Sidney Lumet è un attore statunitense, regista, sceneggiatore, è nato il 25 giugno 1924 a Filadelfia, Pennsylvania (USA) ed è morto il 9 aprile 2011 all'età di 86 anni a New York City, New York (USA).
Impossibile riassumere in poche righe la carriera di un veterano del cinema come Lumet, con al suo attivo trentotto film -di cui qualcuno importante -, quattro candidature all’Oscar come miglior regista, e alcuni titoli che hanno fatto epoca, come La parola ai giurati (1957), Pelle di serpente (1959), Il lungo viaggio verso la notte (1962), L’uomo del banco dei pegni (1965), Serpico (1973), Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975), Quinto potere (1976).
Da allora - sono passati vent’anni - la sua filmografia ha registrato solo un altro film capace di toccare un tema e un livello importante, Vivere in fuga (1988), sui reduci della sinistra americana dei tempi del Movement. Gli altri sono onorevolissimi film di un grande mestierante, piccoli disastri(Sono affari di famiglia, 1989), o occasioni sprecate: come per esempio Una estranea fra noi (1992), che butta in commedia il tema della differenze culturali tra minoranze religiose.
Lumet è stato un bambino attore e dopo aver studiato alla Columbia University e all’Actors’ Studio, ha cominciato a lavorare nel teatro televisivo, che allora si faceva in diretta.
Il suo debutto nel 1957 con La parola ai giurati, da un originale televisivo di Reginald Rose e con un gruppo di attori bravissimi tra cui primeggiava Henry Fonda, venne accolto come una prova notevolissima, che incarnava lo spirito liberal di quegli anni difficili. E nel corso della sua quasi quarantennale camera è sempre stato un ottimo direttore di attori, cui ha offerto grandi occasioni: basterebbe citare l’Al Pacino di Serpico, la coppia Al Pacino-John Cazale in Quel pomeriggio di un giorno da cani, il Treat Williams - mai stato così bravo - di Il principe della città (1981), una severa e austera requisitoria contro la corruzione delle forze di polizia. Ma non sempre le grandi costruzioni ambiziose in cui si è cimentato qua e là in una lunga serie di film quasi di genere sono altrettanto riuscite, come dimostra quel cupo e ambiguo melodramma che è L’uomo del banco dei pegni, in cui Lumet affronta il tema del senso di colpa e dell’amarezza dei sopravvissuti allo sterminio nazista. E si possono tessere molte
lodi delle sue capacità, ma non del suo senso dell’umorismo: Sono affari di famiglia è una delle più brutte commedie dell’ultimo decennio, capace di schiacciare sotto la sua banalità persino gli adorabili Scan Connery e Dustin Hoffman.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996
C’erano una volta (e non ci sono più) certi registi liberal americani che sapevano raccontare storie con mano sicura, gente che veniva dal teatro dove aveva imparato le regole della drammaturgia, registi che ti facevano passare un intero film al chiuso in una stanza di tribunale insieme ai giurati o un pomeriggio dentro una banca insieme a due rapinatori, la gente che sapeva dirigere gli attori e aveva uno stile di regia puntuale e preciso. Gente come Sidney Lumet.
Figlio di attori dei teatro yiddish, Lumet calca il palcoscenico fin da bambino, poi segue i corsi dell’Actors Studio ma se ne va insoddisfatto. Fa la gavetta in Tv e quando arriva al cinema vince l’Orso d’oro a Berlino con La parola ai giurati (1957), dramma da camera (di consiglio) con forti venature sociali. Un ragazzo è accusato di aver ucciso il padre: dei dodici giurati uno solo, Henry Fonda, ha qualche dubbio sulla sua colpevolezza e prova a convincere gli altri undici. Lumet vive tra teatro e cinema, lavora a Broadway e quando fa cinema paria di teatro (Fascino del palcoscenico) oppure porta sullo schermo dei testi teatrali con le star dei cinema: Quel tipo di donna con Sofia Loren, Pelle di serpente di Tennessee Williams, con Anna Magnani e Marion Brando, Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller, con Raf Vallone, Il lungo viaggio verso la notte di O’Neill, con la Hepburn. Eccole, le predilezioni e le scelte di Lumet (che quest’anno riceverà l’Oscar alla carriera): il lavoro con gli attori, le tematiche forti, la macchina da presa al servizio della recitazione e della storia, un montaggio senza fronzoli e una fotografia spesso firmata da Boris Kaufman, che era il fratello di Dziga Vertov. Quando non fa film di intonazione teatrale, Lumet si occupa di come va e dove va il mondo. A prova di errore è un tipico film anni 60 di suspense atomica, con Henry Fonda. L’uomo del banco dei pegni, con Rod Steiger, è il ritratto di un ebreo sopravvissuto ai campi di sterminio e finito nel ghetto nero e ispanico di New York. La collina dei disonore, con Sean Connery, è una denuncia antimilitarista ambientata in un campo di prigionia inglese nel Nord Africa durante la Seconda guerra mondiale. Dopo l’insuccesso del parlatissimo Il gruppo, tratto dal romanzo di Mary McCarthy, e di un altro film di impianto teatrale, Riflessi in uno specchio scuro, Lumet cambia strada. Si dà alle storie metropolitane. Serpico (1973), con Al Pacino poliziotto onesto e anticonformista. denuncia la corruzione della polizia newyorkese. Rapina record a New York è un bel thriller poliziesco. Quel pomeriggio di un giorno da cani, il suo film più conosciuto grazie anche a un’allucinata recitazione di Al Pacino e John Cazale, parte dalla cronaca e diventa un saggio sull’America del dopo Vietnam e sull’invadenza della Tv, tema questo cui torna con Quinto potere, film da 4 Oscar. All’inizio degli anni 80 si misura di nuovo con la corruzione in un’opera squilibrata ma molto personale, Il principe della città seguita da un altro film importante, Il verdetto, bel dramma giudiziario e intimista, sceneggiato da Mamet con un grande Paul Newman, avvocato alcolizzato.
