Sophia Loren (Sofia Villani Scicolone) è un'attrice italiana, è nata il 20 settembre 1934 a Roma (Italia). Sophia Loren ha oggi 90 anni ed è del segno zodiacale Vergine.
These days, all it takes to be labeled a diva is to release a couple of pop albums in a row and exhibit some bad behavior in public. But at least two extraordinary examples of the genuine article continue to walk the earth: Sophia Loren, 73, and Catherine Deneuve, 64. This week Lionsgate Entertainment honors these two near-mythological figures of the European cinema with boxed sets of seldom-seen films.
Although their careers overlap — Ms. Loren’s first film dates from 1950, Ms. Deneuve’s from 1957 — they represent two very different traditions. Both have regularly crossed the Alps, Ms. Loren to appear in French-language films and Ms. Deneuve in Italian ones, but they seem to belong to sovereign territories of their own, which barely have diplomatic relations.
Lorenland is a proletarian world of workers and peasants, defined by spontaneity and sensuality, a world of broad comedy and even broader melodrama. The petit principality of Deneuve is the Monaco of movies: a primarily urban environment of designer boutiques and chic restaurants, in which emotions are muffled and sex discreet (and frequently unhappy).
Where Ms. Loren is a pagan goddess, all bosom and hips, with almond eyes and pillowy lips, Ms. Deneuve is a perfectly proportioned Renaissance angel, thin-lipped, wide-eyed and enveloped in a nimbus of golden hair. Ms. Loren has the imposing physical presence of a monumental statue; Ms. Deneuve the exquisite, pocket-size beauty of a cameo brooch. Ms. Loren invites us to live more intensely in our world; Ms. Deneuve exists in another space entirely, one surrounded by velvet ropes, and she’s not sure she wants to share it at all.
Ms. Loren began as a bit player (she can be glimpsed as a slave girl in the MGM “Quo Vadis,” filmed in Rome in 1951), and it took her several years to assemble a star persona. Even as directors discovered her remarkable physical gifts, it took them a while to figure out what to do with them. The oldest film in the “Sophia” boxed set, Ettore Giannini’s kitschy Technicolor tribute to Neapolitan song, “Carosello Napoletano” (1954), takes Loren’s statuesque quality almost literally. As the most beautiful girl in 19th-century Naples, she poses rigidly for a photographer, an object to be contemplated. She is barely more animated in “Attila” (also 1954), a sword-and-sandals adventure directed by Pietro Francisci (whose 1958 “Hercules” would turn this most distinctive of Italian genres into an international phenomenon), in which she plays a scheming Roman aristocrat opposite Anthony Quinn as the well-known Hun.
Ms. Loren really came into her own in another 1954 film, Vittorio De Sica’s “Gold of Naples” (not part of the present collection, but said to be a coming Criterion release). In a single traveling shot, held an outrageously long time, De Sica simply records the astounding sight of an ungirdled Ms. Loren, playing a Neapolitan pizza-maker, as she walks the length of a crowded street, moving in ways that definitely do not bring marble to mind. Galatea had come to life, and Ms. Loren, with this one image, became a star.
The Lionsgate set flashes forward to 1962 and the French-Italian co-production “Madame Sans-Gêne,” a costume adventure that represents one of the last flowerings of the French “tradition of quality,” with direction by Christian-Jaque. Ms. Loren, spilling out of a low-cut peasant blouse that defies several laws of physics, is a Parisian laundress who befriends a tiny Corsican colonel during the French Revolution and rises to the nouveau aristocracy under the empire, without losing her bawdy forthrightness.
By this point Ms. Loren had already passed through Hollywood (most gloriously in George Cukor’s 1960 “Heller in Pink Tights”) and won an Oscar under De Sica’s direction (for the pompous “Two Women”), yet here she seems to be playing a caricature of Italy’s über-diva Anna Magnani. There is much hearty laughter with hands on hips — and not a whole lot else. The Lionsgate set builds to an anticlimax with De Sica’s tedious, saccharine “Sunflower” (1970), among the least engaging of the many films in which Ms. Loren appeared with Marcello Mastroianni.
Da The New York Times, 10 Giugno 2008
Era un quartiere borghese alla periferia di Roma e comprendeva viale XXI Aprile, piazza Armellini, via Ugo Balzani e dintorni. Questo è lo sfondo in cui visse Sofia Scicolone, con la madre Romilda Villani e la sorella Maria, all'inizio della carriera. Prima di arrivare a Roma in cerca di fortuna nel cinema, Romilda aveva vinto un concorso come sosia di Greta Garbo e sbarcava il lunario impartendo lezioni di pianoforte. Il padre delle due ragazze, Riccardo Scicolone, sognava di diventare ingegnere ed era discendente, si diceva, da una famiglia siciliana di nobili origini, gli Scicolone di Muriulo, ma soprattutto era un cacciatore di belle donne e aveva ben poca voglia di sposarsi, tanto meno con l'affascinante Romilda. Aveva, sì, riconosciuto le figlie, ma non aveva mai contribuito alloro mantenimento, lasciando la famigliola in ristrettezze.
Sofia aveva appena iniziato quella carriera che l'avrebbe portata a scalare il successo fino a conquistare Hollywood e a incontrare la regina Elisabetta. Intanto entrava spesso in un bar di viale XXI Aprile vicino a piazza Bologna e lì, ancora truccata col cerone azzurrino di scena, offriva caffè e brioche a un gruppo di giovani matricole universitarie entusiaste della sua bellezza. La sorella minore Maria, molto timida e strettamente legata al piccolo nucleo familiare, anche a causa della giovanissima età viveva all'ombra di Sofia. Entrambe avrebbero risentito per sempre della mancanza della figura paterna.
Sofia, a sedici anni o poco più, incontrò Carlo Ponti, l'uomo che avrebbe sposato dopo aver superato di poco la ventina. Il dottor Carlo Fortunato Pietro Ponti aveva ventiquattro anni più di lei ed era nato a Magenta, vicino a Milano. Nel 1940, quando Sofia aveva circa sei anni, Ponti aveva prodotto il suo primo film destinato al successo, Piccolo mondo antico. La regia era di Mario Soldati e gli interpreti Alida Valli e Massimo Serato, l'attore che avrebbe fatto perdere la testa e dato un figlio ad Anna Magnani. Anna nel 1955, con La rosa tatuata, fu una delle due attrici italiane a ricevere l'Oscar; l'altra, con La ciociara, sarebbe stata proprio la giovanissima protetta del produttore nota in tutto il mondo con il nome di Sophia Loren. Intanto, a sei anni, Sofia Scicolone era una bambina gracile che, crescendo, sarebbe diventata così alta e magra da essere soprannominata “Stecchino”. Ma a quindici o sedici anni era già la “maggiorata” che avrebbe sedotto il produttore e il pubblico di tutto il mondo.
Mi sembra di conoscere da sempre Sophia e sua sorella Maria, con la quale ho un buon rapporto di amicizia. E lei a curare una rubrica di cucina, materia in cui eccelle, su “Chi”. Facciamo una parentesi: Maria Scicolone ha inventato la ricetta del minestrone “salvavita”. Non ci credete? E allora sentite questa. Armando Piazza, detto Gimmy, portiere d'albergo a Sestriere, una sera di agosto cucina e mangia il minestrone dì cui ha letto la ricetta sul settimanale. Poco dopo resta intrappolato in un ascensore: non essendoci nessuno nell'edificio, non viene soccorso e rimane per giorni chiuso nella cabina dell'ascensore, senza poter mangiare né bere. Viene salvato quando sembrava perduta ogni speranza. E, mentre è trasportato all'ospedale in barella, provato ma vivo, riesce a mormorare ai microfoni del telegiornale che si è salvato, ed è entrato nel Guinness dei primati, grazie alla gran quantità di minestrone mangiato prima dell'incidente, che l'ha nutrito durante i giorni di digiuno.
