Ennio De Concini. Data di nascita 9 dicembre 1923 a Roma (Italia) ed è morto il 17 novembre 2008 all'età di 85 anni a Roma (Italia).
Ennio De Concini was a prolific Italian screenwriter who won an Academy Award for the internationally popular comedy “Divorce — Italian Style.
Released in 1961 as “Divorzio all’Italiana,” the film was directed by Pietro Germi and starred Marcello Mastroianni. Mr. De Concini shared an Oscar for best original screenplay with Mr. Germi and Alfredo Giannetti.
Reviewing “Divorce — Italian Style” in The New York Times in 1962, Bosley Crowther praised its “lively dialogue,” calling the film a “nifty frolic about a bored Sicilian baron who plots to force his wife to compromise herself with another man so he can honorably shoot her and then marry a 16-year-old girl.”
Other directors with whom Mr. De Concini worked include Michelangelo Antonioni (“Il Grido,” 1957, released in the United States as “The Cry”); Alessandro Blasetti (“Europa di Notte,” 1959, released as “European Nights”); and Mario Bava (“La Maschera del Demonio,” 1960, released as “Black Sunday”).
In 2001 “La Grande Strada Azzurra” (“The Wide Blue Road”), a 1957 film written by Mr. De Concini, Franco Solinas and Gillo Pontecorvo, received its extremely belated American premiere, to critical acclaim. Directed by Mr. Pontecorvo, it starred Yves Montand as an embattled, impoverished Italian fisherman.
Mr. De Concini also directed films, the best known of which was “Hitler: The Last Ten Days” (1973), starring Alec Guinness.
Ennio De Concini was born in Rome on Dec. 9, 1923. His early screenwriting credits include “Il Brigante Musolino” (“Outlaw Girl,” 1950); “I Tre Corsari” (“Three Corsairs,” 1952); and “Gli Undici Moschettieri” (“The Eleven Musketeers,” 1952). In later years he wrote extensively for Italian television.
Information on his survivors was not available.
Da The New York Times, 29 novembre 2008
Chissà quale finale avrà immaginato. E quante volte lo avrà scritto e riscritto prima di quest'ultima dissolvenza di vita. Ieri sera a Roma, nella sua casa di via Stoppani nel quartiere Parioli si è spento Ennio De Concini, il più prolifico sceneggiatore del cinema italiano. In silenzio. Ad accompagnarlo la moglie Ninni, il figlio Corrado e quel «rumore» del silenzio, così mistico, irreale, che sempre rimbomba nel sonoro delle colonne cinematografiche. Ennio lo metteva sempre, nei suoi lavori. Era il suo sigillo, il marchio inconfondibile di un grande scrittore, ma anche di un grande personaggio. Schivo, riservato, umile e generoso, che ai clamori della ribalta preferiva le passeggiate silenziose nel piccolo borgo di Albaneto.
E lì, in quel minuscolo centro di cinquanta famiglie, alla porte di Leonessa salivano tutti, personaggi noti e meno noti, amici, vip, grandi attori e registi. Tutti per un consiglio, una visita,masoprattutto alla ricerca di idee. E di idee Ennio ne aveva tantissime, e grazie alle idee aveva fatto la sua grande fortuna di autoremaanche quella di decine di produttori. Era «il maestro». Per tutti, indiscusso, riverito, osannato, talvolta addirittura inarrivabile. Gli amici, da Risi a Montaldo, lo definivano il «più grande architetto del cinema». Ma De Concini era anche altro e, soprattutto, uno straordinario cantore di emozioni. Uno scrittore di razza, colto e raffinato, che da oggi lascia un grande vuoto nel panorama cinematografico italiano, e che nella sua lunga carriera ha raccontato pagine straordinarie di cinema ma anche di televisione. Nei suoi lavori guardava l'Italia, un Paese diverso, in continua evoluzione.
