GIULIA D'AGNOLO VALLAN
La critica l'ha sempre apprezzata, ma il successo per questa biondina acqua e sapone è arrivato solo ora con Drag me to Hell, il film di demoni senza angeli diretto da Sam Raimi. Per vederlo dovremo aspettare la fine delle vacanze. Intanto, ve la presentiamo.
Alison Lohman non è abilissima sul tappeto rosso. Alle prese con la vasta, impietosa distesa di velluto porpora che conduce all'ingresso del Gran Palais du Festival di Cannes, sorride impacciata, manca di brutto la postazione dei fotografi guarda troppo per terra, inciampa... Ma tutta quella goffaggine in pompa magna svanisce pochi minuti dopo, nel buio della sala, quando la ventinovenne californiana deve affrontare non un branco di paparazzi ma una diavolessa infernale. Il film è Drag me to Hell, l'anticipatissimo ritorno di Sam Raimi alle sue radici «basse», orrorifiche, dopo la parabola miliardaria degli SpiderMan. La storia - che Raimi scrisse dieci anni fa ma sembra tagliata per l'attuale clima economico Usa - è quella di una giovane impiegata di banca (Lohman) che, in vista di un avanzamento di carriera, rifiuta di concedere il prestito richiesto da un'anziana signora dotata di potentissime connection con gli inferi. Vittima di una maledizione micidiale, la ragazza trascorre buona parte del film difendendosi a forza di calci, pugni e denti da incarnazioni progressivamente più mostruose e feroci della satanica vecchia. E il suo è un tour de force fisico condito di vermi putrescenti, saliva fetida, fiumi di sangue e fango su colonna sonora a base di urla di paura.
In realtà, garantisce Lohman, lei non è mai stata una fan dell'horror: «Per spaventarmi ci vuole veramente molto. Prima di parlare con Sam non pensavo di essere adatta per la parte, non avevo nessuna sensibilità per il genere. Fortunatamente, lui mi ha spiegato che cosa può rendere grande un film dell'orrore», anche se i polmoni da «scream queen» se li è costruiti da quando aveva nove anni e cantava in produzioni locali di musical come The Sound of Music e Annie, a Palm Desert, dove è cresciuta con una mamma pasticciera, un papà architetto, un fratello e due gatti. A diciassette anni, già veterana del palcoscenico, si è trasferita a Los Angeles, dove s'è subito imbarcata in una serie di film prestigiosi ma scarsi al botteghino - il melodramma Oleandro bianco al fianco di Michelle Pfeiffer, ll genio della truffa di Ridley Scott (dove teneva testa a Nicolas Cage e Sam Rockwell nei panni di un'abilissima truffatrice teen ager), Noi due sconosciuti con Benicio Del Toro e Halle Berry, Big Fish di Tim Burton, il cartoon di Bob Zemeckis Beowulf e False verità del canadese Atom Egoyan.
Le sue performance e quel volto aperto, un po’ lunare, ancorato a zigomi alti e a uno sguardo piacevolmente diretto, sono sempre stati giudicati di prim’ordine, ma c'è voluto il potere eversivo del cinema di genere in mano a un mista visionario come Raimi perché - chiamata a sostituire all'ultimo momento la collega Ellen Page in Drag me to Hell - Lohman bucasse veramente lo schermo e catturasse fai tenzione del grande pubblico.
D'ora in poi, la sua vita professionale sarà molto più facile. Intanto, quella privata la prende con molta calma. Tra tutti i sobborghi losangelini, ha scelto di stabilirsi in uno dei più appartati e rilassanti: Venice, la spiaggia degli artisti, dove si respirano ancora gli anni Sessanta. Tra le sue passioni, resta viva quella dei viaggi (ama moltissimo Amsterdam, vorrebbe fondare una comunità ecologica a Panama e in Thailandia s'è chiusa in un centro di meditazione dov'è richiesto il silenzio assoluto per dieci giorni). Tra i suoi desideri, in pole position quello di fare molto presto un altro film con Sam Raimi. Magari non necessariamente un horror.
Da Lo Specchio, luglio 2009