Prometheus |
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Un film di Ridley Scott.
Con Noomi Rapace, Michael Fassbender, Guy Pearce, Idris Elba, Logan Marshall-Green.
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Titolo originale Prometheus.
Fantascienza,
durata 124 min.
- USA, Gran Bretagna 2012.
- 20th Century Fox Italia
uscita venerdì 14 settembre 2012.
- VM 14 -
MYMONETRO
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Alien contro Alien
di ImmanuelFeedback: 4237 | altri commenti e recensioni di Immanuel |
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giovedì 20 settembre 2012 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Se non fosse per la scena finale che ci ricollega direttamente al progenitore "Alien" (alla fine del film un signore ha giustamente chiosato "cissà perché c'è sempre alien in mezzo...!"), il film sarebbe stato riducibile a una mera operazione di rebranding commerciale, probabilmente avvalorando le critiche feroci che hanno riguardato il film non solo su MyMovies. Prometheus è qualcosa di più. Scott non va solo alla ricerca del profitto facile. Se avesse voluto avrebbe potuto sfruttare al meglio il franchise legato allo "xenomorfo" (alla figura dell'alieno con la testa allungata, protagonista dei film legati al brand alien), sbolognandoci un ennesimo prodotto della saga. Ma non l'ha fatto, preferendo personalizzare l'opera e darle quel socco artistico che solo i sapienti registi sanno conferire. A tal proposito la polemica contro il film è ingiustificata. Forse qualcuno avrebbe preferito una qualche trama debitrice, derivativa o costruita sulla scorta dell'impianto originario (un "crossover"), rimpiangiendo nostalgicamente le emozioni dell'archetipo del '79 e successivi. Il cineasta preferisce invece occultare la matrice sotto l'esoscheletro, sotto la muta del gigante dal volto cereo (e dal profilo mussoliniano), per palesarsi solo nel fotogramma conclusivo. Per il resto, guardando ai contenuti, il film pone gli interrogativi eterni dell'uomo, sulla sua origine, sull'esistenza di un'intelligenza creatrice, che il mutante interpretato direi perfettamente da Fassbender mette in discussione con le sue certezze granitiche e il suo aplomb da androide, e nonostante l'indefesso scetticismo, l'archeologa non si smuove dal proprio convincimento metafisico, in ciò confermando il legame dell'uomo alla necessità di una prospettiva oltremondana, al bisogno "di credere in qualcosa". La squadra di scienziati, o simil tali, e di militari di fine XXI secolo, dopo un crio-sonno di due anni (qui il riferimento a avatar è evidente), approda su un asteroide, base di partenza per il decollo di enormi astronavi condotte lì dagli "ingegneri", di cui i poderosi fisici antropomorfi appaiono sorta di rivestimenti, di corpi ospitanti o di "tute", di fatto esseri biologicamente autosufficienti nel cui grembo albergano i veri "creatori". In questo si manifestano le continue allusioni sessuali, come nel cesareo del "calamaro", i riferimenti sistematici a parti, uteri, embrioni, alla procreazione (sembra assessuata), che è mezzo di riproduzione delle piovre assassine, create in laboratorio dagli "ingegneri" per il genocidio degli umani, perché dalla distruzione possa derivare creazione. L'effetto è moltiplicativo, le terribili creature si iterano quasi per gemmazione, a velocità invero sorprendente, utilizzando come strumento di riproduzione il ventre o l'utero degli umani. Il pool di esperti si ritrova al cospetto di una piramide, di un mausoleo dalle architetture e dall'estetica biomeccaniche, in cui gli infiniti ambulacri rimandano all'idea del labirinto, dunque all'enesima all'usione mitologica (a voler rimarcare l'inoriginalità di certe scelte narrative, se pensiamo che atena nasce dalla testa di zeus). Il "sancta cantorum" di quella che è in realtà una astronave, il cui profilo accogliente rimanda alle cavità pelviche, ospita delle urne secernenti una sostanza oleosa, viscosa e scura, una sorta di liquido spermatico che, a contatto con l'atmosfera, prende forma e dà origine alle piovre, nate e sviluppate per impiantarsi nell'uomo in una sorta di penetrazione all'incontrario (orale anziché vaginale). Una trama un po' sordida e cruenta verrebbe da dire, ma è proprio nella laidezza, negli umori e nelle placente, nei corpi che si sciolgono e si squarciano, è dai parti (in)umani, che avvertiamo l'anima nera di desolazione, suscitante ribrezzo e ripugnanza, di solitudine e di morte (la tebaide sulla luna che è luogo di partenza delle astronavi, tra file di montagne inaccessibili), proprie del film e del filone, tutti aspetti che replicano i fenomeni più impronunciabili e comuni della vita, dunque dell'uomo. Nulla è inventato, a parte qualche accorgimento scenico: in film di questo tipo non facciamo altro che estrinsecare quanto di orrido e ripugnante c'è nelle noste esistenze (per esorcizzarlo), e nella nostra condizione umana, e quanto di questo subconsciamente ci attrae spingendoci a farne oggetto di narrazione.
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