Ma torniamo a Sophia Loren. L'ho incontrata più volte fugacemente come poteva accadere per caso nella Roma del massimo fulgore di Cinecittà, che ora ospita nei vecchi studi le produzioni televisive e il ritorno dei kolossal americani. Grazie a questo ritorno, passeggiando nel centro della città o cenando in ristoranti tipici come Il Bolognese o Nino, si possono incontrare, oggi come ieri, attori famosissimi e capaci di suscitare sogni, nostalgia e curiosità: ieri Audrey Hepburn, che ha vissuto qui a lungo, oggi Gorge Clooney, Brad Pitt, Russeli Crowe, e poi Ursula Andress, Richard Gere, Sean Connery, Cameron Diaz e Leonardo DiCaprio.
Ho incontrato alcuni di questi mostri sacri anche a Sorrento e a Taormina, durante manifestazioni dedicate al cinema. Proprio a Sorrento Sophia era la madrina della serata inaugurale di un meeting dedicato alla cinematografia internazionale. In tale occasione, stando al centro del palco, doveva unire simbolicamente due nastri, con i colori dei Paesi ospitati, le cui estremità provenivano dai due lati del palcoscenico. Il palco accoglieva il sindaco e altri esponenti importanti della Regione, bambini con i fiori e, ovviamente, la splendida diva, elegantissima in boa di struzzo e abito lungo da sera. I due nastri però, pur tesi al massimo, non arrivavano a congiungersi come esigeva il cerimoniale; e il pubblico cominciava ad accorgersi dell'imbarazzo della Loren e rumoreggiava. Soltanto i più vicini sul palco, me compresa, poterono udire le parole borbottate da Sophia in puro dialetto partenopeo, parole che, sotto il sorriso per il pubblico e la stampa presenti, descrivevano senza mezzi termini quello che pensava.
Sophia è sempre stata spontanea, e anche amante della buona cucina, in cui è tanto versata da aver scritto vari libri, tra i quali uno con la collaborazione di Vincenzo Buonassisi e un altro di recente pubblicazione. Come Bernardo Bertolucci in Cina, anche lei porta sempre con sé pasta e “pummarola”. Lo fece anche a Mosca, durante un festival del cinema, invitando molto affettuosamente alla spaghettata gli amici e i colleghi italiani. Me lo raccontò Alberto Sordi, che descriveva da par suo la cenetta improvvisata in piena notte in albergo nella suite di Sophia. Nonostante la grandezza delle stanze, non c'era un luogo dove cuocere la pasta e la diva, per cucinare, aveva trovato come unica soluzione la stanza da bagno. Aveva perciò chiuso la tavoletta del water e ci aveva messosopra un fornelletto elettrico con una bella pentola piena di acqua. Nonostante il profumo del sugo, la vista del water tolse all'Albertone nazionale quell'appetito nostalgico che gli avrebbe fatto apprezzare un piatto di pasta al pomodoro.
Sophia resta straordinariamente fresca ed è una donna bellissima, senza età. La vita le ha chiesto di diventare capofamiglia in età giovanissima e come tale si è comportata anche nei confronti della sorella minore, che ha sposato in seconde nozze un cardiochirurgo di origine iraniana, il dottor Tamiz.
Maria da ragazza era perdutamente innamorata di Romano Mussolini, e si racconta che Sophia volesse conoscere personalmente la famiglia di lui. Perciò, accompagnata dall'autista di Ponti, si recò a Villa Carpena dove incontrò la vedova di Benito Mussolini, che le fece un'impressione straordinaria. Piccola e con gli occhi di un azzurro intenso, donna Rachele aveva trasformato una stanza della villa in una specie di cappella, dove conservava i cimeli e le reliquie del marito. Tra essi, secondo un attento biografo della diva, e la cosa colpì notevolmente Sophia, c'erano un occhio e una parte del cervello che alcuni anatomo-patologi avevano tratto dal corpo di Mussolini e affidato agli Alleati alla fine della Seconda guerra mondiale. Più tardi anche Maria venne presentata alla futura suocera e divenne una sua grande amica.
Sophia è stata ospite, come Alain Delon, di Simonetta Ravizza e frequenta le sfilate di Giorgio Armani. A Los Angeles indossava proprio uno splendido abito nero di Armam quando, al grido di «Roberto, Roberto», proclamo vincitore dell'Oscar l'amico Roberto Benigni. Fu uno dei tanti momenti felici della sua vita, cui fanno da controcanto gli inevitabili ricordi tristi. Come la condanna a un mese di carcere per reati fiscali che la portò nella prigione di Caserta, nell'82, o quella, recente, sempre a un mese di detenzione, di suo figlio Edoardo, sorpreso a guidare in stato d'ebbrezza negli Usa.
Fra le tante case che possiede, Sophia predilige quella di Los Angeles, dove abitano i suoi figli, Carlo ed Edoardo. Ma ama molto anche la villa di Ginevra, dove è stata fotografata da Angelo Frontoni, cui ha concesso di muoversi come una persona di famiglia nei grandissimi saloni arredati con gusto sontuoso. Ci sono collezioni di vasi cinesi, arazzi del Settecento, specchi in cornici dorate.
Nel corso di un'intervista, Sophia mi ha parlato dei suoi figli e, in seguito, rivolgendomi un bel sorriso, con lo sguardo acceso, mi ha chiesto le fotografie apparse su “Chi” del suo primogenito, Carlo, l'ex Cipì, come veniva chiamato in famiglia e dalla stampa, che fa il direttore d'orchestra e che sposerà a settembre la violinista ungherese Andrea Meszaros. Adora il secondogenito Edoardo, che considera un bravo regista. È stato proprio lui infatti a dirigere Tra stranieri, il suo centesimo film, con Gérard Depardieu, Mira Sorvino e Malcolm McDowell.
Del resto il talento artistico e musicale è di famiglia. Sofia suonava il piano e aveva come insegnante la madre Romilda, che era una concertista, non sopportava le stecche e la colpiva in testa a ogni errore. Smise presto di studiare pianoforte, ma è intonata e ha inciso anche qualche disco. Sua sorella Maria avrebbe potuto seguirla su questa strada. Ha una voce così bella che sarebbe potuta diventare una cantante professionista ed era apprezzata da un interprete d'eccezione come Frank Sinatra. Ha invece preferito una vita borghese. Ha seguito l'educazione delle figlie, Alessandra ed Elisabetta, e ha preceduto la sorella nella gioia di diventare nonna.
Proprio Sophia mi ha confessato di desiderare molto un nipote. «Sento la mancanza non solo di uno, ma di tanti nipotini» mi ha detto. «Sarebbero la conclusione serena ed entusiasmante della mia maternità. E, se devo rivelare qualcosa sulle mie future nuore, dico che non mi metterò certo in competizione con loro.
Sinora il mio rapporto con le varie fiamme dei miei figli è sempre stato di grande affetto e di grande comprensione».
Se posso aggiungere qualcosa su Sofia, l'energia è la sua migliore amica e scaturisce proprio dal suo affetto per la famiglia. Lei, donna di un solo uomo, Carlo Ponti, amico, socio, marito. E padre.
Da Chi, Agosto 2004
A Napoli, un giorno, si risvegliò con Sofia Loren sotto il guanciale. Il Vesuvio trattenne il fiato; le isole palpitarono ansiose nella garza dei vapori mattutini; i pesci di Marechiaro, sotto la digiacomiana finestrella, smisero tutt'a un tratto (salvo a riprendere con maggiore impegno, furiosamente, dopo qualche minuto) di fare all'amore; stupirono il cielo di seta e i verdi, aggrovigliati giardini di Posillipo; risero le acque di Santa Lucia e tintinnarono di invisibili medaglie i petti degli scugnizzi aggrumati sulla scogliera di via Caracciolo; nelle zuppiere della «Zi' Teresa» e della «Bersagliera» le macchie rosse e pungenti delle aragoste divamparono come attizzate dal maestrale: nei suoi vicoli e nelle sue piazzette, nei suoi fondaci e nelle sue bettole, nelle sue mille friggitorie, negli innumeri suoi chioschi pavesati di limoni, ovunque, la città echeggiò di muti, dilaganti, irreprimibili evviva. Collega Assante, mio caro e vecchio (non d'anni) Arturo, che tu sia benedetto. Laudato sii per la nostra corporale sorella Sofia, oggi e sempre. Tu nell'agosto del 1949 ideasti e attuasti la gara di bellezza «Regina del mare», nella quale si cimentò, accorrendo in braccio alla mamma da Pozzuoli, anche l'acerba Sofia.
