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Michael Winterbottom, un regista per tutte le stagioni

Il regista britannico presenta a Berlino The Look of Love.
di Mauro Gervasini

In foto il regista Michael Winterbottom.
Michael Winterbottom (63 anni) 29 marzo 1961, Blackburn (Gran Bretagna) - Ariete. Regista del film The Look of Love.

domenica 10 febbraio 2013 - Approfondimenti

Esistono pochi cineasti così poco etichettabili come il britannico Michael Winterbottom, classe 1961, capace di passare dal realismo mimetico stile Ken Loach al cinema politico e finanche a Hollywood e ai film di genere. A essere maligni lo potremmo definire un regista per tutte le stagioni, capace di gestire velocemente produzioni anche ambiziose (tre lungometraggi più un corto in poco più di due anni sono quasi un record) con un approccio estetico mai sorprendente o davvero originale. Onestamente però gli va riconosciuto un "disegno", o meglio una strategia. A parte episodi puramente commerciali come l'orribile The Killer Inside Me (2010), noir tratto da Jim Thompson, Winterbottom si muove su tre direttrici: il cinema realistico contemporaneo dedicato a storie di marginalità che potremmo definire "proletarie", quindi le opere degli esordi come Family (1994), Butterfly Kiss (1995), Go Now (1995) e il recente Everyday (2012). Un filone "in costume" che parte dal notevole Jude (1996), ambientato nel XIX secolo, ma abbraccia momenti della storia inglese anche più recente. Di questa categoria fa parte anche The Look of Love, il nuovo film presentato in questi giorni fuori concorso alla Berlinale (nella sezione Berlinale Special) dedicato alla figura dell'eccentrico miliardario Paul Raymond detto The King of Soho. Infine il cinema più apertamente politico, rivolto soprattutto a scenari internazionali controversi e caldi: Benvenuti a Sarajevo (1997) e The Road to Guantanamo (2006) i due titoli più rappresentativi.

In particolare quest'ultimo è piuttosto sintomatico dell'impegno ma anche dei limiti del cineasta. The Road to Guantanamo racconta uno dei più clamorosi errori giudiziari degli ultimi anni, celebre in Gran Bretagna come il caso dei Tipton Three. Tre inglesi di origine pakistana vanno nella terra dei padri per festeggiare un matrimonio, vengono arrestati dalla Cia dopo l'11 settembre perché sospettati di terrorismo e torchiati per anni a Guantanamo. Saranno scagionati totalmente solo nel 2004. Vicenda incandescente alla quale Winterbottom, incerto tra documentario e fiction, non riesce ad applicare un'idea convincente di drammaturgia.
Il procedimento viene replicato con Everyday, ancora inedito in Italia. Si torna in Inghilterra, dove un padre di famiglia finisce di scontare la sua condanna per detenzione e spaccio di stupefacenti e cerca di reinserirsi nel mondo "normale" con grande difficoltà. Anche qua Winterbottom, sceneggiatore insieme a Laurence Coriat, al suo fianco dai tempi del corale Wonderland (1999), vuole far credere allo spettatore che si tratti di un pseudo documentario quando invece è puro cinema a soggetto, senza che francamente se ne comprenda la ragione.

Con il senno di poi, e nonostante l'encomiabile sforzo di diversificare al massimo la propria opera, i titoli migliori di Michael Winterbottom restano i primi. Di Butterfly Kiss (1995) ricordiamo l'energia contagiosa, il ritratto di una donna negativa ma irresistibile come la protagonista Eunice, magnificamente interpretata da Amanda Plummer. Di Go Now va rimarcata la sensibilità nel trattare un tema come quello della sclerosi multipla, di cui si ritrova affetto uno stuccatore nonché calciatore dilettante interpretato da Robert Carlyle, senza alcuna commiserazione. Il suo capolavoro resta però il primo, Family, anche per merito della perfetta sceneggiatura di Roddy Doyle. Realizzato in quattro puntate per la BBC e per la televisione irlandese RTÉ (ma programmato da molti festival cinematografici internazionali), il film racconta la storia di una working class family della periferia di Dublino spostando di episodio in episodio (in tutto quattro) l'attenzione su un diverso membro del gruppo familiare. In perfetto equilibrio tra dramma e commedia, anche grazie ad attori straordinari come Seán McGinley e Ger Ryan, Family è ancora oggi da non perdere.

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