Cristina Comencini è un'attrice italiana, regista, scrittrice, sceneggiatrice, è nata il 8 maggio 1956 a Roma (Italia). Cristina Comencini ha oggi 68 anni ed è del segno zodiacale Toro.
Cristina Comencini è nata e vive a Roma. Figlia del regista Luigi Comencini e madre di Carlo, Giulia e Luigi, esordisce al cinema come attrice nel 1969, diretta dal padre in Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano, accanto a Tina Aumont e Maria Grazia Buccella. Laureata in Economia e Commercio con Federico Caffè, lavora per alcuni anni come giornalista economica e ricercatrice. Inizia la carriera di scrittrice nel cinema sceneggiando insieme al padre il film TV Il matrimonio di Caterina (1982) ed il lungometraggio Buon Natale... Buon anno del 1989; è co-sceneggiatrice di Ennio De Concini in Quattro storie di donne (1986) ed autrice insieme a Suso Cecchi D’Amico dei televisivi Cuore e La Storia, entrambi diretti dal padre. Nel 1988 esordisce alla regia, dirigendo fino ad oggi 9 lungometraggi: Zoo (1988), I divertimenti della vita privata (1990), La fine è nota (1992), Va’ dove ti porta il cuore (1996), Matrimoni (1998), Liberate i pesci! (1999), Il più bel giorno della mia vita (2001), La bestia nel cuore (2005) e Bianco e Nero (2007). Nel 2006 La bestia nel cuore è stato nominato all’Oscar come miglior film straniero e premiato al Festival del Cinema di Venezia con la Coppa Volpi per l’interprete femminile protagonista, Giovanna Mezzogiorno. Nel 1991 pubblica Pagine strappate, il suo primo libro, a cui seguiranno Passione di famiglia, Il cappotto del turco, Le pagine strappate, Matrioska, La bestia nel cuore, Due partite e nel 2008 L’illusione del bene, finalista al Premio Strega. Attiva anche in campo teatrale, Cristina Comencini esordisce sul palcoscenico nel 2006 dirigendo Due partite, un viaggio nell’universo femminile tratto da un testo scritto di suo pugno ed interpretato da Margherita Buy, Isabella Ferrari, Marina Massironi e Valeria Milillo.
«È stata una settimana terribile, c’è un brutto clima, si avverte un grande desiderio di tornare indietro nelle conquiste civili che la nostra generazione aveva ottenuto con fatica e con passione. Ho una religione, frequento la chiesa valdese, ma non sopporto i preti che fanno politica: la fede è un fatto personale, privato. Nessuno, dico nessuno, ha saputo replicare alla chiesa. Perfino i grandi cavalli di razza democristiani un tempo si facevano rispettare di più dai vescovi: Andreotti, Forlani, De Mita non avrebbero mai permesso un’invasione di campo come quella che si è registrata nei giorni del referendum. Nel corso della battaglia per la difesa del divorzio, i Dc di sinistra erano con noi, in quella memorabile manifestazione a Porta Pia: eravamo una folla pienamente trasversale. Che nostalgia. Ma il mio preferito è Pieno Fassino,è un vero capo, uno che sa ascoltare, capire, orientare: è proprio una persona di cui ci si può fidare, insieme a Walter Veltroni, che è anche un amico, mio e di noi cinematografari».
Cristina Comencini abita in un appartamento rassicurante e accogliente, in quel quartiere Trieste che fu la residenza preferita degli uomini e delle donne del regime fascista e oggi è invece adorato dagli intellettuali di sinistra. L’arredo è essenziale, caldo: tanti divani comodi, tappeti, cuscini e un gatto siamese che ci guarda e se ne va sdegnato. Sembra di essere in uno dei suoi film, splendidi ritratti di interni familiari in cui ci siamo spesso identificate.
