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ONDA&FUORIONDA di Pino Farinotti

E Lincoln cambiò il mondo.
di Pino Farinotti

In foto Daniel Day-Lewis e Sally Field in una scena del film.
Daniel Day-Lewis (Daniel Michael Blake Day-Lewis) (67 anni) 29 aprile 1957, Londra (Gran Bretagna) - Toro. Interpreta Abraham Lincoln nel film di Steven Spielberg Lincoln.

domenica 27 gennaio 2013 - Focus

Spielberg per il suo Lincoln ha sceneggiato il libro di Doris Kearns Goodwin, "Team of Rivals: The Political Genius of Abraham Lincoln", che aveva profondamente studiato la vicenda del sedicesimo presidente egli Stati Uniti, cercando di avvicinarsi il più possibile alla verità. Come sempre accade nell'interpretazione di un grande personaggio, si passa dalla visione più accreditata, alla revisione, a volte al ribaltamento del carattere e del ruolo storico. La Goodwin ha probabilmente trovato le giuste mediazioni. Insomma, farebbe testo. E "mediazione" è un lemma che pare si addicesse al Presidente. Mediazione: ma usata bene, molto bene. E così questo film realista, quasi un kammerspiel ultraparlato, che non fa prigionieri e concessioni allo spettacolo - c'è solo un indispensabile promemoria iniziale di battaglia secondo lo stile della Normandia del soldato Ryan - si pone come modello di verità su un uomo, uno dei pochi, che ha cambiato il mondo. In A Royal Weekend Franklin Delano Roosevelt (è proprio il momento dei presidenti al cinema) dice che è impossibile per un politico essere onesto. Lincoln, per il suo progetto deve naturalmente agire da politico, dunque compromesso, mediazione, accordi e sì, ricatti e corruzione. Ma ciò che conta, ed è la tesi primaria del film, è il carattere dell'uomo, conta se nell'insieme prevalgano la sua onestà di base, l'attitudine e il sogno ancestrale di cambiare lo stato di milioni di esseri umani che servivano e producevano senza compenso, che non avevano diritti e che erano diseguali solo perché diseguale era il loro colore. Spielberg e Day-Lewis entrano nella profondità di quell'uomo: la passione, l'energia, il convincimento e la parola, il dolore opprimente per il costo dei morti quotidiani per realizzare quell'idea, la buonafede radicale accerchiata dalla necessità del compromesso per quel fine che è il nuovo, elevato destino della dignità umana. Forse è davvero la verità, o almeno ci siamo molto vicini.
Grazie alla sua attitudine, e strategia, di spiegare i principi attraverso parabole e racconti, Lincoln ricorda di aver visto, ragazzo, una chiatta che trasportava schiavi in catene in viaggio sul Mississippi verso il mercato degli schiavi di New Orlaens. "È stato per me un peso sul cuore che è sempre rimasto lì". È doveroso credere che quel peso fosse carattere e onestà, non (solo) strategia. Mentre è strategia autentica la chiave giuridica - Lincoln era avvocato - di considerare i sudisti non nazione ma ribelli, per poterli espropriare degli schiavi, che erano soggetti economici e patrimonio. Una volta vinta la sua battaglia il presidente capovolse la definizione: il Sud era nazione, anzi, era Stati Uniti, senza differenze.

Sud
Dunque Abraham Lincoln ha abolito la schiavitù, ha fatto la guerra al Sud per liberare i quattro milioni di schiavi neri. È una notizia risaputa da tutti. Un dato univoco, semplice. Univoco lo è certo, ma semplice proprio no. L'uomo dovette lottare mortalmente (termine davvero appropriato) per fare approvare alla Camera dei Rappresentanti quel fatidico 13° emendamento che stabiliva la libertà e la parità umana di tutti gli americani e di tutte le razze. Il film narra della caccia a venti voti mancanti, con tutti i mezzi, secondo la "politica" detta sopra. Lincoln arriva ad assumere, in segreto naturalmente, dei faccendieri criminali che dispenseranno ruoli amministrativi e denaro se voteranno quel "sì". E in un momento di difficoltà, quando i numeri sembrano mancare, batte un pugno sul tavolo, si alza e urla: "sono il presidente degli Stati Uniti, sono investito di un potere immenso, andate e trovatemi quei voti". Ha forzato la propria attitudine, usato la strada del potere, quasi della violenza. I voti vengono trovati.
Il grande nodo della differenza fra neri e bianchi era un preconcetto che a noi appare odioso, ma che allora appariva naturale. Le frasi sono: "Se dio avesse voluto che tutti fossero uguali non avrebbe creato colori diversi di pelle". Un personaggio chiave della vicenda è Thaddeus Stevens (Tommy Lee Jones), repubblicano come il presidente, un radicale fanatico delle uguaglianze e di grande influenza alla Camera, che al momento finale, della storia e del destino, è costretto a rinnegare, parzialmente, la sua filosofia, e a dichiarare che i neri non sono come i bianchi in assoluto, ma devono esserlo "legalmente". È il compromesso che smuove gli ultimi indecisi. Di fatto il compromesso che abolisce la schiavitù. Una questione di definizione, di parole, non di sostanza. Stevens torna a casa dopo la battaglia, col documento ufficiale del decreto. Lo mostra alla sua governante amante, nera. Dice, "ecco l'atto più importante del secolo, ottenuto attraverso i compromessi e la corruzione di un uomo puro". La sostanza è questa, appunto.

Libertà
E poi... l'America. Il dato naturale è che la cultura della libertà apparteneva a quel popolo, che ottantanove anni prima aveva fatto una rivoluzione per ottenere la propria libertà dagli inglesi. E Spielberg è molto legato al concetto, e alla storia americana, probabilmente, al di là del marketing dei suoi film, ama davvero il suo Paese. La traiettoria che partì in quel gennaio del 1865, così nuova e allarmante, piena di panico anche per chi l'aveva innescata - le evoluzioni, tutti i diritti compreso il voto, i grandi ruoli e le grandi nomine, militari e politiche, insomma l'integrazione assoluta- Spielberg la annuncia e la fa concludere davvero con il ruolo assoluto, la presidenza, di un nero, 143 anni dopo. E Lincoln ricorda anche il pregresso rispetto al suo secolo, eterna vicenda antica di trenta secoli. E il presidente, e anche Spielberg, sembrano spingersi nel futuro, nel Novecento, quando l'America interverrà due volte in Europa, e nel mondo, nel '18 e nel '41, a portare il suo contributo decisivo per abbattere nazismo, fascismo, e imperialismo nipponico. E anche in quel caso sarà una storia di compromessi, di mediazioni e tornaconti. Sarà guerra&politica. Se è vero che i vincitori americanizzeranno parte della terra, compresi i samurai sconfitti. Ma non sarà il peggiore dei mali. Come detto all'inizio, il regista mantiene il rigore a scapito dello spettacolo. Rinuncia persino a mostrare l'assassinio del presidente in teatro. La notizia viene data in un altro teatro. La sequenza mostra poi Lincoln sul letto, circondato dai famigliari e dai fedeli, mentre il medico lo dichiara "spirato". Proporre l'uccisione sarebbe stato un picco di racconto innaturale nel diagramma, rispetto allo stile e alla drammaturgia adottati. Ma l'ultima immagine è quella di Lincoln nella folla, che parla dei principi e del nuovo destino dell'umanità, rigenerato dall'America e che si irradierà nelle nazioni. Impossibile non citare Daniel/Abraham: una performance di verità impressionante, forse unica. Un grande film. Protagonista sicuro nella "notte delle stelle".

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