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Rassegna stampa di John Travolta

John Travolta (John Joseph Travolta) è un attore statunitense, doppiatore vers. originale, produttore, è nato il 18 febbraio 1954 ad Englewood, New Jersey (USA). John Travolta ha oggi 70 anni ed è del segno zodiacale Acquario.

LIETTA TORNABUONI
La Stampa

Dolce, buono, fiducioso, pragmatico. Bellissimi occhi azzurri da irlandese-italiano. Vestiti alla moda larghi e sciacquanti, grigiolini oppure color mastice. Modi educati, voce soft. A quarantadue anni John Travolta, ex ballerino febbrile del sabato sera tornato alla popolarità con Pulp Fiction di Tarantino, è cambiato soltanto nel prezzo: 25 miliardi di lire, anticipati, per The Double, ispirato al Sosia di Dostoevskji, diretto da Polanski. E nella fortuna: in Get Shorty di Barry Sonnenfeld recita l'avventura d'un gangster di Miami spedito a Hollywood per recuperare il grosso debito di gioco d'un produttore di horror di serie B (è Gene Hackman), che trasforma l'incarico e la personale passione infantile per i brutti film in un'occasione di cambiare la vita propria e altrui. Nel confronto tra due specie di squali, i carnivori del crimine e i cannibali del cinema, Travolta è divertentissimo, bravo. A parlarci invece è noioso, ma talmente ragionevole, assennato e quieto da risultare almeno esotico. Questo secondo successo nella sua vita d'attore come la fa sentire? “Non arrivo a crederci. Pulp Fiction ha significato una svolta di carriera stupefacente. è strano come succedono le cose: prendi una decisione che pare piccola, irrilevante; la prendi perché Tarantino diceva ''senza Travolta il film non lo facciò'; affronti il lavoro con un bel grado d'improvvisazione e d'approssimazione, con divertimento, come un gioco tra amici. E poi si condensa un'alchimia speciale, viene fuori un successo internazionale, una resurrezione...”. Quentin Tarantino è adesso il suo primo consigliere? “Certo. Lui e John Woo, con il quale ho interpretato ''Broken Arrow'', sono quelli che hanno avuto più fiducia in me. Però questa leggenda del ''grande ritornò', del ''Comeback Kid'‘Travolta, è più giornalistica che vera: in realtà non me ne sono mai andato, ho sempre avuto abbastanza lavoro e abbastanza soldi. Semplicemente, come ogni altro attore, ho attraversato periodi buoni e meno buoni”. Nei periodi meno buoni s'é disperato, ha provato rancore, ha fatto debiti, ha odiato Hollywood? “No. Non sono mai diventato cinico né amaro né nevrotico. Ho vissuto, studiato la gente, osservato i comportamenti: e anche questo, poi, m'é servito. Lei sa che a portarmi nel cinema, dalla tv dov'ero popolarissimo, è stato Brian De Palma con ''Carrié', esattamente vent'anni fa: da allora il cinema è la mia casa, il mio lavoro, il luogo naturale della mia esistenza. ''La febbre del sabato serà’è stato un colpo di fortuna e mi piace sempre, non lo penso come un peccato di gioventù, continuo a considerarlo un gran film: ma non m'ha fatto perdere la testa. Sono nato in una famiglia della classe lavoratrice, non sono di quelli che ai primi soldi subito vogliono andare in Africa o a Parigi, che sprecano e sperimentano come avessero paura di non fare in tempo a spendere. Io sono cauto, controllato. Sto attento. E, se va male, non mi butto giù: in ogni caso, avrò sempre avuto molto più di quanto mi aspettassi dalla vita”. Ma se la definiscono “un milionario che vive da miliardario”: villa nel Maine, due Rolls, il jet Gulfstream II che le piace pilotare... “Sono un ragazzo vivace, apprezzo la roba bella e qualche follia, voglio divertirmi. Piloto l'aereo non per amore del rischio ma perché m'incanta fare qualcosa che sembra impossibile: amo soprattutto il momento del decollo, quanto ti stacchi da terra, t'innalzi, ti liberi, voli... Faccio una bella vita. Soltanto, ho nostalgia di mio figlio Jett. Riesco a vederlo appena nei week-end, neppure sempre: e capita che lui, se mi vede sul teleschermo, per esempio in ''Senti chi parlà', tenere in braccio altri bambini, scoppi a piangere di gelosia. Eh, la felicità è un lavoro: devi creartela, costruirla, fabbricarla, provvedere alla manutenzione, senza aspettarti troppo”. S'aspetta di vincere l'Oscar? “Sarebbe divertente”. A raggiungere un tale equilibrio l'ha aiutata l'adesione a Scientology? Per lei è una setta o una religione? “Una religione. E una religione, comunque un sistema di fede, quando funziona è un sostegno notevole”. Hollywood è cambiata da quando lei ci arrivò vent'anni fa? O è sempre uguale, come Venezia? “Tutto il mondo è cambiato, in vent'anni. Persino Venezia, credo. Oggi i media hanno un appetito insaziabile di film, il pubblico chiede sempre più intrattenimento. Vent'anni fa uno come Robert Redford non poteva fare tre film in un anno senza rovinarsi. Adesso io li ho fatti, e meglio non poteva andare. La settimana scorsa m'hanno offerto diciassette nuovi film: sono contentissimo, così posso scegliere”.