Quanti anni aveva in quel periodo la gemma degli Scicolone? Forse nemmeno sedici. A Vladimir Nabokov, il romanziere di Lolita, gli sarebbero venuti i «rescenzielli», cioè gli attacchi epilettici, se avesse fatto parte della Giuria. Anime del Purgatorio! Ma come ti reggesti in piedi, Assante mio? Quello sviluppo verticale già raggiunto; un'ansia di volo conclusa; e quelle premesse di come diavolo chiamarlo?, di spessore, di volume, un sorta di pacchetto di nivee cambiali per somme inaudite… pagherò per questa mia, con l'avallo di una beffarda luna che ammiccava dicendo: «Lasciatemi fare un paio di giretti ancora e vi mostrerò un lavoretto di scultura, o giudici, che vi taglierà il fiato… dovranno mettervi dal primo all'ultimo, nei polmoni d'acciaio, dove affettuosamente vi auguro di rimanere fino all'età critica, vostra e di Sofia». Ma Vladimir Nabokov non era presente e non poté gridare: «O la ninfetta di Pozzuoli, o nessuna!». Il titolo di «Regina del mare» fu dunque acciuffato da un'oscura, ventenne, Iole La Stella, figlia di un ufficiale dei carabinieri (della quale, poi, le cronache tacquero definitivamente); e faccio bene io che al Premio Marzotto o al Premio Strega non porgo che i miei storti e guerci saluti!
Bene. Dove, se non a Napoli, potevo meglio, con la fantasia, interrogare la gente sul miracolo di Sofia Loren? Da Caflish, sorbendo una deliziosa granita locale, il barone G. (che è sull'ottantina ma ha recentemente avuto un figlio dalla sua governante) mi disse: «Per carità. Non discuto il valore di Sofia. Ma avete letto, ieri, le sue dichiarazioni ai giornalisti parigini? Afferma che nessuno la batte nel flamenco. E soggiunge: Non sono poi tanto bella. Ho il naso troppo lungo e la bocca troppo grande… ma c'è il resto, no? Mannaggia. Che tempi, egregio signore, che tempi. Nel 1910 o nel '20, le donne si offendevano, o pareva che si offendessero, quando gli uomini si interessavano palesemente ai loro vezzi esteriori. Ci accusavano di platealità, di materialismo. Volevano essere apprezzate, desiderate per i loro connotati spirituali. D'accordo? Intuivano che la bellezza, da sola, non fa romanzo e non fa poesia… che dico, non fa nemmeno carta d'identità. In che differiscono, per un maschio da flamenco, una regina formosa e una sguattera formosa? Entrambe agitano, frullano, anzi, gli stessi argomenti». Io dissi: «Be', e vi sembra poco?». Il barone G., ravviandosi gli argentei capelli, obiettò: «È molto ed è niente. Le signore di cinquant'anni fa lo avevano capito. Accentuavano con tutte le risorse della moda, come oggi, il mite o perentorio sex-appeal che avevano, ma sospiravano: Ah le albe. Ah i tramonti. Ah l'usignuolo. Ah Petrarca. Ah Chopin…, eccetera. Studiavano l'arpa. Frequentavano concerti e musei. Potevano anche non essere ciò che parevano, forse non si trattava che di un atteggiamento, ma un atteggiamento che senza dubbio le migliorava, le ingentiliva, era obbligante come, per gli uomini dozzinali, il frac in società. Anche il risultato dei risultati, allora, si avvantaggiava dei sospiri dedicati all'usignuolo o a Petrarca. Indurre quelle anime ad essere corpi, voi m'intendete… Era una specie di febbrile, di esaltante pionerismo. Datemi retta, non è ammissibile che l'iniziativa del morso al frutto proibito l'abbia avuta (serpente o non serpente nella buca del suggeritore) la mitica Eva. Fu Adamo, cocciutamente, a persuaderla. «E ti prego. E fallo per me. E no, quel colombo non sta affatto guardando noi…». Dissi, rabbrividendo: «Uh. Mi pare di esserci, barone». E lui, deponendo il cucchiaino: «Bravo. E se no Adamo avrebbe accolto quieto quieto la punizione che Domineddio gli inflisse? Figuriamoci, quello accettava senza un gemito lo sfratto e il resto! No, Signore, avrebbe detto, subissa Eva, io che c'entro? Invece afferrò la mano, e via di corsa. Non vedeva il momento di ricominciare a balbettarle: E su. E fallo per me. E no, quelle fatiche e quei dolori non stanno affatto aspettando noi». Dissi: «È probabile. Ma dove, se è lecito, volete arrivare?». Il barone G. ordinò una seconda granita e disse: «Alla nostra epoca. Nell'anno di grazia 1959, la carne è tutto. Oggi, per la donna, la bellezza è l'unica moneta da spendere. Una Loren che dopo aver citato le imperfezioni del suo volto conclude: Ma c'è il resto, no?, m'imbarazza. Addio pionierismo del maschio. Qui andiamo verso il più crudo pane al pane e vino al vino. Comunque, sposerei immediatamente Sofia. Gradisce, ho letto, gli uomini d'età. E Carlo Ponti, vorrete convenirne, è al mio confronto uno sbarbatello».
Ne convenni gentilmente. C'è, da Caflish, una atmosfera vagamente irreale, forse causata dai fremiti delle lampade fluorescenti e dal profumo ironico dei babà. L'avvocato Z. (magro, ascetico, miope) che ci aveva ascoltati dal suo tavolino, disse: «Permettete? A me non duole che Sofia abbia la piena coscienza del suo fascino. La scongiuro, soltanto, di essere fragile. Ecco, guardate…». Egli cavò dalla sua tipica borsa di pelle una cinquantina di estese fotografie dell'attrice, le sparse con tenerezza sotto i nostri occhi, riprese: «Che meraviglia, signori. Abbiamo in Sofia una torcia, uno stendardo di femminilità. Fu detto che un'attrice è due volte donna… ebbene, vi sfido a contare quante volte è donna Sofia. Per me si tratta di un caso di interminabile e incantevole balbuzie sessuale. Guai, perciò, se ella non fosse debole, vulnerabile, frivola: tutta, insomma, un tallone d'Achille. Mi udite? La fragilità, soltanto la fragilità può rendere umana, tollerabile, domestica vorrei dire, la sua fenomenale, schiacciante bellezza. Gesù, ma osservatela. Riflettete su questa fronte piana, di marmo; su questi enormi occhi abbaglianti, su questa bocca infinita come gli orizzonti di Leopardi; contemplate le nitide spalle, il seno procelloso, ineluttabile, che logora, che spossa, in un attimo, camicette e sguardi. Non parliamo dei fianchi; ma sono queste o non sono queste le gambe che Salomone paragonò alle colonne del Tempio? Ricco di novecento spose, egli sapeva quel che diceva. L'impressione che Sofia Loren suscita in un uomo è appunto quella di un'allucinante vastità. Un tiepido ghiacciaio, oppure un gelido Sahara, che gli domanda: E tu, ragazzo, che vuoi? Uh mamma mia. Che succederebbe se l'impareggiabile Sofia fosse anche saggia e forte come appare? Auguriamole, invece, di essere precaria, futile e instabile come le miracolose torri di piatti, di cerchi e di palloncini sul naso, dei giocolieri cinesi. Auguriamole che svenga facilmente, che non le difettino mai risposte sceme ai giornalisti, che pianga senza motivo, che abbia paura dei gobbi, dei fulmini, dei telegrammi. E altrimenti, cara Sofia, che mai può dare un uomo a te in cambio di ciò che puoi dargli tu? Creando di ferro le donne brutte, e di velluto, di zucchero le donne belle, il Creatore agì da sommo Creatore. Le prime ci fanno uomini concedendoci la loro protezione, le seconde ci fanno uomini perché hanno bisogno della nostra. Fotografiamo Sofia Loren mentre uccide un pollo, o mentre solleva mezzo quintale, e Sofia Loren è perduta. Ve ne rendete conto, signori miei?».