«Un film duro, di denuncia, un vero film su Tangentopoli o che descrivesse i retroscena degli anni Ottanta, oggi non troverebbe produttori. I cambiamenti del costume, però, ci raccontano come siamo diventati, anche questa è politica.» E lei, che ha raccontato tante famiglie, tante evoluzioni, tanti amori e altrettante incomprensioni, le ha firmate sempre con la dolcezza. Cinquantenne, bionda, zero rughe, fisico asciutto nonostante tre gravidanze, è amica e ama molto due attrici che fisicamente un po’ le somigliano: Virna Lisi e Margherita Buy. I pantaloni larghi e il magliettone che indossa vanno bene per lavorare, cucinare, scrivere, correre a villa Borghese e forse anche per uscire (l’importante – per lei – è non perdere tempo, fra una cosa e l’altra). Il suo primo incontro con la politica, racconta, è stato quasi uno choc: «Ero piccola, al Quirinale stava per essere eletto presidente Giuseppe Saragat, a casa mia avevo sentito dire che era stato un uomo molto importante. Noi facevamo il tifo per lui. Le mie compagne, alla scuola francese, mi dicevano che era pericoloso e cattivo, che avrebbe mangiato i bambini, come facevano i comunisti in Russia. Mio padre Luigi era un socialista di sinistra, e il suo leader di riferimento era Riccardo Lombardi. Sua madre Maria Maddalena Hoefti, nonna Mimì, era una svizzera valdese, molto combattiva: negli anni Settanta, a Milano, diventò Mimì la rossa, era abbonata a “Lotta Continua” e apriva casa a tutti i rivoluzionari. Mamma Giulia, figlia della principessa Eleonora Grifeo di Partanna, tanti titoli e niente proprietà, è sempre stata una cattolica vera, sincera.
«I nostri genitori, insieme a tutti i loro amici, si spostarono dal Psi al Pci-Pds quando Bettino Craxi diventò segretario del partito, sono stati dei grandi sostenitori di Enrico Berlinguer, della sua politica e del suo stile austero.
Negli anni Settanta, ospitavamo esuli politici sudamericani, amici, c’era sempre la porta aperta. Ci hanno insegnato a rispettare tutti, ci ricordavano di essere umili, di non dare peso ai soldi, che un giorno c’erano e l’altro no, come accade a chi fa il cinema, ci spingevano a leggere libri e non fumetti, e io compravo di nascosto “L’Intrepido”, ci educavano a dare importanza soltanto alla cultura, agli studi, alle biblioteche. E pensare che i ragazzi di oggi hanno tutto il mondo a disposizione, tv, satellite, Internet, dvd, eppure sono immersi in un rumore di cui a fatica distinguono il suono. Giorni fa, con Paolo Virzì, siamo stati a un incontro con le scuole: un disastro. Ci siamo anche arrabbiati con gli studenti».
Cristina è la seconda delle quattro figlie di Luigi Comencini: tutte lavorano nel cinema. Paola, architetto, è scenografa, Eleonora produttrice e Francesca, la più piccola, è anche lei una regista, molto impegnata. La presenza-assenza del padre si avverte fortissima. Non possiamo non parlarne, anche se capisco il suo pudore: «Ha il morbo di Parkinson da trent’anni. All’inizio, ha continuato a lavorare come se niente fosse. Poi ha iniziato ad avere disturbi della parola, da tre o quattro anni è quasi assente. L’ultimo mio film che ha visto, a casa, in cassetta, è Matrimoni. Ogni tanto si sveglia e forse riconosce mamma, chissà, le sorride. Mi chiedo ogni volta che vado da lui il senso di questa lotta contro la malattia, il significato di questa presenza, ammiro e insieme piango l’immenso amore di mia madre. Tutto qui». Quello che Cristina non vorrebbe dire, né sottolineare, è un dramma nel dramma: «In questi lunghi anni di ritiro forzato, papà ha avuto un solo visitatore: Fiorenzo Carpi, il grande musicista, autore delle meravigliose colonne sonore dei suoi film. Uno soltanto. Tutti gli altri, gli amici di una vita, gli attori, gli sceneggiatori, i colleghi che pure lo avevano tanto amato, hanno avuto paura di affrontare la malattia. A casa nostra negli ultimi dieci anni non è entrato nessuno. Un deserto totale, incomprensibile. Sarà codardia? Non giudico, certo lui è stato un solitario, uno tutto famiglia e niente dolce vita, ma un abbandono così non ce l’aspettavamo».
