Lo ammetto, prima di pormi davanti al computer per recensire il film, ho dovuto prendermi un giorno di riflessione. Perchè in questo film qualcosa manca e comprenderlo in profondità è difficile.
Forse la presenza di Brad Pitt e Sean Penn mi ha traviato. Sapevo che non era un film leggero, ma qui si esagera.
Trama apparentemente normale: Texas, anni 50, il vecchio ufficiale di marina Brad Pitt, inserito nella realtà americana del periodo (case con giardino, famiglia che da fuori appare perfetta, ma dentro è marcia fino al midollo) riceve la notizia della morte del figlio diciannovenne. Questo è il punto di partenza per un continuo flashback che ripercorre l'adolescenza dei 3 figli, focalizzandosi soprattutto sul difficile rapporto del maggiore con il violento navy.
Ciò che bisogna analizzare, e che più mi ha lasciato basito è il processo costruttivo del film. Inquadrature rapida, spesso da angolazioni particolare (molto amata la prospettiva da sotto il viso del protagonista) con rapidi cambi di inquadratura. Questo in qualche modo mi ha confuso, non permettendomi di comprendere precisamente la confusa trama, che tende a cambiare il protagonista dell'inquadratura, muovendosi confusamente dal flashback al presente della storia, senza far respirare lo spettatore.
Altra nota un po dolente sono i dialoghi. O per meglio dire i monologhi. Un misto tra fedeli preghiere e ricerca spirituale di un Dio che sembra sempre più evanescente, unita ad alcune punte di filosofia spicciola che sembrano messe lì a caso, con immagini random alla superquark .
Non ho proprio compreso perchè dalla storia, si passa senza preavviso a scenari galattici con buchi neri, meteore e zoom su disastri naturali (lava su tutti) che avvengono nei suddetti pianeti. Fino ad arrivare alla nascita della vita, con embrione annesso che si trasforma pian piano in scorazzanti dinosauri.
La scena avanguardistica, che strizza l'occhio ad ossa volanti di Kubrickiana memoria è proprio ciò che rende il film "debole". Un albero con le radici appassite insomma.
Qualcosa veramente non convince, i ritmi sono troppi rallentati e tendono a far perdere l'attenzione. Non è facile rappresentare sullo schermo il rapporto combattivo del figlio maggiore con un Dio "che non può essere che cattivo, se permette tanta cattiveria nel mondo", ma le evocative immagine non riescono a catturare i sensi.
Insomma un'occasione persa per Terrence Mallick, che avrebbe dovuto rappresentare una storia che lasci meno tempi alle riflessioni e ai monologhi e più allo sviluppo psicologico che fuoriesce nei rapporti interpersonali della famiglia e nel loro complicato rapporto di odio/amore con un'essenza distante, un Dio a cui bisogna essere fedeli anche se loro stessi non ci credono.
Benvenuti nei bigotti anni 50.
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