Un'opera disorganica che ha la sua parte migliore nel racconto individuale. Presentato 39TFF.
di Simone Emiliani
Senza soldi e lavoro, Jimena arriva alla Terra del Fuoco viaggiando di nascosto nella stiva dei bagagli di un pullman per raggiungere il fratellastro Mariano. Va a vivere a casa sua e trova, grazie al suo aiuto, un'occupazione in una fabbrica che assembla componenti elettronici specialmente per smartphone e tv. La sua vita, all'inizio, sembra migliore e si innamora di una collega. La situazione però precipita quando il fratello Mariano si mette nei guai e lei viene licenziata assieme a gran parte degli altri dipendenti.
Ci si trova davanti a due storie che però si incastrano a fatica. Quella di Jimena è più ispirata. Quella sulla classe operaia messa alle corde dalla politica aziendali è invece fin troppo costruita, sovraccarica di dialoghi che puntano a far emergere il senso di disagio e di preoccupazione per il futuro. La regista ha anche delle intuizioni riuscite, ma il suo film appare incompleto.
L’impressione è quella di un progetto non finito, disorganico, che accenna al passato ma non mette a fuoco neanche il rapporto tra i due fratellastri. La presa di coscienza finale è finalmente liberatoria ma è tra i pochi momenti autentici di un film troppo pensato e meno arrabbiato di quello che vuole apparire.