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Quo vadis, Baby?, dalla letteratura al cinema alla tv

Sky inaugura una produzione di film televisivi, fatti con la filosofia del cinema.
di Pino Farinotti

La televisione fatta come il cinema

lunedì 19 maggio 2008 - Focus

La televisione fatta come il cinema
Sky inaugura una produzione propria, con una filosofia importante: la televisione fatta come il cinema. L'utente dovrà avere la sensazione di assistere a un film da grande schermo, non da piccolo. Dunque un budget appropriato, un linguaggio dinamico e ricco, non solo primi piani che si alternano secondo il dialogo. L'idea è benemerita e importante, ma il soggetto è inadeguato, meglio, e uso un aggettivo che ricorrerà, sorpassato.

Riveduti e corretti
Di Quo vadis, baby?, da un romanzo di Grazia Verasani, ho già avuto modo di scrivere: è un film mediocre pieno di modelli... allarmanti, quanto meno. Motiverò, naturalmente. I personaggi sono: una detective, Giorgia Cantini (Angela Baraldi) del tutto disinteressata alle conseguenze del suo lavoro. Quando un suo dossier provoca la morte di una moglie fedifraga ad opera del marito, alla detective non importa nulla. Scopre, attraverso dei video, la vita della sorella morta: era cocainomane, ricattatrice, tradiva il marito con tutti, lesbica se serviva, eccetera. Ha un padre, crudele e violento, responsabile, tra l'altro, della morte della moglie, la quale, veniamo a sapere, aveva un amante. La detective va a letto con un tale che dichiara "Dio non esiste, l'unica vita che abbiamo è questa". C'è un amico, un commissario, che dà dei consigli alla "collega": "Non farti spinelli la mattina, fa' come me, una cannetta la sera." Ed è... un commissario. Il personaggio più umano, intelligente e positivo è una pornomodella lesbica che si porta il suo bambino sul set. E così ecco che gli affetti e i valori sono tutti... riveduti e corretti secondo Salvatores. Questi pronunciamenti, magari diluiti, sono presenti nella maggior parte dei film italiani. Certo, Quo vadis, baby? fa l'en plein, intende essere completo. E tutto questo viene portato in televisione, dove (qua e là) sopravviveva un certo eroe antico e superato, certo banale, senza macchia o con poche macchie (un solo nome esemplare, Montalbano).

Comizio
Le elezioni di aprile, anche quella del sindaco di Roma, non hanno dato solo un'indicazione politica, ma anche un segnale culturale. Gli elettori, il pubblico, sfrondando le due estremità del quadro politico, hanno implicitamente sfrondato le indicazioni estreme, in chiave, appunto, culturale. Si sono liberati dei guastatori. Hanno estromesso dal parlamento no global lanciatori di molotov o chi ha cercato di inserirsi strumentalizzando un problema doloroso come l'aborto. Walter Veltroni, all'ultimo comizio, ha invitato sul palco un gruppo di attori e registi italiani, molti dei quali portatori delle indicazioni del "modello Quo vadis, baby?", "guastatori". La gente non lo ha premiato. Perché il pubblico, per anni, si è visto imporre qualcosa che non capiva perché lontano dalla cultura normale della vita. Per tanto tempo subisce una critica che ti spiega che da una sala devi uscire depresso e senza speranza. E alla fine, vedendoli lì schierati, "toccandoli", ha diffidato di quella fascia di "modelli incomprensibili" che ti fanno sentire in colpa se ti piace un film divertente, se sei credente e se non ti fai uno spinello ogni tanto.

