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Storia "poconormale" del cinema: puntata 81

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema.
di Pino Farinotti

Sequenze e modelli: dal libro al film
Maria de Medeiros (Maria de Medeiros Esteves Victorino D'Almeida) (59 anni) 19 agosto 1965, Lisbona (Portogallo) - Leone. Interpreta Sonya nel film di Manoel de Oliveira La divina commedia.

venerdì 10 settembre 2010 - Focus

Sequenze e modelli: dal libro al film
Un promemoria necessario: "È di questi giorni una notizia che arriva dalla Russia. Una fondazione intitolata a Lev Tolstoj, che ha sede a Jasnaja Poljana, non lontana da Mosca, dove visse il grande scrittore, in occasione della celebrazione della sua morte ha decretato che i Magnifici Sette della letteratura di ogni tempo sono: Dante, Shakespeare, Cervantes, Goethe, Hugo, Joyce, Tolstoj".

Scommessa
La Divina commedia, il film, continua dunque a rimanere una scommessa. Non è davvero facile, per il cinema, affrontarla. Anche se un titolo La divina commedia, esiste. Appartiene a Manõel De Oliveira. Ma il titolo è un pretesto. Trattasi di vicenda ambientata ai giorni nostri: in una clinica psichiatrica i degenti credono di essere personaggi biblici come Gesù, Maria e Lazzaro, oppure figure letterarie di grandi romanzi, soprattutto russi. Ogni personaggio è un simbolo da leggere come contrappasso fra la fiction e la realtà del momento, il film è del '91.
Comunque, niente a che vedere con l'Alighieri.

Impossibile
Un'altra considerazione generale sui Magnifici 7, su quella "classifica impossibile": è "geograficamente" equilibrata. Sono rappresentate grandi culture con la sola eccezione di quella americana, come ho scritto. Dal Medio Evo di Dante si passa all'epoca di Elisabetta prima. E qui tutto cambia, anzi, letteralmente si capovolge, parlo di cinema naturalmente. Mentre Dante è intoccabile, Shakespeare è uno degli scrittori più rappresentati dai film. William non lo sapeva ma era uno sceneggiatore perfetto. Le sue opere sono scritte per il cinema. Amleto e Giulietta e Romeo sono stati rivisitati decennio dopo decennio. Il primo motore è sempre L'Amleto di Olivier, del '48. Rivisto adesso soffre per enfasi e accademia, ma certo è un gigante. Il più grande attore (per lo meno shakespeariano) del secolo, interpretava e dirigeva la più grande pièce di tutte le epoche. Altro capolavoro di Olivier, l'Enrico V, colorato e spettacolare, cinema legittimamente invasivo rispetto al teatro. E poi tutto il resto. Cito le rappresentazioni di Zeffirelli, con L'Amleto, Romeo e Giulietta, La bisbetica domata. E poi il percorso di Kenneth Branagh, una bella mediazione fra classico e contemporaneo. Abbiamo visto edizioni in costumi nazisti, asburgici, e voglio ricordare la contaminazione estrema di Romeo + Giulietta, di Baz Luhrmann, con Leonardo DiCaprio e Claire Danes, coi due innamorati che declamano il testo originale a ritmo di rock metropolitano.

Concessioni
Italia medievale, Inghilterra Elisabettiana, dopo queste legittime, anzi sacrosante concessioni, ecco la Spagna di Cervantes. Sono molte le rappresentazioni del suo Don Chisciotte, anche se nessuna proprio memorabile. Ci ha provato un maestro autentico della fase espressionista, Pabst, primi anni trenta, facendosi distrarre però dall'estetica, dall'espressionismo appunto, a scapito dei contenuti, dei grandi significati e metafore dell'opera composta da Miguel de Cervantes fra il 1605 e il 1615. Di media qualità è anche L'uomo della Mancha, di Arthur Hiller con Peter O' Toole. Prende spunto dal musical di Dale Wasserman. Poco memorabile e poco a che fare con la nobiltà dell'originale. Una citazione per la magnifica fotografia del nostro Rotunno.
C'è un Don Chisciotte all'altezza, ma è un incompiuto. Non dovrebbe esistere. Lo si deve a Orson Welles. Il "genio" volle che l'opera di quel pazzo di Cervantes, nel quale in un certo senso si identificava gli appartenesse completamente, amandola e odiandola in assoluto. Si applicò al progetto per quattordici anni, ma da solo, senza assistenti, girando il mondo e fotografando reggendo la camera sulla spalla. Il genio pazzo dell'autore lo portò a nutrire una delle sue logiche incomprensibili. Non riuscì mai ed essere soddisfatto della sequenza finale, dove l'esplosione della bomba H avrebbe distrutto tutto e tutti, salvo don Chisciotte e il suo assistente. Jess Franco, collaboratore di Welles ha montato la pellicola a modo suo. Non si è certo preoccupato di entrare nella testa del maestro, non ci sarebbe mai riuscito. Rimane un'ipotesi strana, del tutto wellessiana: che il genio volesse essere l'unico spettatore del suo film. Immaginando, sognando dunque la fine, senza bisogno di girarla. Per questo ho scritto sopra che il Don Chisciotte di Orson Welles non dovrebbe esistere.

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