Sua l'intuizione della Piovra televisiva, ma anche di Storia d'amore e di amicizia, di Operazione San Gennaro, e di Divorzio all'italiana con il quale, insieme a Germi e Giannetti, ottenne nel ‘63 l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale. Ennio lo chiamava «l'Oscaretto», lo teneva appoggiato nella sua libreria insieme a decine di altri premi e a migliaia di volumi, di ogni genere, che lo hanno sempre accompagnato nella sua lunga carriera. Ma per Ennio, in fondo, non contavano poi così tanto. A lui interessavano la vita, le emozioni. Ogni giorno, ora dopo ora.Amavariflettere, isolarsi nella scrittura, pensare e soprattutto sperare. Era enigmatico, curioso, alla continua ricerca di se stesso, dell'aldilà. E nei suoi lavori raccontava i suoi dubbi, le incertezze dell'uomo, la precarietà della vita. Avrebbe voluto fare solo lo scrittore e invece diceva di essersi ritrovato, grazie al cinema, come«un fallito di successo». Di grande successo, con oltre 200 film scritti. Aveva iniziato come aiuto regista in Sciuscià, poi la scrittura.
Arrivò il successo, i successi uno dopo l'altro come perle in fila di una lunga collana: Mambo, L'ombrellone, La lunga notte del ‘43, Il ferroviere, Italiani brava gente, Il grido. Ma anche film epici, storici, quelli che De Concini chiamava «i sandaloni», come Il Colosso di Rodi. E tanta televisione. Di tutti i generi: da Disperatamente Giulia a Little Italy, fino a Storia d'amore e d'amicizia.
Da La Stampa, 18 novembre 2008
De Concini ha realizzato circa 150 film e dagli anni 80 numerose fiction per la tv, a cominciare da La piovra, di cui scrisse tre capitoli. Esordì come autore di commedie, ma lasciò presto il teatro e nel 1946 partecipò alla sceneggiatura di Sciuscià di Vittorio De Sica lavorando anche come aiuto regista. Autore di copioni per registi come Raffaello Matarazzo, Duilio Coletti, Riccardo Freda e Clemente Fracassi, firmò nel 1950 il suo primo lavoro autonomo, Il brigante Musolino di Mario Camerini. Fecondo e instancabile, romano doc, sempre ricco di aneddoti e colori nei suoi racconti, De Concini dette inizio fra l'altro al filone storico-mitologico, genere che fece la fortuna del cinema italiano tra li anni 50 e 60: suoi i copioni de Le fatiche di Ercole di Pietro Francisci, di Ulisse di Mario Camerini e del Colosso di Rodi di Serio Leone. Ma nell'epoca d'oro del cinema italiano, gli anni 60, De Concini si segnala in particolare per le scene dature di Divorzio all'italiana di Pietro Germi e Operazione San Gennaro di Dino Risi. Dopo l'infelice esperienza alla regia Gli ultimi 10 giorni di Hitler 1973, negli anni 80 fu la tv il suo nuovo approdo: dalla fiction Storie d'amore e d'amicizia del 1982 a La piovra a Pronto Soccorso (1990) e, per Mediaset, la rivisitazione di Marcellino pane e vino del 1993 firmata da Luigi Comencini.
DA L?Avvenire, 18 novembre 2008
Ennio De Concini sintetizza la storia del cinema artistico e industriale occidentale e della televisione italiana, dal dopoguerra a oggi. Non solo per i 170 film di ogni tipo che ha scritto, da Sciuscià a Il diavolo in corpo, e per aver inventato «peplum» e «night movies», ma perché ha perfezionato il rigido sceneggiato nella più fluida «fiction tv» e nel capolavoro seriale Piovra ('84), di cui scrisse anche i due sequel. De Concini, laureato in filosofia, giornalista (La fiera letteraria), commediografo, nel '46 già partecipa a Sciuscià di De Sica (di cui fu aiuto regista), il capolavoro del neorealismo secondo Sara Fuller. Scrive «in gruppo» per i migliori (per Matarazzo La nave delle donne maledette e poi per Cottafavi, Lattuada, De Santis, Coletti, Gallone, Campogalliani, Walsh, Tourneur, Freda, Mattoli, Zampa, Bolognini, Fracassi, Bonnard, Margheriti…) e nel 1950 Il brigante Musolino di Camerini. Fecondo e instancabile De Concini inventa il filone storico-mitologico con Le Fatiche di Ercole ('58, di Francisci), Ulisse di Camerini e il Colosso di Rodi di Leone, e nel '63 produce Le gladiatrici di Antonio Leonviola, ma ha già scritto Il grido di Antonioni e i capolavori di Germi e Maselli. Negli aurei anni'60, De Concini si esibisce in ogni genere, dall'horror (La maschera del demonio di Bava) al melodramma (Madame Sans Gene di Christian Jacque) dal documentario (La muraglia cinese di Lizzani) al «letterario» (Guerra e Pace di King Vidor), dalla commedia, Divorzio all'italiana di Germi ('61) e Operazione San Gennaro di Risi ('66) alla «Hollywood sul Tevere» (Mambo di Rossen), dalla fantascienza al «softcore» (Europa di notte di Blasetti) e ai musicarelli. Quattro le regie (Gli ultimi 10 giorni di Hitler, con Alec Guiness, '73, la più famosa). All'inizio degli anni'80 è al fianco di autori radicali come Peter Del Monte (Invito al viaggio) e Roberto Faenza (Copkiller) e aiuta «maestri della rabbia» come Brusati o Bellocchio (Il Diavolo in Corpo, '86), Fiorella Infascelli, Mante Hellman. Per la Rai lavora a lungo con Silva su Salgan e realizza una delle prime fiction di successo, Storie d'Amore e d'Amicizia, '82. Poi la .Piovra, che avrà vita sempre molto difficile, nonostante «funzioni sul mercato», 35 Gradini ('84) e Pronto Soccorso (‘90) con Ferruccio Amendola, Il Ricatto, Disperatamente Giulia, Un. Uomo di Rispetto e per Mediaset la rivisitazione di Marcellino Pane e Vino ('93) di Comencini: Tra le ultime produzioni Mediaset la Quindicesima Epistola, giallo religioso. TV anche l'ultima regia, Luisa, quattro storie di donne, '87.
Da Il Manifesto, 18 novembre 2008
Sceneggiatore prolifico e instancabile, ha attraversato tutti i generi che nei Sessanta hanno fatto grande il nostro cinema. Negli anni 80 è approdato alla tv. E lui che ha inventato l'ispettore Cattani de La piovra.
Prolifico, instancabile ed abile narratore del costume italiano, De Concini ha attraversato il nostro cinema in tutti i suoi generi (dall'horror alla commedia, dal peplum a quello d'autore) firmando circa 150 soggetti, tra cui quel Divorzio all'italiana di Pietro Germi che lo portò all'Oscar (1961) proprio per la sceneggiatura (con Alfredo Giannetti) in cui si denunciava con grottesca ironia l'inciviltà del nostro codice penale che «garantiva» il delitto d'onore. Romano doc Ennio De Concini ha fatto parte di quella grande generazione di sceneggiatori, Sonego, Maccari, Age e Scarpelli e Scola che sono nati come scrittori di commedie. Una generazione di «artigiani», capaci di lavorare in collettivo, come oggi non avviene più. Ma che allora hanno fatto grande il nostro cinema. A partire dal neorealismo: De Concini comincia collaborando a Sciuscià di De Sica, poi con Raffaello Matarazzo, Duilio Coletti, Riccardo Freda, Clemente Fracassi. Tocca il melodramma con Madame Sans Gene con Sophia Loren, le riduzioni letterarie (Guerra e Pace di King Vidor, Il diavolo in corpo per Bellocchio, Quer pasticciaccio per Petri), approdando alla tv negli Ottanta: suo il personaggio del commissario Cattani (Michele Placido) che ha portato al successo La piovra. E tentando anche un passaggio dietro alla macchina da presa (Gli ultirni 10 giorni di Hitler, Daniele e Maria). «Sonego con De Concini e Vincenzoni erano da dieci in orale, raccontatori formidabili», diceva di loro Dino Risi, col quale lo sceneggiatore collaborò in Operazione San Gennaro. Era quella generazione che aveva vissuto le miserie della guerra, riuscendo, poi, col riso a graffiare il nostro costume. Rodolfo Sonego portò la sua esperienza da partigiano in Una vita difficile, sempre di Risi; Vincenzoni strinse un lungo sodalizio con Sergio leone; De Concini dopo la commedia in teatro è nel `50 che firma il suo primo lavoro autonomo con la sceneggiatura de Il brigante Musolino di Camerini. È in questi anni, infatti, che la sua firma si offre alla nascita di un genere che spopolerà: il peplum, il filone storico mitologico degli « uomini forzuti», come Le fatiche di Ercole con la coppia Steve Reeves-Silva Koscina, l'Ulisse di Mario Camerini e Il colosso di Rodi di Sergio Leone. Un cinema «artigianale» di cui, per capirne la natura, c illuminante un aneddoto raccontato dallo stesso De Concini al quale un produttore chiede di imbastire una storia sugli Orali e i Curiazi. Lo sceneggiatore parte subito con una trama: «Vedo due eserciti imponenti schierati uno di fronte all'altro... ». «Ennio - lo interrompe il produttore - non c'è una lira!». E De Concini, imperturbabile: «Avvolti nella nebbia, si odono solo i rumori...».
