Lincoln |
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Un film di Steven Spielberg.
Con Daniel Day-Lewis, Sally Field, David Strathairn, Joseph Gordon-Levitt, James Spader.
continua»
Biografico,
Ratings: Kids+13,
durata 150 min.
- USA, India 2012.
- 20th Century Fox Italia
uscita giovedì 24 gennaio 2013.
MYMONETRO
Lincoln
valutazione media:
4,01
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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L'uso politico della storia genera film mediocridi ImmanuelFeedback: 4237 | altri commenti e recensioni di Immanuel |
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sabato 9 febbraio 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
C'è stato chi ha scritto che questo film rappresenta "un vero e proprio incontro ravvicinato di terzo tipo (sic!) con la storia"... Al di là delle frasi fatte roboanti e a effetto, mi sento di dire che Lincoln, semmai, ha aggirato la storia, l'ha perimetrata confinandola a un rilievo minoritario e evitando il più possibile di raccontare (omettendoli) fatti di ben più grande rilevanza. In altri termini una agiografia, o poco più, senza realmente indagare le cause e gli effetti dello schiavismo e della guerra civile (le cui immagini lo spettatore scorge in qualche fredda e iconografica lastra fotografica o in una appena accenata scena di combattimento iniziale), come la crisi di una giovane repubblica, con i suoi valori di democrazia, messa in pericolo da una guerra distruttiva. Una retorica autocelebrazione di un'America in crisi, che si consola accontentandosi, nel primo XXI secolo, delle sue conquiste in temi di "diritti umani" (di essere arrivata a "conquistarsi" il primo presidente nero della storia, come se non contassero poi le reali discriminazioni che ancora allignano nelprofondo della società statunitense), raffrontando se stessa con quei tristi, bui e brutali anni dominati dalla guerra fratricida e dal gioco schiavile legalizzato. Dunque una autocelebrazione consolatoria, finta e inevitabilmente fragile, un palcoscenico di finzione, di votaggine e di ideologia. Quella di chi ha voluto, più che indagare le cause di un fenomeno, indulgere all'encomiastica e fredda celebrazione della "patria lincolniana", quella antischiavile, contro quella nemica rappresentata dagli strenui difensori delle gerachie razziali, che guardavano dall'alto in basso, col faccino corrucciato, un nero in divisa militare... Una tale sciatteria non era richiesta in un film che volevasi storico, eppure Spielberg è riuscito a fare di peggio, pur conferendo alla pellicola una patina di "vecchiume", piuttosto che di storia, ancorché solo scabra e superficiale. Qui non si vogliono contestare le abilità del regista, non si vuole neanche lontanamente mettere in forse le capacità registiche di Spielberg, indiscusse, tuttaltro: sono i meccanismi narrativi e l'intento ideologico a venire contestati, con il loro portato di retorica, di pompa, di enfasi, di teatralità ai limiti del caricaturale (come nella rappresentazione di alcuni personaggi, come la povera moglie di Lincoln o il deputato abolizionista Thaddeus Stevens). Detto fuori dai denti: si è voluto far commuovere lo spettarore, ma senza praticare la benché minima pedagogia. Non si pretendeva certo una lezione di storia, ma non era necessario, d'altro canto, neppure un tal grado di falsificazione, come se, realmente, le sorti del conflitto venissero a dipendere dall'approvazione del 13° emendamento (che non si applicava alla Confederazione) o il popolo unionista apparisse più interessato alle sorti della battaglia parlamentare sull'abolizionismo, che alla volontà del gabinetto di porre termine a un conflitto sanguinosissimo, da cui l'America uscì distrutta. Non stupisce che il film si sia svolto tra dialoghi spesso surreali, nella penombra delle lampade ad olio degli ambulacri della Casa Bianca, e molto poco o quasi per nulla per le strade di un paese in guerra, trai campi di battaglia (dove il protagonista in una fugace scena finale sembra passare freddamente quasi per caso), nelle baracche dei neri sfruttati o nei campi del sistema schiavistico. Non sorprende, infine, che questa America non abbia voluto vedere neppure ucciso il proprio eroe. Che ha preferito osservare morente ma sereno al proprio capezzale, come è quello di un'America, e di un film soprattutto, di un grigiore e di una disillusione svilenti.
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