Si riflette sull'ambizione e sulla ricerca di appartenenza ma l'occasione è purtroppo mancata. Su Apple TV+.
di Gabriele Prosperi
Siamo nell'affascinante scenario di Palm Beach. È il 1969 e seguiamo le avventure di Maxine Simmons, una ex reginetta di bellezza del Tennessee, determinata a farsi strada nell'esclusiva alta società del posto. Attraverso un misto di astuzia, ambizione e occasionali passi falsi, Maxine cerca di penetrare l'élite, affrontando una serie di sfide poste da figure dominanti, come la spaventosa Evelyn Rollins e l'avanguardista e femminista Linda Shaw. Mentre cerca di navigare tra intrighi, segreti e dinamiche di potere, la sua lotta per l'accettazione e il riconoscimento la porta ad affrontare e a riflettere sulla natura stessa del desiderio di appartenenza e sul prezzo da pagare per il successo sociale.
Palm Royale si distingue innanzitutto per un cast eccezionale, arricchito dalla presenza di guest star d'eccezione come Carol Burnett e Bruce Dern, che contribuiscono a delineare l'opulenza e la complessità dell'alta società di quel periodo.
L'eccessiva lunghezza degli episodi e un certo manierismo stilistico tendono però a soffocare il potenziale della serie: invece di approfondire la complessità dei suoi personaggi o di esplorare con maggiore incisività le contraddizioni della loro esistenza, Palm Royale si perde talvolta in una narrazione eccessivamente frammentata e in tonalità narrative discordanti.