Lumet continua a dirigere ma non ha più la forza e l’ispirazione dei giorni migliori. Tra gli ultimi lavori solo Vivere in fuga (1988), road movie con un famiglia che vive in clandestinità inseguita dall’Fbi, è all’altezza dei film di un tempo. Di quei tempi in cui dichiarava con umiltà: «Non si può dire che esista un mio stile di regia. Penso di subordinarmi ai materiali che, per me, sono la via più idonea per accostarsi al film stesso. Il mio stile varia da film a film e si conforma al soggetto e a come è scritto». Santa modestia di un regista che sapeva fare il suo mestiere. E che continua: a ottant’anni sta girando Find Me Guilty, storia di mafia e processi.
Da Film Tv, n. 1, 2005
I film di Sidney Lumet hanno ottenuto negli anni più di 50 candidature agli Oscar. Candidato quattro volte alla prestigiosa statuetta come regista (La parola ai giurati, Quel pomeriggio di un giorno da cani, Quinto potere, e Il verdetto), e nel 1981 ha ottenuto una candidatura all’Oscar insieme a Jay Presson Allen per la sceneggiatura e l’adattamento di Il principe della città. Nel 2005, è stato insignito di un Oscar alla Carriera dal Board of Governors of the Academy of Motion Picture Arts and Sciences per i brillanti servizi resi agli sceneggiatori, attori e all’arte del cinema. Ricordiamo inoltre che è stato candidato sette volte al prestigioso premio del Directors Guild of America.
Figlio di un attore che recitava nei teatri Yiddish, Lumet è stato un attore bambino dai 5 ai 17 anni, quando è entrato nell’esercito. Dopo il servizio militare, è tornato a New York ed è diventato regista di teatro e televisione. Negli anni 50, ha diretto più di 250 programmi televisivi, molti dei quali dal vivo. Restando al piccolo schermo, ricordiamo Danger, You Are There, Mama, Kraft Television Theatre, The Alcoa Hour, Goodyear TV Playhouse, Studio One, Omnibus, Playhouse 90, The Sacco & Vanzetti Story e The Iceman Cometh. Dopo una lunga e fortunata carriera tra teatro e televisione, Lumet ha debuttato al cinema dirigendo nel 1957 l’avvincente film ambientato in un’aula di tribunale, La parola ai giurati che ha ricevuto, tra i vari premi ed onorificenze tre candidature all’Oscar, tra cui quella come Miglior Film e Miglior Regista. Nel corso degli anni Lumet ha diretto film quali Il lungo viaggio verso la morte; L’uomo del banco dei pegni, The Anderson Tapes, Serpico, Assassinio sull’Orient Express, Quel pomeriggio di un giorno da cani (candidato a 6 premi Oscar tra cui quello per il Miglior Film), Quinto potere (10 candidature all’Oscar e quattro vinti), Il principe della città, Il verdetto e Vivere in fuga. Lumet, che è stato anche produttore di molti dei suoi film, è stato il regista e lo sceneggiatore di Terzo grado e Prove apparenti. Di recente ha scritto e diretto il film acclamato dalla critica Prova ad incastrarmi.
Sin dai suoi primi film, interpretati da attori quali Henry Fonda, Martin Balsam, Lee J. Cobb, E.G. Marshall e Jack Klugman, Lumet ha sempre lavorato con i maggiori talenti del settore tra i quali citiamo Marlon Brando, Katharine Hepburn, Henry Fonda, Paul Newman, Jane Fonda, Simone Signoret, Ingrid Bergman, Al Pacino, Richard Burton, Sean Connery, William Holden, Peter Finch, Faye Dunaway e Sharon Stone.
Lumet continua a lavorare sia al cinema sia alla televisione, e ha diretto di recente la serie televisiva 100 Center Street, il film Prova ad incastarmi con Vin Diesel e Strip Search e Thought Crimes per la HBO.
Oltre alle numerose candidature agli Oscar, Lumet ha anche vinto il prestigioso premio alla carriera del Directors Guild’s D.W. Griffith, il premio del New York Film Critics per Il principe della città e il premio del Los Angeles Film Critics e il Golden Globe per Quinto potere. Inoltre è stato onorato con una retrospettiva al Museum of Modern Art ed è stato acclamato da tutte le maggiori accademie cinematografiche del mondo. Nel 1997, ha vinto il premio Billy Wilder alla carriera come regista da parte del National Board of Review, e il premio del Writers Guild of America’s Evelyn Burkey per il contributo dato al cinema attraverso film che hanno conferito dignità ed onore agli sceneggiatori. Il suo indispensabile libro, Making Movies, è stato pubblicato in numerose edizioni ed è considerato uno dei migliori libri mai scritti da un cineasta in attività per far luce, nella maniera più chiara e più diretta possibile, sui misteri che riguardano il come – e spesso anche il perché – si fa un film.