Michael Curtiz (Mihali Kertész Kaminer) è un regista, è nato il 24 dicembre 1886 a Budapest (Ungheria) ed è morto il 10 aprile 1962 all'età di 75 anni a Los Angeles, California (USA).
Mihali Kertèsz: era questo il suo vero nome. Nato a Budapest nel 1888, figlio di un architetto e di una cantante d’opera, leggenda vuole che abbia debuttato in palcoscenico a 11 anni (in un’opera interpretata dalla madre) e che a 17 sia scappato di casa per unirsi a un circo.
Pare anche che il suo primo lavoro nel cinema sia stato vendere caramelle tra uno spettacolo e l’altro, che fosse detestato dagli attori, dai tecnici per il pugno di ferro con cui comandava il set e che sia stato uno dei registi più veloci della storia del cinema. Di certo Michael Curtiz (così si firmò da quando, nel 1926, si trasferì a Hollywood su invito di Jack Warner) è stato uno dei registi più prolifici: tra Budapest (dove esordì nella regia -forse - nel 1913), Berlino e Vienna (dove lavorò tra il 1919 e il 1926, guadagnandosi fama internazionale con il kolossal come Sodoma e Gomorra e Sansone e Dalila) e Hollywood, ha diretto più di 100 film. Specialità: i generi, tutti, indiscriminatamente, biblici e mystery, western e horror, musical e commedie sentimentali, drammi sociali, sportivi e carcerari, con una netta predilezione per l’avventura di cappa e spada e con due folgoranti sortite nel mélo, rispettivamente a sfondo bellico (Casablanca, unico suo Oscar alla regia) e a intreccio noir (lI romanzo di Mildred. Forse per la sua prolificità e per la disinvoltura con cui passava da un genere all’altro la critica l’ha sempre un po’ snobbato, definendolo artigiano efficiente, ma di quelli che non lasciano impronte personali. Casablanca è stato giudicato una miscela fortuita di elementi casuali, mentre è un film tutto pensato a tavolino e certamente tenuto insieme (set esplosivo, attori annoiati e litigiosi) da una volontà di ferro. E l’indubbia riuscita artistica del Romanzo di Mildred è stata attribuita più che altro a un’interprete in stato di grazia e al romanzo originario di Cain. Sono così passate sotto silenzio due delle innegabili doti d’autore che Curtiz possedeva. La prima era l’istintiva adesione ai due generi prediletti dalla Warner anni 30 e 40: il film di robusto impianto sociale, thriller o gangster, con virate mélo (non solo Mildred, ma anche, nel 33, 20.000 anni a Sing Sing e, nel 38, Gli angeli con la faccia sporca) e l’atletico cappa e spada, con il quale negli anni 30, in almeno cinque film, costruì la leggenda di Errol Flynn discendente di Douglas Fairbanks. L’altra qualità di Curtiz era quel gusto della “spampanatura“, del moderato eccesso di stile, della forzatura non realistica che Robin Wood nel suo bel libro L’America e il cinema identifica come la caratteristica irripetibile del cinema hollywoodiano di quei decenni. Un gusto, una sfida alla credibilità che si frantumano nel momento in cui Hollywood comincia a interrogarsi su se stessa e a guardare al di là dei confini dello schermo. Michael Curtiz, in pratica, aveva un talento per il cinema che si costruisce, si definisce e - si dichiara solo in quanto “cinema”, sospeso tra realtà e fantasia, un universo di autoriferimenti del tutto autonomi. Sapeva far volare Errol Flynn e far sacrificare James Cagney, e Humphrey Bogart, far soffrire Ingrid Bergman e sacrificare Joan Crawford. Sapeva corrispondere alle attese degli spettatori e, talvolta, a superarle.
Da Film Tv, 32, 2004
Pensieri alla rinfusa a proposito di un progetto in apparenza paradossale.
Dicembre 1980. Avvio le mie riflessioni sul cineasta Michael Curtiz e sulla sua opera con una carenza di informazioni, che a tutt'oggi mi sta bene, sugli eventi concretamente verificabili della sua vita e della sua attività.
