In un certo senso Charlie Bronson è un altro dei “ripescaggi” di Leone di cui si parlava tempo fa. “C'era una volta il West” infatti è il suo debutto in veste di protagonista: prima la sua carriera era stata quella di un caratterista, sia pure di lusso (“La Sporca Dozzina”, “I Magnifici Sette”) ma pur sempre un comprimario.
Sul set di Leone, tuttavia, non ebbe vita facile perché si trovò strizzato fra i talenti di due mostri sacri come Henry Fonda e Jason Robards che per così dire gli recitavano sopra la testa: un po’ come se Bombolo fosse buttato alla ribalta con Gassman e Carmelo Bene.
Ma se la cavò con onore, anche perché il suo copione era fatto sostanzialmente di silenzi e di sguardi e di piripiri di armonica a bocca... Al proposito mi ricordo che prima delle riprese mi cercò per dirmi che gli sarebbe piaciuto rivedere con me la sua parte nel film. Ci sedemmo con la sceneggiatura davanti e lui cominciò a pignoleggiare su ogni singola parola di ogni sua singola battuta con osservazioni del tipo: “Ma questo non si potrebbe dire in un altro modo?” è il genere di domanda che fa imbufalire uno sceneggiatore, e io stavo per proporre la mia risposta acidula standard (“Certo, anche 'essere o non essere’ si può dire con altre parole”), quando mi colpì improvvisa la folgorazione: Bronson stava semplicemente cercando di estirpare dalle sue battute tutte le parole contenenti una esse! Questo perché era afflitto da una leggerissima forma di quella che a Roma si chiama “lisca”, per cui le sibilanti gli uscivano un po’ fischiando. Mi venne da ridere e gli chiesi se non sarebbe stato più semplice spiegarmi subito e francamente il problema.
Al che anche lui si fece una bella risata, diranno i miei piccoli lettori... Sarebbe una simpatica conclusione, ma invece nella vita reale successe che lui, da bravo crapone polacco, s'incupì e mi ringhiò facendo gli occhi a fessura di Armonica: “Waddaya fay, be feriouf..”. E mi batté freddo da lì all'eternità.