L'enfasi, le mascelle contratte, il piglio catilinario dell'avvocato Z. ci dissuasero dal contraddirlo. Mi alzai e uscii. Nella piazzetta della funicolare per il Vomero, addossato alla propria ombra, con una larva di sigaretta fra le labbra, c'era l'autista pubblico Gennaro S., ventottenne, nato e cresciuto in un vicoletto della Sanità, dove la penuria di spazio è tale che se vi si incontrano due popolane incinte (nulla di più comune, del resto), una deve tornare indietro. Il nome di Sofia Loren fu per lui come l'acqua sulla naiade tramortita dalla siccità. «Chi, Sofia?» gridò attirandomi verso l'arcaico, logoro veicolo di sua proprietà. M'indicò, sul cruscotto, una eloquente immagine della «pizzaiola» in bikini: l'aveva ritagliata da un settimanale e incollata, disse, nel marzo del '55. Disse: «Eh? Voi non avete idea, come prima cosa, delle multe che Sofia mi ha fatto risparmiare. Ah, cuore mio, che tu possa abbondare come abbonda il mare. Quello il vigile si affaccia nel taxi col quadernetto in mano, e zac, la vede. Subito gli cominciano a sbattere le ciglia e a tremare i baffi, se ha i baffi. Ah, meno male che i vigili urbani chi li deve scegliere li sceglie tutti per la quale, non mezzi sì e mezzi no come certi individui che… ci siamo capiti! Il vigile urbano, qua, è immancabilmente un pezzo di giovane che dinanzi a un ritratto simile gli si incanta la biro fra le dita e senza fallo dice: Neb, ma questa fosse per combinazione Sofia Loren? lo mi affretto ad aprire lo sportello e adeguatamente la mia risposta è: Favorite… accomodatevi… giudicate voi… per essere lei è lei; rompe o non rompe, in definitiva, la monotonia? Così una parola aggancia l'altra, nasce un discorso filato, da uomo a uomo, e la multa svanisce. Ah Sofia… la Madonna t'accompagni, guidi ogni passo che muovi… e ti venga pure un accidente per la tranquillità che mi hai tolta. Signore mio, che volete sapere! Mi capitò di ammogliarmi a diciotto anni (Lucia ne aveva quindici) per il semplice fatto che una sera di giugno, ai Ponti Rossi, avevamo sgarrato in pieno. Dunque tengo nove figli, diconsi nove, con quel che segue».
«E che segue?» dissi io. Don Gennaro passò e ripassò l'indice sulle grazie della ritagliata Venere cinematografica, e, assorto, continuò: «Figli e fa tiche hanno ridotto Lucia come l'hanno ridotta, amen, e coniugalmente io me ne sto quindi sulle mie, pulito e riguardoso. Lei mi è riconoscente, di questo, cioè non si allarma né ha gelosia. Compatisce, insomma; più gialla e secca diventa e più si immedesima, povera Lucia, più si compenetra. Questa magnifica Sofia la pigliò lei da un giornale che un passeggero aveva dimenticato nel taxi. Dice: Gennari', ma esisté veramente una femmina tanto grandiosa? Ero così, io? Dico: Ma è positivo! Tale e quale… domandalo a me! Eri splendida, io qua te lo confermo e giuro, Luciella, eri una copia conforme, autenticata dal notaio, sì, sì, eri una Sofia Loren dal principio alla fine anche tu! Mi spiego? Nel timore che stracciasse di colpo quel ritratto, esageravo alquanto… invece Lucia si mette a lisciarlo, guardando il soffitto, e dice: Allora non perdere questa bella fotografia. Tienila in vista nella macchina, Gennari: io voglio che mi pensi com'ero, non come sono… fammi questo piacere, abbi pazienza, contentami. Gesù, che notte. Piovigginava, ricordo; nel vicolo sentivo un leggero fruscio, come se varie Sofie Loren si avvicinassero ad origliare, in punta di piedi, all'uscio del basso; nel letto matrimoniale i bambini dormivano ammucchiati… per me e per Lucia bastano due giacigli laterali, sul pavimento, in maniera che quando un figlio si rivolta nel sonno e cade, uno di noi lo rilancia nella catasta… dormiamo a pancia sotto, naturalmente, per salvare gli occhi. Basta. Da quella notte, legalmente autorizzato da mia moglie, penso attentamente a Sofia. Mentre guido, le parlo a bassa voce. Elogi e insulti non gliene faccio mancare. Non è giusto, le mormoro, che tu sia tanto bella, che io abbia ventotto anni e che mai niente fra noi succeda. Per carità, Sofia, mettici riparo». Io dissi: «E come?». Don Gennaro disse: «Non lo so. Un giorno, alla stazione o all'aeroporto, la maniglia fa clic e Sofia, tutta Sofia, scivola nel taxi. Vede e comprende a volo. Rammentate il film La chiave? Là, praticamente, Sofia diceva: Ti do la mia bellezza perché hai la chiave di non essere ancora morto. E io? Scusate. A me potrebbe dire: Ti do la mia bellezza perché hai la chiave di essere vedovo di una moglie viva e padre di un'Europa di figli… te la do, ma falla durare… con egoismo e avarizia, Gennarino mio, falla durare eternamente!».
Ebbi l'impressione che l'autista pubblico Gennaro S. vaneggiasse un poco. Gli effetti del solleone, a Napoli, sono irrefrenabili e imprevedibili; associati a quelli di Sofia Loren, poi, non li consiglio a nessuno. Mi arrampicai sui «Quartieri» e, alla Speranzella, interrogai il fruttivendolo Gaetano P., immerso fino al collo nei violenti colori della sua trionfale mostra. Di più nero e di più riccio di Gaetano P non c'è che la cattiva coscienza di Belzebù. Disse: «A me Sofia Loren mi diventa una croce specialmente nella stagione dei cocomeri… dalla fine di luglio alla fine di settembre qua è l'inferno, signore mio. Non trovo pace, mi si arrotondano in mano pure i chiodi. Uffa. Aggiungeteci gli odori; io indovino che Sofia Loren ha la freschezza di una lattuga romana, quel sollievo di giardino a prima sera, e gli aromi delle pesche gialle nel vino. Uh, che la possano uccidere. Io come fruttivendolo, poi, debbo alzarmi alle quattro, senza meno, per andare ai Mercati Generali. Piglio, stordito, il camioncino, e parto. La via mi beve come un imbuto. Ho ancora addosso le carezze del materasso; dalle finestre e dai portoni escono fiati carnali; il buio è quello, correggetemi se sbaglio, di un'ascella di femmina; sulla cima del Vesuvio qualche nuvola comincia piano piano a rischiararsi, idem le punte delle navi che si allontanano: e pare che soffrano, montagna e bastimenti, come se ogni goccia di luce che l'alba gli spreme fosse una goccia di sangue. E allora? In queste difficili condizioni, avanti, a chi se non a Sofia Loren, voi mentalmente vi aggrappereste? La chiamo, spesso, come se, trovandomi in capo al mondo estero, di là mi rivolgessi con tutto il cuore al paese mio. Fateglielo sapere… ditele che la ingannano battezzandola rosa tea o garofano schiavone… lei non è fiore ma è frutto… glielo garantisco io che fui deposto qua, non appena mi tagliarono il cordone ombelicale, in un cesto di prugne».
