ALESSANDRA LEVANTESI
Debra è riuscita ad affermarsi rapidamente come star ottenendo due nomination consecutive nell'82 per Ufficiale e gentiluomo e nell'83 per Voglia di tenerezza; ha confermato le sue qualità in film quali Betrayed (1988) di Costa Gavras e Il té nel deserto (1990) di Bertolucci, ha conquistato una terza candidatura con Shadowlands (1993) accanto ad Anthony Hopkins, ha attraversato due o tre pellicole non memorabili ed è svanita dal firmamento di Hollywood. Ora è riapparsa sotto il cielo del Ticino nel ruolo di membro della giuria e all'incontro con la stampa si presenta ironica e grintosa, vestita semplicemente in bianco. Porta un paio di occhiali da vista e sventolando una bustina di salviette per pulire le lenti dice con la sua bellissima voce da contralto: “Sono eccezionali, molto utili per apprezzare la fotografia dei film che stiamo esaminando”. Che effetto le fa dover giudicare i film? “Giudicare, che parola terribile, non mi piace affatto. Per me essere in una giuria significa parlare, discutere e valutare”. Com'é cambiata Hollywood da quando lei l'ha lasciata? “Poiché non ho mai fatto parte dell'ambiente, non ho elementi per rispondere. Per me era ed è un posto orribile. Tutto il tempo che ho lavorato là ho avuto la sensazione che volessero eliminarmi e dopo una ventina di film ci sono riusciti. Stare a Hollywood ha senso solo per chi pensa in termini di soldi e notorietà: laggiù è tutta questione di showbusiness, non conta altro. C'è stato un momento, una decina di anni fa, in cui sembrava che il cinema indipendente potesse ricavarsi un suo spazio, ma s'é rivelata un'illusione. Ora vivo a New York, l'unico luogo in America che abbia contatti con il resto del mondo”. Che ha fatto in questi ultimi sei anni? “Ho sposato l'attore Harliss Howard (il primo marito era Tim Hutton, padre del suo primo figlio), ho avuto altri due bambini. Mia madre è morta e l'ho assistita durante la malattia, ho recitato in un paio di spettacoli all'American Repertory di Boston, ho prodotto uno short di mio figlio quattordicenne e la prima regia di mio marito, Big Bed Love, tratto da un racconto di Larry Brown. Quello della produzione è un lavoro incredibile: devi avere una gran pazienza, badare ai conti, tenere tranquilli gli attori, controllare che tutti arrivino puntuali. Direi che è il lavoro di una mamma”. Ha avuto molte proposte in questo periodo? “Dopo tre anni hanno dato per scontato che era inutile mandarmi sceneggiature, tanto non le avrei lette. Nel cinema americano alle donne della mia età offrono solo parti di madri di adolescenti. E devo dire che non ho visto nessun film di recente che mi ha fatto pensare: 'Accidenti, questo l'avrei interpretato volentieri”. Quali dei suoi film le ha lasciato il miglior ricordo?Urban Cowboy perché è il primo, rappresenta l'entusiasmo della scoperta. Ho lavorato bene con Costa Gavras, ma Il tè nel deserto è stata l'esperienza più importante, anche di vita”. Pensa che potrebbe decidere un giorno di tornare al cinema? “Se un regista che stimo mi proponesse una parte interessante, potrei prendere in considerazione la cosa. Per esempio, se Bernardo avesse un ruolo per me...”
Da La Stampa, 8 Agosto 2001