Una claustrocinefilia

Alessandro Aniballi è un critico cinematografico, fondatore di Quinlan.it, autore di soggetti e sceneggiature che non sempre diventano film o documentari. Nel marzo 2020 si ritrova, come tutti, chiuso nella propria abitazione in seguito al lockdown. Ha inizio così una riflessione sulla propria ossessione cinefila che lo spinge a un monologo che si rivolge, per interposto computer, allo spettatore. A sostenere questa sua ricerca, divenuto ora regista e montatore dei propri  desideri ed incubi (cinematografici e non), trova il supporto di una imponente selezione  di immagini tratte dal cinema che conosce a fondo.

In un film coraggioso e decisamente originale Aniballi ci invita a ragionare sul senso profondo del fare e vedere cinema in questo nostro tempo difficile.

Nella Garzantina Cinema alla voce cinefilo si legge: "Persona talmente appassionata di cinema da considerare la visione di film come la più alta esperienza estetica ed intellettuale possibile." Pochi minuti dopo l'inizio di Una claustrocinefilia Giovanni Spagnoletti, critico cinematografico e studioso di cinema, definisce la cinefilia come una malattia.

Aniballi, recluso non volontariamente in casa e impegnato a parlare con il suo pc è allora un malato? Oppure è un personaggio stravagante come Benicious, l'esule polacco che chi ha frequentato i festival negli anni '70 e '80 non ha potuto non incontrare in quanto, essendo homeless, passava da un'ospitalità all'altra delle manifestazioni cinematografiche continuando a vedere film quasi senza soluzione di continuità? L'immagine che l'opinione comune (anche fra gli addetti ai lavori) ha del cinefilo è quella di un divoratore onnivoro di cinema pronto ad ingaggiare diatribe contro chi non condivida i suoi criteri estetici e di fatto lontano dalla vita vera che rifugge preferendo avere lo schermo come interlocutore pronto a narrargliela.

Aniballi si interroga su questo e su una miriade di altre possibili letture del suo rapporto con la settima arte non rinunciando però mai a confrontarsi con la realtà. A partire da Baffino, il gatto che non c'è più e che gli era vicino accanto alla tastiera anche se pian piano (ma non ancora) destinato a un vago oblio. È di questo possibile oblio nonché del timore di una perdita di fisicità che Aniballi ha paura anche se il riandare al cinema del passato è una tentazione troppo forte che si esplicita in una miriade (i Tre Amigos di landisiana memoria forse le definirebbero una pletora) di immagini e spezzoni che accompagnano i suoi interventi talvolta enfatici, talvolta autoironici e talvolta quasi malinconici. 

Nancy Lemann in "The Fiery Pantheon" di un suo personaggio scrive: "Provava nostalgia per una vita che non aveva mai vissuta". Aniballi sembra avere delle affinità con quel personaggio quando fa riferimento ad un attore che sente come presente quasi come la casa dei nonni che ritorna regolarmente nei suoi sogni e di cui ricorda ogni particolare. 

Quando ci ricorda a più riprese che avrebbe voluto scrivere una storia del cinema italiano in una forma che ancora nessuno ha pensato ma che non ci è riuscito sarà bene che prenda atto che invece è riuscito a rendere alla perfezione l'idea di quella che è sicuramente una magnifica ossessione che può anche assomigliare a una malattia di cui lui però conosce la visionaria cura. 