Da L'Unità, 18 novembre 2008
A De Concini ci sarebbero da dedicare almeno due o tre capitoli del libro di storie sul cinema che quasi certamente finirò per non scrivere mai.
Nel bene e nel male è l'uomo che meglio rappresenta la mia bizzarra categoria (si fa per dire) professionale. Ha scritto cose splendide e ignobili, ha perfino diretto Alec Guinness nella parte di Hitler, e anche in tv sull'altro piatto della bilancia rispetto a Senza fine può mettere ad esempio la vera paternità del commissario Cattani e della prima bella serie della Piovra diretta da Damiani.
É sulla breccia da sempre. Quando io ero bambino e andavano i film mitologici, si narra che Ennio fosse soprannominato “Olimpo Esterno Giorno”: aveva un grande studio a via Gramsci con quattro stanzette in ciascuna delle quali era chiuso un giovane “negro” con una olivetti e una diversa sceneggiatura in corso. Lui zompettava da una stanza e da una sceneggiatura all'altra, suggeriva, correggeva, poi le firmava tutte e divideva i guadagni.
Dell'anticipo arraffato in malafede su progetti che si sa già non si faranno mai (e che giustamente secondo Flaiano è la dorata nemesi dello sceneggiatore) aveva fatto un'arte inimitabile. Una volta un produttore che gli aveva sganciato un grosso assegno e non aveva più avuto sue notizie da mesi, riuscì a rintracciarlo telefonicamente, nottetempo, al Claridge di Londra (Ennio aveva abitudini costose, come capita di solito agli sceneggiatori. I registi sono quasi sempre avari: ma questo è un altro discorso). Sebbene svegliato di soprassalto e investito da un uragano di insulti e sanguinose minacce, Ennio ebbe il sangue freddo di ribattere che si era “ritirato” costassù proprio allo scopo di lavorare in pace alla sceneggiatura commissionata. E giacché l'altro non ci voleva credere, gli disse che ora gliene avrebbe letta una scena a caso. Raccattando da terra un giornale e facendolo frusciare accanto al ricevitore come se sfogliasse un copione, cominciò a “leggere” una inesistente scena 35 di pagina 92, inventandosi così bene didascalie e dialoghi che l'altro finì per promettere di mandargli via telex un'altra rata, per finanziare una sceneggiatura che non vide mai più. Ma anni dopo, devo aggiungerlo, era lo stesso produttore a raccontarlo ridendo. Comunque, anche senza mettere nel conto questi copioni fantasma, credo che nessun altro in Italia abbia mai prodotto tante pagine per il cinema come Ennio De Concini. Un motivo per tanta frenetica attività e tanto bisogno di denaro c'era, ed era tenero e straziante: trent'anni e più di lotta costosa e inutile contro la malattia mentale di un figlio.
Non rivelo segreti, perché De Concini stesso ne ha parlato, in interviste e in un libro che stava scrivendo e che forse non è ancora uscito. L'ha fatto perché suo figlio è morto, qualche mese fa, e a lui è rimasta soltanto una esclusiva con Berlusconi che gli costa robaccia come Senza Fine e gli frutta una montagna di soldi di cui probabilmente non sa più che fare. Non credo che gli importi granché della carne di porco che i franceschielli possono fare col suo lavoro.