Trasversale
Il discorso di insediamento largo, trasversale del neopresidente del Consiglio, l'ammiccamento, accettato, verso il capo dell'opposizione, rappresentano un'evoluzione, nel senso detto sopra. "Apertura-collaborazione-novità-rivisitazione, sono concetti da estendere altrove. Sfrondando le estremità, gli "utenti" si sono detti, appunto, stufi dei guastatori. Portando il discorso oltre il cinema, alla televisione e alla comunicazione in generale, emerge dunque che i cittadini-spettatori hanno detto, con perentorietà, che un personaggio che passa la vita a spulciare i verbali dei processi per cogliere in fallo questo o quello, è sorpassato. Un conduttore-opinionista che attacca sempre e comunque e con dolo una sola parte, è sorpassato. Un comico che sfotteva il papa (com'era facile!) e che adesso confronta le massime di Gandhi con quelle della Santanchè e quelle di Mandela con quelle di Bossi, è sorpassato.

Roba seria
Ma intendo ancora andare oltre il cinema, che comunque, per la sua natura disordinata e non necessariamente rigorosa, per le sue licenze perdonabili, manterrebbe un minimo di franchigia. Mi riferisco al romanzo (roba seria dunque) "Belle anime porche" di Francesca Ferrando. Non l'ho letto, mi limito a trascrivere lo strillo principale del lancio: "Da tenere in tasca come manualetto di strada per ragazze furibonde". Tracy, sfaccendata adolescente di periferia con il mito di Vasco Rossi, un giorno scappa di casa, cerca e trova la vita spericolata: "In pochi mesi sono diventata ladra, barbona, puttana, puttaniera, mogliettina, lesbica, detenuta... No, non mi sento male. Anzi, sto decisamente meglio di quando sono partita". Altre due guastatrici, Tracy e Ferrando, depennabili. Sorpassate. Veniamo informati che verrà presentato al festival di Venezia. Spero davvero di no. Sarebbe un bel segnale che il cinema ha capito, è passato oltre. Ma il nodo è un altro: chi si è strutturato guastatore, ne ha fatto un'attitudine compiaciuta, e magari redditizia, capirà la nuova fase? Oppure sa fare solo quello, sa solo aggredire, guastare, e non proporre. Per proporre occorre talento.

Un altro detective
C'era una volta un altro detective, Maigret, scritto da Simenon e non da Grazia Verasani, interpretato da Gabin e da Cervi, e non da Baraldi. Maigret è scettico e dolente, sa che la cosa che rimane da fare è salvare il salvabile. Ma sta attento a non far male. Non ha figli, la sera, stanco, deluso dalla gente, si rintana in casa con sua moglie, beve birra e pensa a come ha agito. Cerca, appena possibile, di proteggere tutti, un indagato, un presunto criminale e un criminale accertato. Perché lui è tollerante, e garante. Non è un guastatore e non sarà mai sorpassato.

Alberto
Nel 1961 Alberto Sordi fece Una vita difficile, diretto da Risi, scritto da Sonego. È la storia di Silvio Magnozzi, giornalista. È partigiano nella zona del lago di Como, rientra a Roma e milita nel suo piccolo giornale, si batte per mandar via gli americani. Poi vive tutte le vicende e le date decisive del dopoguerra: il referendum del '46: leggendaria la scena in casa dei principi monarchici, devastati dalla notizia del risultato. Le elezioni del 18 aprile del '48 lo vedono denunciare i "ricchi" che hanno mandato i soldi in Svizzera temendo la vittoria dei comunisti. E lui, Silvio lo è comunista, vero, onesto. Nel luglio del '48, dopo l'attentato a Togliatti viene arrestato mentre cerca di occupare una stazione radio. In prigione organizza "culturalmente" i detenuti. Ma uscito, su pressione della moglie, si adatta a lavorare per Claudio Gora, commendatore, un industriale emergente e prepotente, proprio l'uomo che lui, Magnozzi, aveva sempre combattuto. Subisce ogni tipo di umiliazione, ma durante una festa, dopo aver spostato un cardinale che ingombrava, scaraventa il commendatore in piscina appioppandogli il più liberatorio schiaffo di tutto il cinema. Il palmo di quella mano era quello di tutti noi. E tutti stavamo dalla sua parte, magari pensandola diversamente. Ma quello era Alberto Sordi. Se ci fosse stato lui, sul palco, a Roma, forse la conta... poteva essere diversa.

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