Nella stessa situazione c’è stato a lungo Alberto Lattuada, un altro grande maestro, «tutte le mattine mamma si sentiva al telefono con Carla Lattuada, fra loro c’era e c’è un’intesa fortissima, hanno diviso lo stesso dolore quotidiano». Comencini non amava che le figlie andassero sul set, «una volta riuscii a farmi portare mentre girava Tutti a casa, era in corso una scena di guerra, con bombe ed esplosioni. Mi chiuse in un armadio, mi divertii moltissimo. Seguii poi La ragazza di Bube, con la dolce e timida Claudia Cardinale. Fui, diciassettenne, come attrice, la prima fidanzata infelice del suo Casanova». Nel Sessantotto, è la sorella Paola a portare Cristina prima nel movimento studentesco, poi in Lotta Continua, dal 1969 fino al 1973: «Ascoltavo Adriano Sofri e mi incantava la sua intelligenza. Ancora oggi è un grande amico. Ma il mio impegno era, come sempre, pratico. Facevo politica dando ripetizioni ai bambini del Quadraro, alla periferia di Roma. E andavo al cinema, a vedere La battaglia di Algeri di Pontecorvo, i film di Petri, Fellini. Al Filmstudio, durante la proiezione di Ottobre, ricordo perfettamente che Paolo Liguori, allora soprannominato Straccio, si alzò per gridare al pubblico: “Queste cose non le dobbiamo soltanto guardare, le dobbiamo fare!”. Traduzione, per i ragazzini di oggi: dovevamo diventare dei rivoluzionari veri». Cristina, con il suo compagno di allora, mise al mondo due figli in due anni (Carlo e Giulia, oggi trentadue e trent’anni, il terzo, Luigi, quattordici anni, è nato dall’unione con Riccardo Tozzi, produttore televisivo e cinematografico), si laureò con 110 e lode in politica economica, cattedra di Federico Caffè. «Scappavo dal cinema e da mio padre» confessa e ride, «sognavo di entrare alla Banca d’Italia e poi sono finita a fare il suo mestiere. Con pochissimi consigli, da parte sua. Mi raccontò il suo primo lavoro, l’imbarazzo di debuttane con un grande attore come Vittorio De Sica, protagonista di Pane, amore e fantasia, la difficoltà, per un esordiente, nel dare ordini agli altri».
Scrittrice e regista, «le mie maestre sono state Natalia Ginzburg per la letteratura e Suso Cecchi D’Amico per il cinema», intreccia pagine e pellicole. Il suo ultimo film, La bestia nel cuore, tratto dal suo omonimo romanzo, pubblicato da Feltrinelli e interpretato da Giovanna Mezzogiorno, Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, Angela Finocchiaro, Stefania Rocca e Giuseppe Battiston, è arrivato alla selezione italiana per il Premio Oscar nella scorsa primavera. Un trionfo che Cristina ha vissuto come un gioco, un dolce ben riuscito. Senza trionfalismi, senza drammi, senza darsi arie... Cristina Comencini si impegnerebbe «volentieri in politica. Per le italiane, perché facciano più figli, perché ci siano più scuole, più asili, più possibilità di lavoro e di carriera. Mi piace la battaglia condotta da Anna Serafni, dei Ds, per le donne. Da economista, so che ci aspettano periodi difficili: anche per questo, mi viene voglia di dare un aiuto vero alle famiglie». La sua, intanto, cresce in fretta. Nonna a trentacinque anni (la nipote Tay è nata quando Carlo, il primogenito, aveva diciassette anni) è diventata mamma, dell’ultimo, a trentasei. Finita l’intervista, ci mettiamo a discutere di famiglie, adozioni, figli e mariti (le nostre vere passioni).
Da Registi d’Italia, Rizzoli, Milano, 2006