“La schiavitù o altra forma di costrizione personale non potranno essere ammesse negli Stati Uniti, o in luogo alcuno soggetto alla loro giurisdizione, se non come punizione di un reato per il quale l’imputato
sia stato dichiarato colpevole con la dovuta procedura” XIII emendamento,31 gennaio 1865
In un’epoca in cui l’attività politica è comunemente percepita come una cosa sporca o corrotta, Lincoln, il nuovo e pluripremiato capolavoro di Steven Spielberg, restituisce la giusta dignità e l’imprescindibile dimensione etica all’arte della “polis”.
La ricostruzione degli ultimi quattro mesi di vita del presidente americano più amato, mesi fondamentali che segnarono la fine della Guerra Civile e l’abolizione della schiavitù con l’approvazione del XIII emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti, è prima di tutto una lezione di politica e un esempio di un senso assoluto del dovere nei confronti del bene comune. Ma attenzione, la lotta politica e la passione civica di Abramo Lincoln sono narrate senza retorica o demagogia, non c’è spazio per nessuna scorciatoia né banalizzazione delle complesse vicende storiche. Spielberg e il fidato sceneggiatore Kushner, già affiatatissimi in Munich, non esitano a mostrare gli intricati giochi di potere, i voti di scambio e i sotterfugi della strategia del presidente per ottenere i 20 voti democratici necessari per approvare con la maggioranza di 2/3, prevista dalla Costituzione, l’abolizione della schiavitù, chiudendo di fatto anche le trattative sulla resa dei Confederati sudisti.
Lincoln non è una biografia epica né una rappresentazione patinata della Storia. Il presidente americano, forte dei nobili convincimenti e dei valori che non ha mai abbandonato, compie senza indugi quello che ritiene il suo dovere, pur sentendo intimamente su di sé il peso della Storia e presagendo le tragiche conseguenze del suo coraggio. La dimensione umana e privata di “marito” e di “padre”, con gli affanni e i problemi comuni a un qualsiasi cittadino, rafforzano la sua integrità etica e ne legittimano la statura politica. La capacità di ragionamento e di convincimento di Lincoln e il suo eloquio abile e sornione pongono la “parola” come la protagonista assoluta del film: i dialoghi e gli scontri verbali sono straordinari, frutto di una sceneggiatura brillante e curatissima, complessa ma coinvolgente e incalzante.
Kushner si è basato sul libro biografico della storica Doris Goodwin “Team of rivals : the political genius of Abraham Lincoln”, a cui Spielberg lavorava fin dal 2005. La regia non è meno magistrale e impeccabile, quasi tutto il film è girato in interni, ricostruiti con una precisione maniacale, persino l’orologio a pendolo è uguale all’originale. Le scenografie e i costumi d’epoca sono esaltati dai contrasti tra la luce bianca e le ombre dell’eccezionale fotografia di Kaminski, che riprende spesso in controluce o di traverso il volto del presidente, trasmettendoci così la sua solitudine e la preoccupazione che lo tormenta.
Ma se tutto in Lincoln appare magistralmente riuscito, senza nulla togliere al lavoro di ciascuno, non si può non riconoscere che alla base c’è la straordinaria figura del presidente americano e inchinarsi di fronte alla
stupefacente interpretazione di Daniel Day Lewis. Il volto scavato, la postura e l’andatura sbilenca, le espressioni, la sofferenza del viso: Day Lewis si è talmente immedesimato che non sembra nemmeno recitare. Basti pensare che l’attore irlandese ha studiato per un anno persino l’accento di Lincoln, visitando e soggiornando nei luoghi dove è nato e cresciuto il 16° presidente degli Stati Uniti. Il resto del cast, per non distrarlo, durante la lavorazione non lo chiamava per nome ma “signor presidente”. Anche le altre interpretazioni sono eccellenti, su tutte, a mio avviso, spicca Tommy Lee Jones, che dà vita a un orgoglioso e indomabile senatore radicale Thaddeus Stevens. Significativa e commovente la scena in cui porta l’originale del XIII emendamento alla governante/compagna di colore.
La critica e la stampa all’uscita del film hanno evidenziato l’attualità di alcuni aspetti politici dell’epoca e le similitudini con il presidente Obama. Fa riflettere quanta strada abbiano compiuto gli Stati Uniti che in 150 anni, pur con molte contraddizioni, sofferenze e problemi irrisolti, sono passati dall’abolizione della schiavitù all’elezione di un presidente di colore.
Segno evidente che la Politica quando mira all’interesse generale e al bene comune può cambiare l’esistente e diventare Storia.
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