Anno | 2020 |
Genere | Documentario, |
Produzione | USA |
Durata | 272 minuti |
Regia di | Frederick Wiseman |
Uscita | lunedì 18 ottobre 2021 |
Tag | Da vedere 2020 |
Distribuzione | Cineteca di Bologna |
MYmonetro | 4,13 su 11 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 14 ottobre 2021
Frederick Wiseman ritorna nella natia Boston per raccontarci 'dal di dentro' il governo di una grande città. Il film ha ottenuto 1 candidatura a NSFC Awards, In Italia al Box Office City Hall ha incassato nelle prime 11 settimane di programmazione 779 e 331 euro nel primo weekend.
ASSOLUTAMENTE SÌ
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Il municipio di Boston, durante gli anni dell'amministrazione Trump. Il sindaco è Martin J. Walsh, in carica dal 2013 al 2021, e la macchina da presa fissa e tenace del bostoniano Frederick Wiseman (1930) ne cattura e riassume i molteplici, estremamente variegati, impegni istituzionali. Nel seguirlo, documenta il suo costante sforzo di comunicazione al pubblico dei servizi che la municipalità ha come compito di fornire alla cittadinanza, in vari ambiti e scale di grandezza. «La stampa deve iniziare a dire non "chi paga?" ma "è necessario farlo"», dichiara. E contemporaneamente, il regista mostra il processo di negoziazione costante tra le parti coinvolte. Perché il cittadino è sempre (chiamato a fare la sua) parte. Tutto è politica, tutto ci riguarda, tutto è migliorabile, tutto è interconnesso: concetti che Walsh non fa che sottolineare.
In contesti pubblici più o meno ampi si affrontano difficoltà radicate, in cerca di soluzioni: garanzie abitative per i meno abbienti, contro le discriminazioni razziali, e bandi per chi è senza casa, strategie di sicurezza per la partecipatissima parata in onore della squadra di baseball della città, politiche edilizie per mettere al sicuro il porto da calamità naturali, accessibilità anche fisica di tutti a edifici e servizi, sicurezza in metropolitana, lotta all'insicurezza alimentare ossia per il diritto al cibo, cura degli animali e delle piante, gestione del traffico, corsi di negoziazione a minoranze per ottenere paghe migliori, dialogo tra chi apre un'attività commerciale nel quartiere e chi ci vive, già con difficoltà.
In un organismo complesso, magmatico e faticoso come un grande centro urbano, delle questioni primarie - programmare il budget per (almeno) i cinque anni a venire, l'attività di lobbying su Washington, la pianificazione edilizia, gli investimenti sul lavoro, la riduzione delle disparità di reddito e accesso - bisogna preoccuparsi senza trascurare quello che può sembrare secondario e non lo è: un incontro con gli anziani per parlare di truffe e del costo dei farmaci, l'uso dell'arte civica, la semina delle piante per i parchi, la celebrazione di un matrimonio che ha come unico testimone un ufficiale di stato civile, le scorte di sale per l'emergenza neve e di sabbia per i lavori stradali, o la possibilità di contestare verbalmente le multe.
Ex sindacalista (e successivamente al film, ministro del lavoro nell'amministrazione Biden), parlantina nasale e svelta, da venditore consumato, nei discorsi ufficiali alle riunioni di staff e le eterogenee comunità cittadine, Walsh fa sistematicamente riferimento a esperienze personali: sopravvissuto a una forma particolare di tumore da bambino, ha superato da adulto la dipendenza da alcol e non smette di ricordare di essere figlio di immigrati (in un momento storico in cui il 55% dei bostoniani non sono bianchi).
Perfino testimone del busing, quella misura, molto contrastata, di desegregazione, in base alla quale tra gli anni '70 e '80 la municipalità diversificò la distribuzione degli studenti nelle scuole, al fine di diminuire la loro separazione su base razziale. "Avere dell'aiuto a portata di mano aumenta la possibilità di chiederlo". Un modo per dire che bisogna considerarsi in dialogo con le istituzioni.
E così il primo cittadino non fa che invitare ad avvicinarsi alle sedi del potere, usare i numeri verdi, avanzare richieste, mobilitarsi per i propri diritti. Certo, adempiendo ai doveri. Anche pretendendo, nel caso, che in assenza di un intervento governativo di legge, siano gli stessi produttori di armi a trovare soluzioni per le sparatorie di massa che sono fenomeno tipicamente statunitense. Coerentemente a questo obiettivo, la sua procedura è "imparare ascoltando". Non è un caso che anche in questo film Wiseman lavori tanto sui piani di ascolto, cogliendo di volta in volta, negli occhi dei convenuti, interesse, scetticismo, ammirazione, incredulità, dissenso, riflessione.
Questa torrenziale serie di confronti è bilanciata al montaggio da brevi, silenziosi inserti di immagini della città: un organismo che mano a mano - con i tempi estesi che sono un marchio di fabbrica del regista novantenne - si svela nel suo articolato funzionamento e che respira attraverso le sue strade, i quartieri, le vetrine, gli edifici, il lungomare. L'alternanza di piani, che può suonare rigida e meccanica, persegue rigorosamente un unico scopo: visualizzare, sotto le superfici dell'agglomerato urbano, le azioni e le reazioni di un insieme di culture distanti e conviventi, guardare la città dal basso e dall'alto.
