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La fine del mondo secondo Alfonso Cuaròn

Accolto da uno scroscio di applausi in sala conferenze, il regista spiega la sua visione di Children Of Men
di Tirza Bonifazi Tognazzi


domenica 3 settembre 2006 - News

Quasi una standing ovation in sala conferenze all'entrata di Alfonso Cuaròn, Timothy J. Sexton, Clive Owen e Claire-Hope Ashitey, rispettivamente regista e sceneggiatore, co-sceneggiatore e interpreti di Children Of Men, il film tratto dall'omonimo romanzo di P.D. James. I giornalisti presenti, generalmente restii a essere i primi a fare le domande, si sono subito attivati per ottenere la parola dal moderatore Claudio Masenza. Cuaròn non ha bisogno delle cuffie per la traduzione dall'italiano, che sembra capire bene, ma preferisce rispondere in inglese. E lo fa mantenendo sempre il sorriso sulle labbra, come se sapesse già che questo film avrà lunga vita al Lido e fuori dalla Mostra.

"La pellicola è popolata da icone e significati che fanno parte dell'immaginario collettivo umano" spiega. "Non volevamo dare una visione pessimistica del futuro, semmai una visione realistica del presente. Quando inizialmente ho parlato alla produzione della volontà di fare un'opera fantascientifica si sono dimostrati tutti felicissimi, ma poi sono arrivato con le mie idee e con le foto del Pakistan e dell'Iraq, immagini che vediamo ogni giorno, e hanno capito che volevo parlare dell'attualità adoperando un'altra chiave di lettura".

Nel film di Cuaròn si parla di ultimi giorni, e c'è una battaglia finale che potrebbe essere interpretata da qualcuno come una sorta di Armageddon. "Non volevo che quella scena potesse in qualche modo glorificare la guerra. In effetti siamo stati sempre molto attenti a non utilizzare messaggi che potessero risaltare la violenza. Il personaggio di Owen, per esempio, non ha mai un'arma addosso e usa la forza e la violenza solo per sopravvivere. Il modo in cui abbiamo girato il film vuole darvi la sensazione di stare nel film stesso, e di vedere con i vostri occhi quello che sta succedendo".

"Abbiamo iniziato a lavorare sul soggetto in pieno inverno, in un piccolo appartamento londinese. In quelle condizioni - il grigiore della città, il freddo - non era difficile immaginare la fine del mondo" scherza Timothy J. Sexton, e continua "abbiamo usato una prospettiva molto umana di persone che in realtà non sono del tutto in grado di fare quello che stanno facendo". "Owen ci ha dato una grossa mano in questo" interviene il regista. "Di solito gli attori devono essere pro-attivi, lui invece doveva essere statico, l'unico motivo che lo spinge a prendere in mano la situazione è il fatto che gli avvenimenti gli cadono addosso, è costretto a essere reattivo. Non gli abbiamo dato molto materiale sul quale lavorare, è stata una grande sfida per Clive".

"Sì, il mio è un ruolo insolito" aggiunge l'attore. "Si distacca completamente dall'eroe convenzionale, è un uomo senza speranze, riluttante a trovarsi in quelle situazioni. È una parte importante, il mio personaggio è in tutte le scene ma non è reattivo. Questo film rompe con la consueta tradizione del cinema di partire da lontano per avvicinarsi al protagonista. Qui viene esposta una scala molto più ampia di un aspetto molto più cinematico. È difficile spiegare perché generalmente scelgo un ruolo piuttosto che un altro; lo faccio in maniera istintiva. Ma ho scelto di partecipare a Children Of Men perché sono un grande fan di Alfonso Cuaròn, è un regista originale, innovativo, e ho sempre voluto lavorare con lui".

C'è una scena nel film in cui l'obiettivo è macchiato di sangue, qualcuno in sala si chiede il perché. "Non avevamo pianificato quel sangue" spiega Cuaròn. "Quando prepari una scena da filmare in 12 riprese, e all'undicesima ancora non hai nulla in mano, né alla dodicesima, e quello è l'ennesimo tentativo di filmarla, non ti stai a domandare se è il caso di interrompere quando accidentalmente del sangue finisce sulla camera, rischieresti di perdere l'attimo. In quel momento Clive era preso dall'euforia, io mi sono fatto coinvolgere dal suo fervore, e alla fine delle riprese mi hanno detto: 'fantastico! Questo è il miracolo della scena!'. E il sangue è rimasto nella sequenza".

Alla domanda sulla colonna sonora, che contiene anche una cover di Ruby Tuesday dei Rolling Stones rifatta da Franco Battiato, il regista ammette che la stavano ascoltando durante la lavorazione alla sceneggiatura, e coglie l'occasione per ringraziare il musicista catanese. Le altre canzoni invece sono state scelte da due esperti in materia, a parte le musiche di John Tavener, perché, come rivela Cuaròn "il processo stesso di scrittura suggeriva la scelta di Tavener". Tornando al significato del film il regista messicano spiega che la sua opera "parla di speranza, ma anche di come l'ideologia interrompa il dialogo tra le persone. Credo nella possibilità che ci sia un'evoluzione nello spirito umano, ma questo avverrà con la prossima generazione, non con la nostra". E se ciò che avviene nel film accadesse anche a lui? "Chiamerei immediatamente Clive Owen per salvare il mondo", risponde allegramente Alfonso Cuaròn.

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