Philippe Noiret (morto giovedì 23 a Parigi) era nato nel 1930 a Lille, provincia del nord della Francia. Studente svogliato e debuttante in teatro negli anni Cinquanta, dove divenne una delle colonne del Théatre National Populaire di Jean Vilar, aveva, per il cinema, la tipica presenza del caratterista: corpulento, all'apparenza pacioso, non bello né dannato come i Philippe-Delon-Belmondo di quegli anni, "borghese", senza l'esplicita maschera deformante del comico, non c'è da stupirsi se non attrasse l'allora trionfante Nouvelle Vague (a parte Agnès Varda, che lo fece esordire sullo schermo con La Point Courte e Louis Malle, che nel 1959 lo scelse per il ruolo dello zio nel surreale Zazie nel metrò).
Il cinema gli gira intorno; molti incisivi ruoli secondari (con De Sica, Hitchcock, Zampa); fino agli anni Settanta, quando il cinema scompagina le proprie fisionomie e i propri miti, non ha più bisogno di eroi ma di attori e facce comuni: nel 1973 è con Mastroianni, Piccoli e Tognazzi uno dei quattro borghesi suicidi per crapula di La grande abbuffata di Marco Ferreri, nel 1974 il mite Orologiaio di Saint Paul di Bertrand Tavernier. I due sodalizi durano negli anni, con Ferreri fa ancora Non toccare la donna bianca e con Tavernier Che la festa cominci, Il giudice e l'assassino, Colpo di spugna, La vita e niente altro, per il quale nel 1989 vince il Secondo César (il primo risaliva al 1975, per la parte del medico di campagna che si vendica dello sterminio della sua famiglia da parte dei tedeschi in Frau Marlene di Robert Enrico, che in Francia lo trasforma in un divo). Contemporaneamente, comincia la lunga collaborazione con Monicelli (da Amici miei a Speriamo che sia femmina) e Noiret diventa, con la sua classe sottile e incisiva, una presenza fissa in un cinema italiano sempre più povero di grandi attori. Indimenticabili, il proiezionista di Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore e Pablo Neruda, amico del Postino Massimo Troisi. Per Ferreri, come per Monicelli, che l'hanno calato nella commedia, Noiret (con i suoi amici) fu una sorta di personificazione del borghese colto e disincantato, una figura lucida e ludica che sa di appartenere a un universo in via di estinzione.
Per Tavernier, che l'ha messo al centro di drammi dai cupi risvolti noir, fu certamente l'anima della Francia, grande provincia fuori dalla metropoli, segnata dall'intrigo e dal sospetto, simenoniana (L'orologiaio di Saint Paul era tratto proprio da Simenon, Colpo di spugna da Jim Thompson). Philippe Noiret sapeva ribaltare la sua grazia educata e la sua apparente bonomia in metodica ferocia, dissacrare la tragedia in risata, resuscitare dalla timidezza la dignità. L'aveva imparato in provincia.
Da Il Sole 24 Ore, 26 novembre 2006