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Il filo nascosto, una trama segreta per non precipitare

Paul Thomas Anderson racconta l'equilibrio tra due esseri, due corpi, due menti, la cui differenza geografica o sociale è solo un elemento poco interessante di una ben più radicale diversità, quella tra due persone. Al cinema.
di Roy Menarini

Il filo nascosto

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Daniel Day-Lewis (Daniel Michael Blake Day-Lewis) (67 anni) 29 aprile 1957, Londra (Gran Bretagna) - Toro. Interpreta Reynolds Woodcock nel film di Paul Thomas Anderson Il filo nascosto.
domenica 25 febbraio 2018 - Focus

La moda viene studiata da anni principalmente come fenomeno sociale, ancorché dotata di interesse filosofico (di cui si stanno ora occupando gli studiosi della cosiddetta "everyday aesthetics", estetica di tutti i giorni). Alla dimensione più squisitamente creativa, delle stoffe e dei tagli, sembra invece demandato tutto l'apparato dei talent show contemporanei, come l'internazionalmente celebre "Project Runway". E a sua volta, la storia della moda sembra un po' soffocata dall'imperativo del presente in continua evoluzione che il mercato pretende, riducendo il passato a un serbatoio di forme o poco più. Ecco perché non sono certo in molti a rimpiangere la moda inglese degli anni Cinquanta, un periodo post-bellico ancora segnato da un forte conservatorismo, dove le ricerche sui materiali e sulle fogge andavano più che altro a innovare sui dettagli (o sui fili nascosti, fantasmatici, appunto) piuttosto che sull'identità delle donne - le uniche, vere destinatarie delle creazioni sartoriali più originali dell'epoca: prima della rivoluzione, insomma; prima degli anni Sessanta che tutto avrebbero cambiato.

Raymond Woodcock, il designer (oggi si dice così, una volta si preferiva stilista) protagonista di Il filo nascosto (guarda la video recensione) non è un grande innovatore. Gli storici hanno rintracciato facilmente l'influenza del vero Charles James (a quanto pare altrettanto esigente e incontentabile) sul personaggio fittizio.
Roy Menarini

Gli esperti di moda hanno da una parte lamentato la scarsa fantasia dei vestiti rappresentati nel film, e dall'altra apprezzato la filologica correttezza nel raffigurare il tipo di alta società britannica che frequentava le Maison in quel periodo. Perché Anderson ha dunque scartato ogni opzione di affresco sociale della moda, per rifugiarsi invece nell'ossessione materica e creativa di un gesto sartoriale tradizionalista? I motivi, visto il film, appaiono evidenti. Il filo nascosto è un film in cui il vestito e il corpo si esprimono come unici due attori in campo, non c'è niente altro in mezzo, visto che l'unico esito possibile dell'abbigliamento è la cerimonia. Ogni cerimonia esige formalismi e liturgie senza tempo, per cui il vestito è sinonimo di eleganza e di decoro. E se manca il decoro, come accade alla nobile sovrappeso dal bicchiere facile, il vestito viene ritirato dal corpo per manifesta indegnità.


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In foto una scena del film Il filo nascosto.
In foto una scena del film Il filo nascosto.
In foto una scena del film Il filo nascosto.

I problemi, però, non sorgono quando il vestito è uscito dalla Maison per raggiungere i suoi futuri proprietari. Cominciano in casa. Come nei melodrammi americani di quel decennio (dal cui fulgore passionale però Anderson si tiene a debita distanza), più la casa/villa è ricca più somiglia a una prigione. Raymond e Alma vivono dunque nella più classica delle prigioni dorate, che per di più confina con il lavoro in maniera ossessiva. Sarebbe facile, dunque, scorgere alcuni miti letterari nel film, primo tra tutti quello di Pigmalione, salvo che stavolta la modella e la musa (due ruoli che non sempre coincidono) non è affatto disposta a farsi manipolare dalla mascolinità al tempo stesso fragile e dominante dell'artista. È affascinata dalla sua personalità, ma non può fisicamente prendere il posto della ex compagna nella casa/prigione, stando silenziosa e sullo sfondo, mentre la vera padrona - la sorella - domina l'ambiente con una quieta dittatura. È in questa dimensione che Il filo nascosto si infiamma, mostrandoci sotto le distese di tessuti e panni il vero fuoco nascosto.

Nell'estremizzazione dei caratteri, Anderson (che è un grande sceneggiatore, spesso ignorato per l'attenzione che gli si porta come regista) punta più che mai all'universale, e a raccontare l'amore come impossibile campo di armonie e disarmonie tra due personalità che non possono fondersi in ogni caso.
Roy Menarini

L'alterità è il grande tema del cinema di Anderson, e di questo film in particolare. Si racconta l'equilibrio tra due esseri, due corpi, due menti, la cui differenza geografica o sociale è solo un elemento poco interessante di una ben più radicale diversità, quella tra due persone.

In una sequenza destinata a entrare istantaneamente nella storia del cinema - quella della frittata di funghi - si giunge dunque alla vetta più silenziosa e sublime di una verità flagrante e scomoda, quando si comprende che l'amore si armonizza in una cessione quasi brutale di una parte consistente della propria personalità, contenendo e accettando l'altro, fino a rischiare di farsene svuotare. Il filo nascosto (lo spettro, che tante volte torna nei discorsi e nelle immagini del film) non è dunque una metafora del significato nel cinema, e nemmeno il segreto del melodramma: è una trama segreta che ogni coppia - per sopravvivere, sempre che sopravviva - intreccia e tende per non precipitare.


RECENSIONE

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