Fatto. Caro don Gaetano, vi ho puntualmente servito. Speriamo che Sofia legga e si commuova. Per le scoscese rampe del Petraio, zuc zuc zuc, come dice Scalinatella, raggiunsi affannato San Martino. Di lassù, Napoli è come raccolta sul palmo della mano del suo remoto ed ignoto fondatore. Curva, fitta e lucente, promette a chiunque felicità e strazio; promette a chiunque una patria di sogni materializzati, vivi; promette a chiunque Sofia Loren.
Da L’Europeo, n. 720, 3 Agosto 1959
Cavallina mondiale
Attenzione, Sofia, non illuderti, non sognare, come attrice, di essere un frutto per ogni guscio. Gina Lollobrigida, la tua grande emula, non avendo riconosciuto i propri limiti e non essendosi avvinghiata alla cinematografia italiana che la espresse come un ciliegio esprime la ciliegia, ha declassato e umiliato, per correre la cavallina mondiale, un paio di ottimi registi (Siodmack, Delannoy) che non le avevano fatto nulla di male. Ed ha soprattutto nociuto a se stessa. C'è da meravigliarsene? Le belle puteolane o ciociare nascono parenti e amiche non solo dei Campi Flegrei e delle spumose colline di Fondi gialle d'aranci, ma anche di Flaiano e di Blasetti, di Moravia e di Zampa, di Margadonna e di Risi, di Zavattini e De Sica. Non di Ben Hecht e di Jules Dassin, o di Tennessee Williams e di John Ford. No, no: quando non c'è una tonnellata di genio, questo difficile connubio, questa «mésalliance» non avviene mai. «Pizzaiola» e «Bersagliera» potevano emigrare ed emigrarono come tali, senza muoversi da Roma: qualunque trapianto le sbaglia, le deforma, le travisa, e addio. Pensaci, cara Sofia, e non vergognarti né della tua bellezza meridionale (pazza, scentrata e asimmetrica bellezza, che ritrae appunto la nostra dolce e convulsa terra), né delle «pizze» che simboleggiano e compendiano le viuzze e la gente di Napoli. Grida, anzi, agli stranieri: «Come no, sono affascinante, con le grazie mie non si ragiona, ecco qua, mi annetto l'America, la napoletanizzo dal Montana e dalla Pennsylvania alla California e alla Florida; la riempio fino all'orlo, egregi signori, di pizze». Così vincerai ti dico: altrimenti guai a te.
Il ragazzo sul delfino - 1
Sviscerai come seppi, al tempo di Pane, amore e... i balli di Sofia. Quelle gambe concrete e astratte, lunghe come le notti di Natale; quei fianchi torpidi e guizzanti come schiene di gatti; quell'iperbole di seno che ora la vanta e ora la denigra, che ora l'accompagna e ora s'invola, non proibitemi di chiamarlo un seno biblico, viaggiante, che pare simboleggi le migrazioni di Israele, gonfie d'avvenire.
Il ragazzo sul delfino – 2
È una rosea benda, Sofia: rinnova con ogni suo film il miracolo giudiziario di Frine.
Orgoglio e passione - 1
Come abbiano conciato, allo scopo di siviglizzarlo, il già notevolmente asimmetrico volto di Sofia, non dico; ma le resta il corpo, a voi notissimo, e per il quale mi domando: quei giovani alla macchia, inselvati, mezzo abbrutiti, come diavolo fanno a guardarlo impunemente? Figuratevi, mi sorrise nella memoria la barzelletta del fanciullo a cui il confessore aveva detto: «Se continui a sbirciare le gambe di tua cugina, quando la spingi sull'altalena, diventerai cieco». Il ragazzo, impaurito, si negò per molti giorni a quell'impulso; ma dai e dai, una mattina si coprì l'occhio destro con la mano e lasciando che il sinistro gli diventasse una fornace sibilò: «Uno me lo gioco!». In altre parole: è mia ferma opinione che una guerrigliera come Sofia-Juana avrebbe soffocato la rivolta spagnuola, diffondendovi l'omicidio, l'inerzia, la spinite. Ma il cinema ha le sue leggi sceme: e la prima è quella di introdurre i cavoli del sesso in qualunque merenda.
Orgoglio e passione – 2
Come si addicono a Sofia le notti all'addiaccio! Tutto diventa coltre e giaciglio intorno a lei; piante, sassi, erbe, profili di montagne, luna, brezza, sospirano: «Addio, sonno, e finita»; e Sofia dondola o s'inarca o danza muovendo il seno a trapano, affidandolo per attimi all'aria (come un più leggero dell'aria) e quindi recuperandolo o imbrigliandolo, quasi dico riassimilandolo: in tal modo che ce ne sentiamo, Dio ci assolva, derubati.
Orgoglio e passione – 3
Trucco e fotografia hanno imbruttito Sofia, ripeto, conferendole un che di negroide. E la sua recitazione? Vergine santa. Dice che vuole un Oscar
e magari (l'America è terra di prodigi) lo avrà. Si muove con la naturalezza di un'agnella bendata; piange come un bicchiere nel pugno di un ubriaco. Uscii balbettando: «Povera Sofia, dove ti ha condotto la guida che hai scelto».
Perdutamente suo
Il segno di Venere è, a breve distanza da quello di Peccato che sia una canaglia, un altro suggestivo album della squassante bellezza di Sofia. Dalle prime inquadrature lo spettatore è suo, « perdutamente suo», nel clima delle canzonette del Festival di San Remo. «Essere con una ragazza simile in una valle fiorita, avvolgerla come l'acqua del torrente», pensa, nella sua poltrona, il barbiere o il magistrato, l'impiegatuccio o l'ufficialetto, il commesso o il baroncino. Signori, fate il vostro giuoco fantastico, la roulette è in movimento, rosso, nero, pari, dispari, niente va più. A spettacolo terminato, usciamo spossati e gloriosi, tutti abbiamo fatto saltare il banco e tutti ci siamo rovinati: che fortuna e che disdetta, Gesù.
La donna del fiume
Il suo personaggio è di stoppa, ma lei recita d'impeto, bolle, spesso gli trasfonde un'apparenza di vita. Datele copioni validi e registi di polso: ne farete una genuina efficacissima attrice. Gina Lollobrigida è spacciata, dico io. Questa Nives padana attenuerà nel vostro ricordo, amici, Pizzicarella la Bersagliera. Mamma mia, che femmina. Com'è terrestre, bella come un bell'albero o come una bella ansa del fiume. Rida o pianga, corra o si fermi, tagli carne o marini anguille, tutto si specchia volentieri in lei: acque e nuvole e foglie hanno con Sofia assidui, furtivi baratti di luce.
La bella mugnaia
Che diavolo rimane al film, dunque, se non la magica Sofia? Dissi a proposito dell'errato La donna del fiume quanto ella giovi e possa giovare alla nostra cinematografia. Molta verità le deriva dalla sua concretezza. A rifletterci non e, aveva ragione Filippo Sacchi, neppure bella come i nostri sensi ordinano che sia. Una bocca interminabile; deficitario il mento; eccessivo, matronale, sproporzionato al corpo sdutto, il celebre seno.
Ma proprio a causa di ciò ella prevale e prevarrà su Gina, la cui grazia perfetta, centimetrata, inumana riesce sovente artificiosa e leziosa.
Pane, amore e...
