Ok boomer

I registi Gianfranco Pannone e Andrea Gropplero, noto anche come il "cuciniere comunista" con il nome d'arte Chef Guevara, sono amici da decenni ed erano compagni di studi al Centro Sperimentale di Cinematografia. Il ritrovamento, da parte di Pannone, della cassetta video8 di un loro viaggio a Berlino nel febbraio del 1990 in occasione della Berlinale, e soprattutto poco dopo la caduta del Muro, diventa l'occasione per fare i conti con il passato e riflettere su un trentennio trascorso fra impegno politico culturale e legami famigliari, in particolare quelli con Costanza e Adele, l'una figlia di Pannone, l'altra di Gropplero.

Il che comporta anche mettere due generazioni a confronto: quella dei millennial di cui fanno parte Adele e Costanza, e quella dei boomer, ovvero i due registi, entrambi classe 1963. E tirare le somme non è sempre un'operazione piacevole, soprattutto se i rimorsi rischiano di superare i rimpianti.

"Abbiamo visto abbattere i muri ma non abbiamo costruito i ponti", osserva Gropplero, assalito dai sensi di colpa nei confronti della generazione di sua figlia. "In realtà barriere insormontabili venivano erette", continua, osservando che chi è nato prima del 1989 "ha la responsabilità di avere permesso al capitalismo neoliberista di portare il pianeta sull'orlo del baratro".

La sua è una posizione radicale anche perché, come vediamo in Ok boomer, Gropplero è rimasto un comunista convinto, il cui onnipresente busto di Lenin sembra essere il terzo protagonista della storia. Meno estremo è Pannone, più indulgente con se stesso e con la sua generazione e più incline a "trovare una leggerezza". Alla fine del racconto Pannone rifletterà filosoficamente sulla fine del liberismo, concludendo: "E noi riprenderemo il nostro cammino".

Gran parte del documentario è stato girato durante il lockdown, quella "apocalisse noiosa" che Gropplero non può che interpretare come una conseguenza del comportamento scellerato dell'uomo contemporaneo. Fra i due amici lontani a causa della pandemia si apre un dialogo a distanza in forma di videolettere da cui partono numerose riflessioni, fra cui quelle sull'accelerazione insensata della vita negli ultimi trent'anni e sulla necessità di "ritrovare il tempo di pensiero" così come la natura, durante il lockdown, ha cominciato a riprendersi gli spazi cittadini.

Pannone confessa di essersi rifugiato nel privato: "Le nostre comodità erano davanti a tutto: forse è la cosa più grave che vedo nella mia generazione", e i segmenti a lui dedicati appaiono più artificiosi di quelli dedicati a Gropplero: il paragone più immediato è fra la scena in cui Gropplero e la figlia parlano in un negozio di vinili e finiscono per abbracciarsi con slancio spontaneo ed emozione palpabile, e quella in cui invece Pannone "impone" alla figlia una scena di dialogo innaturale e ripetutamente editata. Appare purtroppo artefatta anche l'evocazione reiterata della presenza soave di un'amica, Diletta Benincasa, in funzione di un piccolo colpo di scena finale: una genuina testimonianza di affetto, ma anche un espediente narrativo forse discutibile.

Restano comunque interessanti i molti spunti di una storia che fa la spola fra passato e presente, in uno stile a volte "morettianamente" ironico (i dialoghi fra Gropplero e il suo circolo comunista che cita il "ferale" passaggio da Pci a Pds), a volte similgiornalistico (la testimonianza di due giovani attivisti di Extinction Rebellion). Sono proprio i due attivisti a mettere il dito nella piaga di alcuni atteggiamenti "tossici" da boomer dai quali nemmeno questo documentario è esente (ed è questo, in realtà, il suo aspetto più interessante): l'individualismo, l'autocompiacimento e la volontà di appropriarsi di ogni cosa, togliendo persino la parola boomer alla generazione che l'ha inventata, e a cui dunque toccherà trovarne una nuova, perché ogni volta che i boomer stessi la utilizzano, per loro "perde di significato". 