Al tempo stesso, è un meccanismo che ricorda che rispettare il turno di parola è oltre che cosa buona, la regola per far progredire il discorso. Sempre a Boston Wiseman aveva esordito nel 1967 girando Titicut Follies, registrando dentro il Bridgewater State Hospital il disagio e l'abbandono dei malati mentali, tra cui anche reduci del Vietnam. Come in un circolo implacabile, anche qui il regista dedica grande spazio ai veterani di guerra, per ribadire l'attualità di una questione sociale trascurata ("la guerra è dura ma la cosa più dura è tornare a casa").
Cinema civile nel suo grado più alto, e patriottico nel suo significato più laico e pacifista, City Hall è una sinfonia di voci che partecipano ai meccanismi decisionali e di rapidi ma incisivi scorci urbani. Un'ode, misurata nei toni e smisurata nell'estensione, a quella laboriosa contrattazione tra esigenze, idee e risorse che è elemento costitutivo della vita comunitaria democratica. Fuori concorso a Venezia 2020 e in concorso nello stesso anno al Toronto e al New York Film Festival.
Sfacciato e partigiano più del solito, il novantenne Wiseman, oggi residente a Parigi, torna nella capitale del suo Massachusetts per dimostrare che un municipio funziona efficacemente anche se opera per la giustizia sociale. Concepito come antitesi a Trump, il film contrappone all'«America First» un modello di sviluppo antirazzista, capace di azzerare la disoccupazione senza penalizzare i quartieri [...] Vai alla recensione »
Il governo di una città converge nel municipio, che si occupa di fornire i più diversi servizi ai cittadini. Frederick Wiseman apre le porte del city hall nella sua natia Boston, mostrando quanto sia ramificata l'amministrazione di una metropoli americana. Sono tante le attività che si svolgono nel municipio e che poi investono, per effetto, il mondo esterno: polizia e vigili del fuoco, registrazione [...] Vai alla recensione »
A un certo punto di City Hall, nella prima parte, incastonato tra riunioni e processi burocratici all'improvviso vediamo un matrimonio gay. Due donne vengono sposate da una funzionaria del Comune, la scena è solo femminile. «To be my wedding wife», la formula adottata, e alla fine la dipendente pubblica si commuove. Una piccola ripresa, tecnicamente "estratta" dalla realtà, che consegna il senso di [...] Vai alla recensione »
City Hall, ovvero "municipio", dal latino municipium, composto, come riporta il dizionario Treccani, da munia (doveri) e capere (assumere); il termine, applicato a un luogo, stabilisce la sede amministrativa cui spetta la gestione di uno spazio comune. È questo che ci mostra il doc di Wiseman: uno spazio, con una precisa designazione, e il lavorio che ne legittima la funzione («ho girato City Hall [...] Vai alla recensione »
Il cinema corale di Frederick Wiseman ha spesso raccontato con preziosa pazienza il valore delle istituzioni pubbliche nei confronti della collettività. Dal municipio di una città (americana) dipendono quasi tutti gli aspetti della vita: la polizia, i vigili del fuoco, la sanità, il dipartimento degli affari dei veterani, l'aiuto agli anziani, la manutenzione dei parchi, le autorizzazioni per varie [...] Vai alla recensione »
Frederick Wiseman ama la sua città, Boston, si capisce da come ne filma le strade, le case, i grattacieli e le abitazioni più antiche di mattoni rossi, dal modo in cui si sofferma sugli alberi un po' spogliati dall' autunno, dalla luce che cattura nell' orizzonte dell' oceano, dallo sguardo sulle abitudini «banali», il camion dei pompieri o quello giallo della raccolta (attentamente differenziata) [...] Vai alla recensione »
Ad un certo punto dell'immersione in una visione wisemaniana si disvela puntualmente un'epifania, un istante in cui la struttura nascosta che regge il flusso di raccolta e dialogo tra le immagini e le parole esplicita improvvisamente (suppongo che per ogni spettatore accada in momenti diversi all'interno della progressione dei vari doc dell'autore..
«Ho girato City Hall per dimostrare che è necessario avere un governo se si vuole vivere bene insieme»: detto così sembra ovvio, ma solo vedendo il documentario (fuori concorso) di Frederick Wiseman si capisce la vera portata della sua dichiarazione. Approdato nella natia Boston dopo le escursioni al Ballet de l' Opera de Paris, al The Crazy Horse e alla New York Public Library, l' ormai novantenne [...] Vai alla recensione »
Il maestro del documentario Frederick Wiseman decide di seguire l'attività del comune di Boston e del suo sindaco Martin Walsh. Gira più di cento ore di riprese e poi ne monta quattro e mezza. Come nel suo stile, il regista non fa altro che mostrare, senza commento e senza altra ricerca se non quella di aderire alla realtà. Eppure nella sua semplicità e persino nella sua banalità, quella cioè di mostrare [...] Vai alla recensione »
Ripensandolo adesso Monrovia, Indiana (2018) sembra un po' la "prova generale" di City Hall, l'ultimo documentario del grandissimo Frederick Wiseman presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia. Ovviamente non è così e potremmo tirare in ballo Belfast, Maine(1999) per ricordare quanto piaccia al regista raccontare comunità e cittadine.