure trasfigurazione epica (non è, insomma, Riccardo III, che Price interpretò in un film di Corman del ‘62, The Tower of London). Price, finalmente di carne, ci dà lo sguardo spento del Male, invece di quello acceso dell’ossessione. Per una volta, fece bene a rinunciare all’ironia

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