Ho già accennato, parecchie volte, alle qualità native, fondamentali, grezze, di Sofia. Gli avvenimenti e le cose, le acque, le pietre, gli alberi, affermai, le sono amici. Fra lei e il paesaggio e le stagioni fra lei e i muri, fra lei e gli oggetti esiste una reciproca simpatia, una alleanza, non so che patto di mutua assistenza: un tenero complotto, arrivai ad insinuare. Tutto le è docile, tutto l'asseconda. Pare che il cielo e il mare di Sorrento (per tacere dei pesci e degli aranci) le abbiano detto: «Facciamo così: tu ci rendi sensuali, carnali, inquietanti; e noi, fidati, spiritualizziamo te». Come spettatori di media età, pertanto, succede che allunghereste la mano di un fauno su Marina Piccola, e che gettereste in grembo a Sofia i ciottoli di quando eravate bambini, per osservare incantati l'aprirsi, lo sboccio dei cerchi concentrici nei quali ammiravate una sorta di fiori liquidi, i cui orli vi ricordavano le frementi, dilatabili pareti dei sogni. Cinema italiano, coltiva Sofia, educa Sofia e trarrai da essa, per questa sua genuina, stretta parentela con la terra che l'ha figliata, l'Anna Magnani di Napoli.
Quanto a Sofia Loren come «vamp», le occorrono proprio le mie commendatizie! Guardatela nel «mambo» che danza col galante ufficiale dei «metropolitani». Avevo nelle gambe una colata di cemento, avevo i sudori freddi, masticavo foglie di rosa e foglie di aloe. Che una donna si possa infrangere, suddividere in tanti pezzi, e che quasi nello stesso attimo possa miracolosamente ricomporsi... Vi giuro, Sofia dilaga e si rapprende, è una furia e una pace di linee, è mille curve ed è una curva sola, è un odio e un amore di volumi che si cercano e si respingono ad ogni movimento, ad ogni gesto. Vi riaffida, inaudito, alle autopsie grafiche di Picasso: i doppi nasi, le mezze mammelle, i tripli ombelichi; fissate la pescivendola che balla e vi inchinate finalmente a don Pablo esclamando: «Salve, Maestro».
Valzer postale
Secondo bigliettino curioso, firmato «Ammiratori suoi e di Sofia» (ah che splendida coppia farei con la Pizzaiola): «Sofia è in Europa, quindi vicino all'Italia: Perché non va ad intervistarla? L indubbio che lei, Marotta, l'ama e contemporaneamente la odia; ciò le suggerirebbe un articolo bizzarro, eccitante. «Gesù Gesù. Non amo né odio, ve lo giuro, Sofia. La valuto perché il cinema e la cronaca ce la propongono continuamente, ossessivamente. L, per me, una limitatissima attrice e una magnifica brutta donna. Fatto singolare, magico, quest'ultimo: poiché accidenti com'è brutta, in genere, una donna brutta! Invece l'asimmetrica Loren, scarsa di mento e dotata di una bocca lunga e larga come la misericordia di san Gennaro; oberata di un seno mai consultatosi (c'è pure l'ONU dell'anatomia!) con le altre zone del suo corpo, è una bellezza universalmente apprezzata, che non soffre nemmeno degli accostamenti fotografici a Ponti. Anzi don Carlo migliora, accanto a lei: «S'illumina d'immenso», direbbe il Poeta. Scrissi, e ripeto, che Sofia non avrebbe dovuto consegnarsi ai dollari; se aveva un'oncia di talento, a Hollywood, fra i Selznick, i Williams e le Maxwell, in qualche anno la perderà. Amen. Interrogata il 14 maggio dai giornalisti parigini, Sofia dichiarò: «Sono qui in incognito». L una risposta-chiave, piena di ignoranza e di orgoglio. Salva tu Sofia, Ludovico Muratori, inducendola
a tendere l'orecchio quando passa davanti a una scuola media. Che tempi, Gesù, per la cultura. Una bella del cinema ha detto recentemente alla radio: «Frequentavo l'Università di Napoli, ma volevo di più. Sono diventata, così, prima indossatrice e quindi attrice».
La chiave
Ma Sofia? Mi arrendo o non mi arrendo all'attrice Loren? Abbiate pazienza, resisto; avvinghiato all'ultima trincea, resisto. Le hanno tolto parecchio guittismo, l'hanno ingentilita (ha finanche, ho udito, una maestra di eleganza e di signorilità; ha l'umanista Carlo Ponti in famiglia; è volitiva e ricettiva), ma non le hanno potuto dare quella intensità e varietà di espressioni che il cinema esige da una brava attrice. L'obiettivo, inoltre, è con lei di una sconcertante volubilità. Dove la ritrae vezzosissima, lieve (mi riferisco al viso); e dove accentua, contrariamente, la sua bocca smisurata, l'aguzza punta del naso, il mento breve, brevissimo, un fiat di mento che le infligge una vaga ottusità e una quasi crudele volgarità. Peccato, mi dicevo, che i maestri della chirurgia estetica possano ridurre e non accrescere. Quanto al corpo di Sofia, taccio che ha sempre, che ha fatalmente ragione.
Forse, continuavo a dirmi, sono appunto queste manganellate ai sensi degli spettatori che limitano, che rendono superflua l'arte. Un'attrice non sinuosa, ma genuina, deve recitare fingendosi bella; deve essere bella, ecco qua, dall'interno.
Incoraggiamenti
Parlo, buon ultimo, di Orchidea nera, il film di Martin Ritt col quale Sofia Loren ebbe l’incoraggiamento» della palma di «migliore attrice» al Festival di Venezia l'anno scorso. All'anima! Incoraggiamento? Una cenciosa (adopero l'aggettivo nel più onorevole dei sensi) ragazzetta di Pozzuoli, frequentatrice abituale dei concorsi di bellezza e dei «fotoromanzi», diventa in pochi anni famosa ovunque, gonfia di ricchezze, e voi, membri della Commissione, decidete che bisogna incoraggiarla? Inaudito. A quanto pare voi, dopo la battaglia di Jena, avreste detto: «Ma questo Napoleone va forte... regaliamogli qualche zona d'Europa che non ha saputo ancora annettersi, magari l'Inghilterra». O direste oggi: «Incoraggiamo Domenico Modugno, che nel '55 moriva di fame e che adesso volando e piovendo, è miliardario... concediamogli, ad honorem, il diploma di San Pietro a Maiella». Dobbiamo invece essere taccagni, iniqui, con i figliocci, con gli affezionatissimi cugini della Fortuna: il solo modo giovevole di trattare Sofia Loren è un freddo: « Sì, hai recitato un po' meglio delle volte precedenti... ma allora tu non eri un'attrice che nei manifesti e nei sogni».
Scialo
Vi prego, Sofia, non vogliatemene (uso il voi di Pozzuoli, il nostro voi, per smuovervi dentro il meglio che avete). Sofia! Perché tanto scialo e tanto sfoggio? Pellicce, automobilissime, ville fastose, e un orcio di gemme... tutto qui? Pensateci, cara Sofia, non preparavano che questo brutale e facile capovolgimento, i duri anni di Pozzuoli? Non vi indica nulla di più significativo, di più classificante, di più vostro, la fame d'allora? Non dareste, vivendo, che so, alla maniera dell'ineguagliabile Greta Garbo, una lezione di stile alla Sorte che troppo vi seviziò ieri e che troppo, oggi, vi adora? Sofia, vi prego: non siate con la Fortuna. superficiale come la Fortuna!
La baia di Napoli - 1
Quando una è Sofia Loren, per me non e parente di nessuno. Bellezze simili fanno il vuoto del sangue intorno a sé. Non per nulla Venere. nacque adulta e completa dal grembo delle onde. Che senso avrebbe la qualifica di nipote o di fratello o di cugino di Venere? La dea ebbe figli, sì, ma distrattamente: li ninnava e allattava il vento, quegli eccelsi mocciosi; lei, madama, continuava frattanto a sgusciare da una reggia in una bicocca, o viceversa, per i noti e inderogabili motivi.
