Odio il Natale

Una serie (troppo) italiana che perde l'occasione di firmare un ritratto autentico di una donna a trent'anni

Recensione di Claudia Catalli
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Gianna è un'infermiera single di 30 anni che odia il Natale perché è il momento più critico dell'anno per chi, come lei, cerca l'amore. Deve trovare un partner da portare al cenone di Natale, ha 24 giorni di tempo e, tra disavventure amicali, lavorative, familiari e sentimentali, farà di tutto per riuscirci.

Trent'anni per una donna rappresentano un cruciale giro di boa. È l'innegabile assunto da cui si sviluppa la serie Odio il Natale, adattamento curioso della serie Netflix norvegese Natale con uno sconosciuto di Per-Olav Sørensen.

Curioso perché dell'originale riprende senz'altro l'idea di base, ma la sviluppa secondo modalità di narrazione tutte italiane o, per dirla come Stanis della serie Boris, "troppo italiane". A parte il cambio di location - l'ambientazione a Chioggia - gli interventi sulla storia, sul procedere degli eventi e sul tono utilizzato - che vira dal drammatico dell'originale al comico/spensierato/adolescenziale dell'adattamento italiano - sono massicci e non per forza in senso positivo.

Pilar Fogliati interpreta in modo convincente la protagonista Gianna, un'infermiera single che si racconta direttamente al pubblico attraverso una sorta di videodiari di autoironico racconto, più o meno lamentoso, su quella che è la sua condizione: non è fidanzata e ha 24 giorni per capire chi portare alla cena di Natale. Le crisi d'identità intime e di spessore della protagonista dell'originale Johanne lasciano spazio a monologhi pseudo-intimisti infarciti di spiritosaggini e luoghi comuni.

L'intento della serie è chiaro, alleggerire il più possibile e usare il Natale come pretesto per una sorta di commedia romantica a lieto fine, in cui l'amore non è solo quello verso l'eventuale partner, ma verso la famiglia, gli amici, i pazienti e chi più ne ha più ne metta. L'impronta semplicistica e buonista, lontana dalla caratura narrativa internazionale a cui ci hanno abituato le serie Netflix, si accoda alle serie già realizzate dalle sceneggiatrici di Odio il Natale Elena Bucaccio, Viola Rispoli e Silvia Leuzzi, esperte di serie italiane popolari e di successo come Don Matteo, Che Dio ci aiuti e Doc - Nelle Tue mani. La serie si allinea quindi allo stile e allo spessore narrativo di questi precedenti, senza portare quella ventata di innovazione che ci si aspettava da un prodotto come questo.

Gli interpreti risultano credibili e convincenti (su tutti Pilar Fogliati e Alessio Praticò, in un ruolo esilarante), molto più dei dialoghi loro affidati, che non spiccano per originalità né solidità di scrittura (su tutti, nell'episodio finale, quando la protagonista scopre che a incendiarle il negozio di famiglia è stata un'amica, sorprende la sua risposta così priva di reazioni emotive adeguate al contesto: "Tranquilla, vabbè, almeno ha funzionato?").

Con il merito di avere come protagonista una trentenne spigliata, simpatica e dedita al suo lavoro, Odio il Natale si rivela quindi, nei suoi sei episodi, una commedia per tutta la famiglia e, insieme, una storia di formazione sentimentale (post)adolescenziale, che mira a intrattenere chi guarda senza troppe pretese, ironizzando e rimestando su intrecci sentimentali e narrativi purtroppo già visti e rivisti. Sarebbe stata, tuttavia, un'occasione preziosa per firmare, senza puntare all'inarrivabile Fleabag, il ritratto di una giovane donna contemporanea veramente libera da stereotipi e cliché alle prese con un suo personalissimo Natale.