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Venezia 69, la politica degli autori: Paul Thomas Anderson

Ieri in concorso al Lido con The Master.
di Mauro Gervasini

In foto il regista Paul Thomas Anderson durante il photocall di The Master a Venezia 69.
Paul Thomas Anderson (53 anni) 26 giugno 1970, Studio City (California - USA) - Cancro.

domenica 2 settembre 2012 - Approfondimenti

La guerra è finita, andate in pace. Risuonano più o meno così le parole del generale McArthur dopo la resa dei giapponesi. Terminata la battaglia, comincia The Master di Paul Thomas Anderson, uno dei più attesi titoli della Mostra del Cinema di Venezia numero 69. Ma per l'irruento reduce protagonista del film la pacificazione è lenta, forse impossibile. Per qualcuno Anderson, classe 1970, è il solo vero autore del cinema contemporaneo americano. Scrive, dirige e produce, ha una "visione" netta e ambiziosa, modelli elaborati (le vagues europee, Robert Altman, Stanley Kubrick) ma non assomiglia veramente a niente e a nessuno. Il talento nella messa in scena è indiscutibile. La ricerca di un dinamismo drammatico anche nelle più statiche sequenze, fulcro estetico di The Master, rende la sua scrittura riconoscibile e per certi versi magistrale. Che sia lui stesso un "master", maestro della settima arte, è forse prematuro e azzardato sostenerlo, ma intorno ad Anderson si è sviluppato un culto della personalità (creativa) a volte acritico. Come chiunque persegua una visione, anche il Nostro parte spesso da alcuni punti fermi. Ad esempio il confronto tra un mentore e l'allievo. Vecchio gangster-gambler con sgarruppato clochard raccolto dalla strada nel film d'esordio, Sydney (1996); navigato e cinico pornografo e attore superdotato da far crescere "artisticamente" in Boogie Nights (1997); cercatore di petrolio e giovane mistico che ne diventerà la nemesi in Il petroliere (2008). Fino a The Master, dove la figura di un guru ispirato al fondatore di Scientology, L. Ron Hubbard, e interpretato da Philip Seymour Hoffman, si impone sulle coscienze dei poveri di spirito a partire dalla "cavia" prediletta, il reduce Joaquin Phoenix.
Naturalmente il cinema di Anderson, nella sua complessità, non può essere ridotto unicamente al tragico rapporto tra individualità, oltretutto esteso agli altri, siano essi gli adepti della setta del maestro o la comunità che vede crescere a dismisura il potere del petroliere, o la famiglia dalla cui morsa stritolante fuggire. Il cineasta sceglie soggetti attraverso i quali riflettere sugli archetipi più problematici della cultura americana: l'impossibilità di evitare il conflitto ("battle" e "struggle" sono le parole più ricorrenti in The Master), la violenza come linguaggio e chiave di lettura di un mondo ostile, la corruzione della persona nel suo confronto con la società (argomento quest'ultimo declinato in vari modi in Magnolia, 2000, da molti considerato il capolavoro del regista). Temi alti, a volte affrontati attraverso figure simboliche ed esemplari (già quelle di "maestro" e "allievo" lo sono, ma pensate a quanti genitori veri o putativi ci sono nei suoi film) e per questo fredde, poco empatiche. Pulsioni della testa e mai del cuore. Sia ben chiaro: l'empatia non è una condizione necessaria all'interno di un racconto, anzi in questo caso è una scelta perfettamente coerente con lo stile cinematografico, minimale e magniloquente, immaginifico e straniante.
Stile e poetica. All'abc del perfetto autore manca ancora un elemento: se stesso. Paul Thomas Anderson è figlio di Ernie, stand up comedian di medio livello, re per qualche notte dello strip di Las Vegas o dei locali di Magnolia (intesa come zona della San Fernando Valley, a Los Angeles, e set del film omonimo), intrattenitore notturno. Forse a sua volta narratore di stranezze ed esperienze estreme, ascoltate o vissute dal regista sulla propria pelle e poi elaborate in personaggi che sono uno e centomila. In questo, il vero conflitto finale del cinema di Anderson è quello che lo vede nella mischia, irresistibilmente attratto da un dio del massacro che finirà per mangiare i propri figli e allo stesso tempo pronto a scappare in moto verso un imprecisato punto dello spazio.

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