Curtiz, come ritengo attualmente, dev'essere stato un regista disprezzato con una brutalità inimmaginabile, e per cominciare vorrei occuparmi di nient'altro che dei suoi film a tutt'oggi reperibili. Naturalmente so che Michael Curtiz è nato in Ungheria, dove ha realizzato, col nome di battesimo Michael Kertész, probabilmente una cinquantina di pellicole prima di espatriare in America, dove girerà col suo nuovo nome un centinaio di film, quasi tutti B-pictures. E però non so nulla sulla sua produzione ungherese, né sul motivo che lo spinse a lasciare l'Ungheria per l'America. Non conosco date, né interviste, nessun intervento saggistico su Curtiz, né alcuna critica significativa su singole opere, in sostanza quindi nessun intervento teorico, né tantomeno le opere originali, tranne qualche film. Allo stato attuale, che beninteso cambierà, le mie riflessioni si basano su circa trentacinque opere, una scelta casuale, arbitraria, niente affatto selettivamente mirata.
Tra tutti coloro che considerano il cinema, il film, come un'essenza amorosa, di tenerezza e di voluttà, non c'è quasi persona che ignori l'Humphrey Bogart di Casablanca (1942) con Ingrid Bergman, ormai diventato un cult-movie. Sono convinto però che siano in pochi a sapere che Casablanca è stato girato da Michael Curtiz. E coloro che lo sanno, credono che a Curtiz questo capolavoro sia riuscito per caso. Opinione piuttosto diffusa tra i cinefili, ma altrettanto errata, e ingiusta. Michael Curtiz ha fatto anche di meglio, malgrado sia proprio insuperabile, nella sua affascinante semplicità, quel dialogo tra l'anziana coppia di tedeschi, che volendo emigrare in America, si mette d'impegno a imparare l'inglese - "What's thè Watch?". "Ten Watch". "Such much?" - uno dei più bei dialoghi della storia del cinema in assoluto. Ma di Michael Curtiz ci sono cose più importanti di Casablanca.
A cominciare dall'anarchismo. Eliogabalo, l'unico anarcoide tra gli imperatori del Sacro Romano Impero, era condannato alla sconfitta. All'interno di un sistema che bene o male funziona, solo un potente può permettersi di soddisfare i suoi più autentici bisogni, cioè essere anarchico. D'altro canto però, l'agire di un singolo, di un potente, al di fuori delle regole costituite, serba pur sempre almeno due pericoli. Anzitutto, gli uomini che non hanno imparato altro che a comportarsi conformemente alle regole sociali si sentono minacciati, disgustati dai desideri e dalle abitudini di quel singolo che magari non esitano a considerare malato di mente. In secondo luogo, quel sistema che li vede funzionali e dal quale mutuano il loro modello di comportamento, viene a presentarsi come l'incarnazione della verità e della giustizia, e fa in modo che costoro abbiano paura dei loro stessi desideri. I bisogni più autentici li terrorizzano. La loro fantasia è stata cancellata. Le loro visioni di libertà suscitate da una piacevole follia vengono immediatamente identificate col potere, andando quindi a rafforzare la loro impotenza, finché alla fine si vergogneranno delle loro stesse pulsioni fantastiche.
Di tutt'altro segno è invece, ammesso che corrisponda a verità ciò che qui suppongo e spero tale, l'anarchia delle opere di Michael Curtiz. Benché io sia pressoché certo che Curtiz abbia in tutta convinzione respinto, se non trovata ridicola, l'idea di essere considerato un anarchico, oso d'altronde porre la questione se questo Michael Curtiz non ci abbia lasciato nel suo complesso un'opera che, composta da elementi singolarmente più o meno buoni e funzionali ai più svariati gusti, lasci intravvedere, nonostante l'apparente diversità che rivelano i suoi film ad uno sguardo sommario, una visione organica delle cose, in cui ogni singolo film, ogni sequenza isolata rappresenta un tassello compiuto della sua personalissima immagine del mondo.
Dicembre 1980
Da I film liberano la testa, a cura di Giovanni Spagnoletti, Milano, Ubulibri, 1988