La baia di Napoli . 2
Datele personaggi comuni, popolareschi, e un abile operatore: l'effetto è immancabile quando Sofia (che non ha mai avuto, dovendo sgobbare come attrice, le possibilità di affinarsi interiormente) può essere chi è. La sua bellezza stessa denuncia questo fatto: non di rado l'obiettivo coglie, nel suo volto ingentilito millimetro per millimetro da geniali maestri di toilette, un che di selvatico, di ferino, di brutto. Invano la fotografano con Proust o con Joyce o con Kafka in mano: è proprio la sua incapacità di avere assidui rapporti con Kafka e Proust e Joyce, che i suoi film, poi, denunziano. Ritratta dal basso mentre danza seminuda, Sofia e un viaggio cosmico, una pagina di fantascienza.
La miliardaria
Queste femmine-urto, queste femmine iperboliche violentano, smembrano, dilaniano ogni simmetria di fatti e di caratteri. Sono obbliganti, nei film, come l'impiego di centinaia di cavalli e di migliaia di fanti; sono l'epopea degli ormoni. Coraggio. Sofia, per me, è fisicamente negata al comico. Ha l'ampiezza, la consistenza, la serietà dei trattati, degli in-folio. È troppo vasta e agglutinata per acuminarsi nelle celie. Uno la vede, contrae le mascelle e pensa: «Qua c'è poco da ridere; o io o lei, nella migliore delle ipotesi io e lei, qua, ci lasciamo le ossa». Né a Sofia Loren si addicono le sofisticazioni del maquillage e dell'alta moda. Più la agghindano e la ingioiellano, meno rende. Quando una donna ha il corpo di Sofia, deve preferire acconciature semplici, lievi, che misericordiosamente lo attenuino. Io mi inchino agli estetiche hanno ideato i preziosi abiti e dessous di Epifania di Parerga, ma dichiaro egualmente che in quelle supreme bucce il frutto di Sofia non l'ho gradito. Sofia è lunga, lunga, lunga... è la notte di Natale di ogni bellezza femminile: e quegli eccentrici vestiti e cappelli non la abbreviano, le danno a tratti il goffo aspetto di una gruccia nell'armadio. Me ne appello a te, Baratta: involucro e contenuto, nella donna fine, debbono armonizzare; ciascuna abbia i suoi panni come ha la sua pelle. E la recitazione di Sofia? Mediocre, sforzata. Potrete anche avere l'impressione che il senso delle battute che Sofia pronunzia, le sfugga: certo è che una vaga ottusità le balena ogni tanto negli occhi. Dammi retta, Sofia: avvinghiati alle ciociare e al dramma. Sei tu la prova, se ne occorresse una, che il dolore è più maneggevole ed elementare della giocondità.
Il paggio e la regina
Caro Montanelli, qui ci vorrebbe la tua penna, ci vorrebbero le unghie toscane di ogni tuo discorso. Hai recentemente scritto, ed è vero, che il cinema, visto dall'interno, smentisce le accuse di pigrizia, di volgarità, di malafede, che gli si muovono. Però in queste «gale» di Taormina, di Saint Vincent, di Venezia, quanto è cafone il cinema! Registi, divi, produttori, scissi dalle proprie funzioni che li idealizzano, appaiono smorti, vacui, scemi. Un Carlo Ponti raccontato va bene, come usufruttuario del favoloso amore di Sofia; ma, visto e comparato, delude, anche perché fa del tutto, usando abiti e cappelli e gesti di play-boy, per assumere un che di buffo, di accessoriale, di quarantacinquenne paggio della regina. Diglielo tu, Indro, alla gente del cinema, di ostentarsi meno in privato. Dille che ci perde. Dille che senza copione è zero. Chi ravvisa nella Sofia di Taormina la indimenticabile, umanissima ciociara? Balbettato da lei come lo balbetta, l'aggettivo «umanissima» diventa una carota sulla grattugia. E in quale film, anche brutto, la bellezza di Claudia Cardinale fu così disperatamente sola? Diglielo, Indro, tu che sai colpire senza ferire, tu che hai sempre messo con le spalle a un muro di velluto, in quasi trent'anni d'amicizia, perfino me.
Il diavolo in calzoncini rosa - 1
Figuratevi, l'epoca favolosa dei pionieri, degli scotennatori gialli, dei revolver a tamburo, e Sofia. Giuro che non esistette, in quel periodo e in quelle regioni, la minima Sofia. Nella giovane America le donne erano poche, brutte e vellose; un tanfo di sudore, di tabacco e di cuoio le precedeva e le seguiva. Perciò i contadini e i butteri si contendevano gli ettari e il bestiame frantumandosi a pugni le mascelle e crivellandosi di proiettili infallibili; perché avevano le notti squallide e tetre di chi ha l'impressione, toccando la femmina che gli russa a fianco, di produrre una silenziosa ma deprimente frana di ciottoli. Scherziamo? Una Sofia nella Carolina o nell'Ohio, in quegli anni, avrebbe causato il progressivo annientamento dei bianchi ad opera dei bianchi, o, nella più civile delle ipotesi, un ignobile tesseramento dei propri favori.
Il diavolo in calzoncini rosa - 2
Abbiamo qui una Sofia bionda come il sole quando, all'alba, s'affaccia dal Vesuvio, e aggiungeteci la fosforescenza del petto senza ormeggi; salpante, per così dire, a ogni lieve movimento di lei, dalle spume degli abiti ottocenteschi.
Nozze svizzere
Sul vassoio di Maggio, poi, c'è Sofia Loren che pare diventi svizzera. Ah, non per motivi fiscali, povera Sofia, la verità è che in terra elvetica Ponti ha forse qualche probabilità di ottenere il divorzio: libero, egli la condurrebbe finalmente dal sindaco, se non dal prete. Non fraintendetemi, io non scherzo. E cioè: conoscete un paese, nel mondo, più folle e impietoso dell'Italia?
In questo bizzarro paese dove i neonati succhiano latte e ipocrisia, latte e menzogna, latte e doppiezza, c'è Sofia, c'è una ex-popolana eccezionale, votata alla più rigida monogamia, fedele in mezzo a tentazioni di ogni forza e qualità (che tramortirebbero chi sa quante dame) e questa rara, mitologica signora è obbligata a rimanere, per gli uomini e per Domineddio, signorina. Il motivo, fin troppo noto, è che Ponti ha una moglie; non vive con lei da molti anni, però il suo legame e infrangibile. Non sono amico né ammiratore di Ponti; se dovessi qualificarlo sinteticamente direi: «Non è bello, ma non e simpatico; non è geniale, ma non è intelligente». Ho parlato di cinema con lui, qualche volta, e ancora ne rabbrividisco. Ma Sofia lo vede con gli occhi dell'anima, o dei sensi, o dei mille enigmi di Eva nei quali, sempre, Adamo ha invano brancolato; Sofia lo ama e darebbe qualsiasi premio internazionale di bravura cinematografica, qualsiasi montagna di gioielli, pur di assumere il cognome dell'ometto persino buffo che il suo debole cuore ha scelto. Ma non c'è nulla da fare. Il sole che spunta ogni mattina per Liz Taylor non è quello che spunta ogni mattina per Sofia Loren. Anche la cittadinanza svizzera urterà, suppongo, contro un muro di acciaio. Bisognava nascere sotto leggi umane e divine più clementi, più sensibili all'autenticità dei sentimenti e all'infelicità immeritata. Sì, il matrimonio religioso è un patto con Dio... ma Dio volle e interruppe il sacrificio di Isacco e le piaghe di Giobbe... perché? Figuriamoci, non presumo di avvicinarmi a problemi così ardui, fitti d'argomenti surreali e tutti, dal primo all'ultimo, inibiti alla mia valutazione di infimo cattolico. Ma voglio dire a Sofia, come un attempato e malinconico fratello a una sorella che ha da poco incignato le insulsaggini della nostra veloce, breve apparizione quaggiù: «Coraggio. Senza bellezza si può vivere, e a lungo; senza coraggio no».
