Una città inventata fa da teatro per la rappresentazione del dramma esistenziale di una psiche stravolta, diventa palcoscenico per le avventure fantasmagoriche di un uomo, marginalizzato nella realtà, che recupera il centro della scena in un suo mondo fantastico, creato apposta per un riscatto altrimenti impossibile nella vita ordinaria. Riscatto che passa attraverso la trasformazione del sé e la costruzione di una nuova identità. L’uomo comune che tira a campare onestamente con un lavoro umile, sbeffeggiato dai colleghi, mobbizzato dal capo, ignorato dalla gente, il derelitto, diventa il principe del male, il leader della rivolta degli oppressi, Joker. Una metropoli qualsiasi e la sua quotidianità fatta di traffico, pendolari, cumuli di immondizia accatastati nelle vie e microcriminalità diffusa, innalzata a paradigma della città consumistica del mondo globalizzato, nella mistificazione dell’immaginario collettivo, si trasforma in Gotham City.
Todd Phillips utilizza il mondo distopico dei comics per poter raccontare il mondo in cui viviamo attraverso il vissuto profondo di un’anima sofferente, che diventa il Joker, così come incarnato da JoaquinPhoenix, splendida e mostruosa creatura che danzando in modo surreale si erge al di sopra del bene e del male.
La colonna sonora a tratti martellante e ossessiva si alterna alle melodie di Sinatra degli anni ’50 esprimendo l’alternarsi maniaco-depressivo dello stato d’animo del protagonista ed in tutto il film c’è un effetto combinatorio di immagini e musica molto potente.
Il nome di una strada, “One way”, che appare ad un incrocio, indica che i fatti narrati sono incanalati nel flusso univoco e senza contraddittorio di un sogno delirante ad occhi aperti. La direzione che tutti prendono in treno, in metro o in auto, nello spazio concentrico, racchiuso nell’orizzonte metropolitano delimitato da grandiosi grattacieli e anonimi palazzoni suburbani, è il centro della città. Ma se c’è un centro dove tutti vanno, vuol dire che tutti ritornano, poi, alla periferia. E’ il dramma dell’uomo moderno, condannato a vivere ai margini di un centro illusorio, che genera frustrazioni, perché è sognato, ambito e al contempo è sfuggente ed irraggiungibile. Al centro sono collocati i totem: i mass media, la fama, la ricchezza, la politica-spettacolo. Al centro il fuoco salvifico, ai margini le tenebre minacciose. Al centro c’è il presentatore di talk show di successo, impersonato da Robert De Niro e c’è il miliardario Wayne che aspira a diventare uomo politico. Entrambi, per il protagonista, rappresentano la figura del padre, rispettivamente, del padre idealizzato, che, tuttavia, lo deluderà, e del padre che lo ha da sempre rifiutato. Entrambi meritano la morte. Figure centrali dell’io infantile, che, da adulto, non perdona l’abbandono, come l’uomo moderno non perdona l’abbandono del potere, che lo pone irrimediabilmente ai confini, escludendolo dal centro, troppo piccolo per essere realmente condiviso, moltiplicato illusoriamente sugli schermi delle TV generaliste e dei social network, per una amplificazione universale e fittizia di un fuoco che non riscalda, ma che genera frustrazione e nevrosi.
Al centro inteso come luogo metaforico, obiettivo delle aspirazioni di riscatto sociale delle miriadi di diseredati periferizzati che popolano le nostre città e che sognano di partecipare al Grande Fratello o di diventare famosi su Instagram, fa da contrappunto il volto di JoaquinPhoenix, che è al centro della storia del suo delirio personale e della storia fantastica narrata dal film. Tutto ruota attorno al viso di Phoenix e del suo Joker. Allegria, tristezza, depressione, disperazione, gioia, sono tutte espressioni poste al centro dello schermo come le uniche, vere, reali protagoniste, che la bravura eccezionale dell’attore rende a volte insieme, nello scarto di pochi attimi, nella medesima inquadratura.
Come nelle Memorie di un malato di nervi di Paul Schreber, il protagonista, affetto da delirio di onnipotenza e mania di persecuzione, è vittima dell’idea della necessità della trasformazione nel suo alter ego. Come Schreber pensava di trasformarsi in donna per sedurre Dio, qui il protagonista immagina di trasformarsi nel Joker, simbolo del male della sua fantastica Gotham, per sedurre le masse coinvolgendole nella rivolta violenta contro il potere che esclude, che emargina, che abbandona, icasticamente rappresentato dal padre da uccidere. La sua mania di grandezza e di accrescimento prende forma nella moltiplicazione del sé, che popola d’improvviso la città di innumerevoli pagliacci. La sua mania di persecuzione è espressa nella scena in cui la classe dominante si diverte guardando Chaplin, non perché affascinata dalla poesia del suo cinema ma perché ride della sorte dei poveri; ride, infatti, di Charlot, che pattinando rasenta un precipizio, ride per lo scampato pericolo sentendosi al sicuro, al centro, vicino al fuoco e deride chi è al margine e rischia di cadere nell’orrido della disperazione.
In questa rappresentazione delirante, tutti i personaggi del film sono fantasmi della mente del protagonista, che assumono forme e ruoli simbolici di volta in volta diversi. I suoi due amici sono, ad esempio, proiezioni del suo io. Il gigante rappresenta la sua megalomania ed il nano il sé bambino. In un estremo tentativo di ricerca di un equilibrio mentale, ormai compromesso, il gigante verrà aggredito ed eliminato, quale tentativo disperato di distruggere le allucinazioni e le manie di grandezza, il nano invece sarà risparmiato quale simbolo dell’innocenza perduta, abusata e violata, del suo spirito infantile.
La psicoterapeuta di colore del manicomio criminale, nella scena finale, è l’unico personaggio reale del film. Nelle fantasie di Joker-Phoenix la sua figura risulta sdoppiata, con un duplice transfert, in un’anziana psicologa, che a suo dire non lo ascolta mai, rimprovero in realtà rivolto a sua madre, e nella attraente vicina, una giovane ragazza madre, con cui, in uno dei suoi deliri, immagina di avere una relazione.
Alla anziana psicologa, Joker, con un ragionamento psicotico, quasi a voler giustificare, la sua follia come unica risposta possibile e adeguata alla delirante nevrosi della società, dirà, parafrasando Lacan, che tutto il mondo è folle.
Il film è stato vietato per questo. Il messaggio, nascosto tra le righe del fumetto innocuo, potrebbe essere frainteso dai più giovani. La risposta ad un mondo folle, ovviamente, non può essere di tipo irrazionale, ma il personaggio, soprattutto per la magistrale interpretazione di Phoenix, risulta carismatico e pericolosamente fascinoso.
[+] lascia un commento a carloalberto »
[ - ] lascia un commento a carloalberto »
|