LIETTA TORNABUONI
La Stampa

La terza vita di John Travolta comincia in A Love Song for Bobby Long della regista Shainee Gabel, con un personaggio troppo amico dell’alcol, dai capelli bianchi tagliati cortissimi, un professore universitario alla deriva nel caldo umido e nel disfacimento di New Orleans: uno sradicato autodistruttivo è il ruolo più bello della sua carriera, per il quale potrà venir ricordato anche come un grande interprete, oltre che come una star. La prima cine-vita di Travolta era stata naturalmente quella nata ne La febbre del sabato sera di John Badham che lanciò alla fine degli anni Settanta il fenomeno della disco-music, con Tony Manero il ballerino semiproletario italo-americano di Brooklyn protagonista anche di un dramma realistico sul malessere d’una generazione senza futuro, senza altra prospettiva che il ballo come trampolino di lancio e di evasione. Sensuale, d’una bellezza piuttosto cafona, capace d’una grazia e velocità di movimenti straordinarie, sensibile con quel suo sguardo commovente, l’attore divenne non soltanto con quel film un divo internazionale: ancora oggi, bastano una sagoma di cartone o uno schizzo appena accennato a renderlo immediatamente identificabile. La seconda vita di John Travolta ha inizio nel 1994 in PulpFictiondi Quentin Tarantino: il sicario ardito e tremebondo incaricato di portare a ballare di sera la moglie del capo, il killer imbranato da lui interpretato simboleggia benissimo il mondo buffonesco e tragico, l’efferato umorismo nero, l’aria confusa, criminale e caustica del film corale che ha cambiato un modo di fare cinema E adesso, dopo un periodo di film e ruoli minori (ma non si possono ignorare storie d’azione perfette o quasi come Get Shorty, Face Off La sottile linea rossa, La figlia del generale, ecco John Travolta alla sua terza vita cinematografica. Ha cinquant’anni e la pancia, mangia troppo, beve troppo e pesa troppo, ha una famiglia esigente, possiede tre aerei personali e sa pilotarli, è proprietario a Los Angeles d’una gran casa con giardino arredata con troppa ostentazione di divani capitonnés di pelle nera e di tavoli habilIés. Gioca a golf. Si muove lentamente, ha collo taurino e gesti aggraziati. È un divo solido, affermato, stabilizzato: ma non impigrito, almeno non tanto da non poter cominciare di nuovo per la terza volta, da non potersi dimostrare, ancora una volta, un vero attore. Da Lo Specchio, 18 settembre 2004

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È stato celebrato da due candidature agli Academy Award , l’ultima per il suo notevole ritratto di un killer in Pulp Fiction di Quentin Tarantino. Ha anche ricevuto delle candidature ai BAFTA e ai Golden Globe per questo acclamato ruolo ed è stato premiato come miglior attore protagonista dalla Los Angeles Film Critics Association, oltre a essersi aggiudicato tanti altri riconoscimenti.Travolta ha ottenuto grandi consensi anche nel ruolo del mafioso diventato produttore nella fortunatissima commedia Get Shorty, per cui ha vinto il Golden Globe come miglior attore in un musical o una commedia. Nel 1998 Travolta è stato celebrato dalla British Academy of Film and Television Arts con il Britannia Award; e lo stesso anno ha ricevuto il riconoscimento alla carriera da

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