Ultimatum
Sofia Loren ha incignato l'anno con un sospiro che ognuno, potendo, avrebbe chiuso in una preziosa tabacchiera e venduto all'asta nel sintomatico albergo di Marienbad. Povera Sofia. Le hanno perfino attribuito una maternità inesistente, che lei non si concederà prima che l'uomo delle sue troppe vene e del suo poco cervello non sia legalmente conseguibile. È una monaca della norma, Sofia, lapidata, martirizzata dalle eccezioni. «1963, dammi Carlo davanti a Dio e davanti agli uomini», ha sospirato fra i ciechi voli dei tappi di bottiglie di champagne e i grovigli di stelle filanti della notte di San Silvestro; ma le arrideranno tutti i prodigi (Oscar e Grolle e Donatelli a mucchi, interpretazioni eccellenti, viaggi meravigliosi, gioielli inestimabili, ville simili a continenti, milioni fitti come il vello di un orso), tutti i prodigi e non quello tanto desiderato. Uffa. Che ve ne sembra del Fato, della suprema ragioneria che distribuisce quaggiù crucci e delizie? Firmerei senza il minimo imbarazzo un «ricorso» di Sofia Loren, anzi un ultimatum che dicesse: «Eccellenza ignota, o voi gentilmente mi esaudite, o io, con tutte le immense forze di cui dispongo, mi arrendo al nemico, e cioè divento seminatrice di ogni genere di guai, mi trasformo in balzo di tigre e in filo di mannaia». Sì, chi di noi, talora, non odia la sorte e non architetta impossibili reazioni? Perché, dalla nascita alla morte, dobbiamo accettare passivamente la parte dell'incudine? Se ci organizzassimo e ci rivoltassimo? Colta nel debole, anche una divinità può ridurre i suoi balzelli; attenuare le sue dure leggi. Insomma: ci tratti meglio o si crei (fatica non lieve) una umanità nuova.
Avercela con Sofia
Marco P. - Milano - «Perché ce l'ha tanto con Sofia Loren, lei? Sarebbe il primo, se le stesse un po' accanto, ad innamorarsene». È probabile. Sofia è bianca, sinuosa, compatta; vicino a lei si odono, come il respiro del mare in una conchiglia appoggiata all'orecchio, i lunghi, particolareggiati suggerimenti di Adamo. Conviene dargli retta, in questi difficili casi, al nostro indubbio progenitore; egli nell'Eden non aveva altro da fare che quello che fece, e ne sa più di chiunque. Avercela con Sofia... per carità.
Diritto di bigamia
Non vedo chi, sotto sotto, negando recisamente il diritto di bigamia a Carlo Ponti, non lo conceda invece, di cuore, a Sofia Loren. «Ma guardali nelle fotografie!» mi disse ieri, al Canova, l'amico Giorgio Natili. Guardai la pagina del settimanale che egli mi indicava. In realtà Sofia e il meglio di Sofia occupavano i quattro quinti dell'immagine: il resto della quale conteneva, sia pure, un caminetto, un breve tavolino da tè, un mazzo di anomali fiori e Carlo Ponti.
Dieci domande a Sofia Loren
Domanda prima - Bentornata! Vi sorride finalmente la speranza dopo tanta inazione all'estero con Ponti, di poter di nuovo fare, con De Sica, un po' di cinema?
Domanda seconda - Vogliamo pregare Giulietta Masina di lasciarvi fotografare gli innumerevoli premi che si guadagnò senza muoversi da Cinecittà mentre voi, qua e là per il mondo, uscivate da un film idiota per entrare in un film cretino?
Domanda terza - Possiamo rallegrarci con voi per aver detto: «La Pizzaiola fu la protagonista di un piccolo fatto quasi folcloristico, la Ciociara è una donna che esprime la vita stessa nei suoi molteplici aspetti: drammatici, comici, commoventi?». È sempre Carlo Ponti che vi insegna ad approfondire così le vostre letture?
Domanda quarta - Avete anche affermato: «Se dovessi ripetere in ogni film lo stesso personaggio, mi annoierei». Tuttavia... però... Come rivelarvi che in tutti i vostri film, interpretiate in essi una dama britannica o una zingara balcanica, non ci sono immancabilmente, fatalmente, che le ineguagliabili misure del vostro petto e dei vostri fianchi?
Domanda quinta - Si tratta (chi lo nega?) di un «bagaglio artistico» oggi come oggi apprezzatissimo, invidiabile: ma perché lasciarlo, nei film, solo e gloriosamente inutile, come una palma al centro del Sahara?
Domanda sesta - Non avete l'impressione che il vuoto della vostra lunga assenza dal cinema italiano lo abbiano sufficientemente colmato le grazie di Claudia Cardinale?
Domanda settima - Oltre a dare giudizi letterari sapete dirci, voi, Carlo Ponti e magari anche Víttorio De Sica (attenzione al gong, avete mezzo minuto esatto) come si pronunziano le parole. «missile» e «galassia»?
Domanda ottava - Avete parlato di comicità e
di emotività del romanzo La ciociara. Per favore, ci indicate i punti che vi hanno divertita e quelli che vi hanno commossa? In una eventuale rilettura dell'opera, non li confondereste?
Domanda nona - Possiamo prendere un momento dal primo ed ultimo scaffale della vostra biblioteca, l'elenco telefonico?
Domanda decima - Un'idea: perché non redigete su qualche giornaletto ad hoc, una rubrica di critica letteraria a fumettí?
Da L’Europeo, n. 720, 3 Agosto 1959
Conosco Sofia Loren da quando era poco più di una fanciulla. Fece con me una piccola parte: e poi, uno dei primi film di cui fu protagonista. La lavorazione durò circa tre mesi: due in esterno, nel Ferrarese. Vuoi dire che per un'intera stagione ci siamo visti ogni giorno. Vuoi dire che lei ha così potuto conoscere i miei difetti, e io apprezzare le sue qualità. Vuoi dire, in par-ticolar modo, che io ammiro, fino da allora, la bellezza e l'arte di questa «massima» attrice del nostro cinema. Tuttavia, soltanto in questi ultimi tempi, da quando cioè non vedo più Sofia in carne e ossa se non rarissimamente (lei sempre in giro per il mondo, oppure a Roma: e io basta viaggi, e a Roma il meno possibile!), soltanto adesso mi capita, e mi capita, devo dire, con una certa frequenza, di sognarla.
«Sogni Sofia Loren?» ghigneranno i miei amici. «Ma è normale, è semplicissimo! Tu hai abbandonato il cinema e inconsapevolmente te ne pentì: Sofia Loren nei tuoi sogni simboleggia questo tuo rimorso represso!».
Sarà: ma devo dire che sogno Sofia diversissima da come l'ho sempre conosciuta, e diversissima da come è, nella vita e nei suoi film: sogno una Sofia immobile, estatica, ieratica, fissa in un sorriso misterioso e soave di antica miniatura persiana... Diversissima da come è? Forse Sofia è anche così. Chi può dire? L'importante non è questo. L'importante è che l'evidenza somatica di Sofia sia diventata, per moltissimi in tutto il mondo, e persine per me, un simbolo, un mito, «qualche cosa che si sogna», il tarocco numero 22. Eh, sì: soprattutto se pensiamo all'antica miniatura persiana: al disegno sinuoso e rilevato delle labbra, al taglio degli occhi! Il Sole 19, l'Angelo 20, il Mondo 21, la Sofia 22. E il successo straordinario del suo ultimo film, Ieri oggi domani, non fa che confermare questa inter-pretazione. Nel gioco della nostra vita, Sofia, ormai, è diventata una carta, il tarocco più alto.
Sofia come antica miniatura persiana... Jean-Lue Godard ha scritto, e stampato, che Brigitte Bardot «assomiglia all'Èva di Piero della Francesca». È verissimo, perbacco! Non ci avevo mai pensato. Direi che, con un poco di pazienza, si riuscirebbe a trovare un modello, nella storia delle arti figurative, per ciascuna delle dive più famose. Chi ricorda la Spaak, e chi la Audrey Hepburn?